Alcune considerazioni sulla legge Levi
Dopo anni di “legge sperimentale” sullo “sconto massimo” da applicare alla vendita dei libri, viene approvata in questi giorni una “legge organica” in materia.
Una legge bipartisan che prende il nome dal Riccardo Levi (Pd), che vi si è dedicato da due anni, ma l’ha promossa anche Franco Asciutti (Pdl).
I due senatori sono rispettivamente il primo firmatario e il relatore della legge che stabilisce che le librerie non potranno più fare sconti liberi, ma al massimo farne del 15 per cento sui prezzi di copertina.
Cosa prevede in sintesi la legge appena approvata?
Un tetto massimo di sconto del 15% applicabile dai librai al cliente finale (il famoso “lettore”).
Si potrà arrivare al 20 per cento: come per le offerte all’interno di un salone del libro o destinata a organizzazioni no profit, biblioteche, musei pubblici, scuole.
Il tetto passa al 25 per cento in un caso eccezionale, come le campagne promozionali realizzate direttamente dagli editori, e per massimo un mese; ma non saranno possibili a dicembre, ovvero sotto il periodo natalizio.
Perché la necessità di una “legge” sullo sconto?
Semplice. Evitare una “concorrenza sleale” tra le grandi catene di librerie e la gdo (che agendo da grandi acquirenti possono ottenere condizioni particolarmente favorevoli presso gli editori – e quindi avere ampi margini per i propri sconti ai clienti) e le “piccole librerie indipendenti” – che evidentemente non hanno questo potere contrattuale.
Il punto, come sempre più spesso accade in questo Paese, è che si fanno leggi in materia economica, senza considerare sul serio le regole base di un’economia, quanto invece qualche punto di vista, o qualche categoria, e senza valutare gli effetti veri.
Se infatti una misura economica, qualsiasi, sia giusta o meno, è sempre bene ricordare che è “secondario” e dipende invece “dove” nella filiera di settore” un limite protezionistico viene applicato.
Appare infatti chiaro che i “grandi gruppi” hanno interessi che vanno dalla produzione, alla distribuzione, alla rete commerciale.
Applicare un “tetto limite” solo “a valle” ha effetti solo nei confronti del cliente finale (cioè il famoso “lettore” – che dovrebbe essere quello invece incentivato all’acquisto di libri, e che poi è il solo a determinare un aumento del mercato).
Ben lo sanno tutti i produttori di tutti gli altri beni, che infatti quando chiedono misure di intervento, vanno tutti nella direzione di “favorire” l’acquisto – chiamiamole rottamazioni, incentivi, crediti di imposta, abbattimento delle imposte finali…
In un paese in cui invece si tende sempre più a “spacciare” la cultura come un “prodotto elitario” e non destinato “alla massa” ed in cui in realtà la cultura è qualcosa di “temuto” piuttosto che favorito (e ciò anche in aperta contraddizione con quanto previsto negli articoli 3, 21 e 41 della nostra costituzione – ma in realtà ovunque nella filosofia dell’intera carta costituzionale!) – pare si faccia di tutto – in maniera assolutamente bipartisan – per non incentivare il “consumo” di libri e beni culturali in generale.
Cosa accadrà?
Semplicemente che i grandi gruppi editoriali “rimoduleranno” la distribuzione dello sconto all’interno della propria catena interna, potendo “gestire” le marginalità dall’origine sino alla linea finale.
Le piccole librerie, potranno semplicemente “fare lo stesso prezzo” delle grandi al cliente finale, sempre sena avere alcun tipo di capacità promozionale “in più” né poter garantire un’offerta differente.
Probabilmente anzi, essendo il “prezzo finale chiuso”, le politiche della distribuzione verso queste librerie si rivelerà ancora più “stringente” in termini di forniture minime, sconti all’acquisto, condizioni di pagamento, scadenze, diritto di resa… senza che nulla possa intervenire in questa direzione né in chiave limitativa… anzi avallando tutto questo proprio grazie al paravento di una legge che ufficialmente “mette tutti nelle stesse condizioni”.
Ancora una volta, il passaggio sarebbe stato molto semplice, se davvero l’intento fosse stato quello di “diffondere il libro” e di garantire un mercato davvero libero.
Sarebbe bastato intervenire con dei “tetti” sulle politiche di distribuzione, e garantire pari condizioni di fornitura.
Ciò avrebbe reso “trasparenti” le politiche editoriali dei piccoli e grandi gruppi, e messo davvero tutti in pari condizioni di partenza… dopo di che, nel libero mercato, sono i consumatori a fare le scelte, anche in base alle politiche di sconto e alla capacità di offerta… come del resto avviene in tutti gli altri settori!
E stavolta si, davvero, l’elemento centrale del mercato del libro, sarebbe stato “il lettore” e il “suo” libro.