Alcune considerazioni di politica economica sulla “soluzione” alla crisi finanziaria greca… (11 maggio 2010 HBSRev)
Intanto partiamo da una considerazione preliminare, ovvero “com’è esploso il caso greco”?
Più o meno allo stesso modo del “caso parmalat e cirio”… si è arrivati ad una maxi-scadenza di obbligazioni (nel caso titoli di Stato) e “casualmente” lo Stato Greco non ha “reperito sul mercato” la disponibilità alla emissione di nuovi titoli grazie ai quali pagare quelli in scadenza.
Perché?
I motivi sono diversi, ma tra i principali la mancanza di domanda – ovvero i buyers mondiali, avendo “meno risorse da impiegare in titoli di stato esteri” selezionano quelli più “affidabili” in un rapporto tasso/tempo/investimento.
Contemporaneamente, un popolo già ridotto al minimo della sua capacità di risparmio non ha generato una “domanda interna” di titoli di Stato che potesse bilanciare la non richiesta estera.
La situazione greca tuttavia non è un’anomalia, ma semplicemente un rischio cui sono normalmente esposti i Paesi con un forte debito pubblico (tra cui appunto il nostro) se contemporaneamente non riescono ad avere due altre costanti: una forte crescita interna (che riesca quantomeno a coprire il valore del tasso pagato per il debito) e una adeguatamente ampia domanda interna di titoli di Stato, capace di bilanciare comunque la domanda calante del mercato “esterno” (e in questo noi siamo “più forti” avendo strutturato un paracadute “costante” a tali casi attraverso l’obbligatorietà di sottoscrizione da parte di soggetti come le Poste o i “super primary di mercato” – che sono quelle banche che poi rivendono ad altre banche, al mercato e ai clienti, guadagnando sul delta tra prezzo di acquisto “in asta primaria” e vendita, indipendentemente dal tasso di interesse! – un guadagno certo ed immediato per il “disturbo” di dover mantenere una massa di liquidità disponibile per l’acquisto).
La manovra approntata dall’Europa, sostanzialmente ha richiesto semplicemente un “tempo tecnico” per la quantificazione del “debito complessivo” greco in portafoglio ai vari paesi dell’Euro, e delle singole banche – partendo dalla considerazione abbastanza elementare che nessuno ha davvero interesse a che la Grecia “vada in default” per due motivi.
Il primo è che se la Grecia non rimborsa i titoli di Stato in scadenza, le perdite le soffrono le banche ed i clienti sottoscrittori – il che produce sostanzialmente un danno finanziario interno ai paesi Europei.
Il secondo, è che comunque l’Euro avrebbe subito una svalutazione tecnicamente pari all’incidenza del PIL greco/Pil Europeo (ovvero 6%) ma attraverso l’effetto mercato (più oneroso da sostenere) la perdita considerata da Trichet sarebbe arrivata a toccare il 25% - il che avrebbe fatto perdere a tutti i Paesi dell’area Euro il 25% della propria valorizzazione della ricchezza (da cui l’opposizione dell’Inghilterra che conserva la Sterlina!)
In pratica si tratta di una “partita di giro finanziario”.
I singoli paesi prestano danaro alla Grecia che rimborsa il debito – e ciascuno ha messo sostanzialmente tanto quanto la Grecia a sua volta deve rimborsare a quello stesso paese (nel nostro caso, tra Stato e banche, nei prossimi tre anni noi abbiamo titoli greci per 15mld di euro – infatti l’Italia ha stanziato esattamente 14,5Mld – dal momento che ha già attualizzato una media del 5% annuo di tasso!).
Stesso discorso hanno fatto i Paesi “extraeuropei” attraverso il Fondo Monetario Internazionale – onde evitare che la Grecia non rimborsasse la parte di debito sottoscritta in dollari.
Quali sono le implicazioni di questa “soluzione”?
È stato certamente “salvato” l’euro.
Certamente nessun Paese europeo, e nessuna banca o cliente, subirà un “mancato rimborso”.
Però.
Imporre il taglio dei salari del 20% significa privare completamente le “famiglie medie” della capacità di risparmio – il che significa togliere la possibilità che in caso di necessità ci sia una seppur minima domanda interna di titoli di Stato. E quindi il problema della dipendenza finanziaria diventa strutturale e in arginabile.
Inoltre, una semplice considerazione monetaria, dovrebbe portare a comprendere che se un paese sottoscrive un bebito (nel caso Greco 110mld) ad un tasso del 5% - è un pese che dovrebbe avere una crescita minima del 2,5% del suo Pil.
Come fa un Paese che rischia il default per un rimborso di cassa da 8mld a pagare un tasso “in più” pari a 6mld l’anno?
In più.
La crescita è sostenuta da produzione e consumo (sia di beni e servizi). Se si toglie la “capacità di spesa” della popolazione interna (attraverso il taglio dei salari), come si sostiene una crescita che dovrebbe passare dal -3,5% al +2,5% (solo per pagare gli interessi sul debito!!!)?
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Ora, lungi dal voler essere esaustivo su un’analisi così “grossa”, io questi dubbi credo che ce li dobbiamo fare un po’ tutti.
Spesso l’economia viene vista come qualcosa che sta “un po’ troppo altrove” laddove rischia in certi casi di riguardarci un “po’ troppo da vicino” per “lasciarla ai tecnici”.
E troppo spesso “i tecnici” non riescono a rendere certe considerazioni adeguatamente fruibili.
Consapevolezza, è anche questo.
E dovremmo chiedere certi strumenti in maniera più forte e convinta.