Ballottaggi
Sarà che sono “giovane e irruento” e “di politica ne capisco poco”, ma ci sono alcune cosette che ho sulla punta della lingua che proprio non mi vanno giù.
Forse, avrei dovuto scriverle “a caldo”.
Forse non avrei dovuto proprio scriverle.
Per “opportunità” avrei dovuto scriverle al limite tra una settimana… ma che senso avrebbe avuto?
E allora parto con alcune considerazioni “preliminari” in questa che credo sarà una nota davvero lunga. Più che altro uno sfogo legato a tutto quello che ho visto, sentito, percepito, elaborato, in questi lunghi mesi di “campagne elettorali”.
Intanto, non so come andrà a Milano, nessuno lo sa, e ciascuno “si augura il suo”.
Ragionando “a sinistra” credo che Milano ci abbia dato una gran bella lezione di democrazia autentica.
Lo strumento delle primarie ha le sue “regole” – giuste o sbagliate che siano – e certamente sempre e comunque migliorabili.
Se davvero noi vogliamo essere quelli che “le candidature non si calano dall’alto”, allora tutti dobbiamo accettare le stesse regole.
Quando ci piacciono. E anche di più quando NON ci piacciono.
Perché è l’unica via per far sì che possiamo alzare la testa e la voce quando “gli altri” quelle stesse regole non le rispettano, e non gli piacciono!
A Milano tutti i candidati del “centro-sinistra” hanno corso le proprie primarie.
E chi ha vinto, è stato appoggiato da “tutti”.
Credo con adeguata lealtà, sia che fosse sia che non fosse stata la “propria scelta originaria”.
E così, qualsiasi sarà l’esito, Milano ha dimostrato, già oggi, oltre il risultato finale, che uniti, e scegliendo democraticamente, tutti insieme, e rispettando certe regole, si mettono in discussione risultati considerati scontati.
Si può “giocare la propria partita”.
Soprattutto, si mettono in discussione autenticamente le scelte “dell’altra parte” e si mostrano concretamente differenze sostanziali, e il metodo altrui.
Perché “fare politica” non è e non può essere solo fare scelte differenti, ma rivendicare un metodo ed un percorso autonomo e differente.
E se riprendiamo lo slogan della campagna di Pisapia, in questo senso “Milano libera l’Italia” può davvero essere già ora una “vittoria” se “il resto dell’Italia” fa suo il “metodo” delle primarie di Milano, senza metterlo più in discussione a seconda di piccole logiche locali e opportunistiche.
Così è stato a Bologna, Torino, anche se quei risultati “sorprendono meno”, e su quella scelta di metodo, ci si sofferma poco.
Però vorrei soffermarmi un attimo su Torino, città che conosco personalmente “un po’ meglio”.
A Torino era “difficile” che la destra vincesse – non per il candidato – ma per la proposta politica, ancora una volta inesistente. In una lunga sequenza che ha visto proposte come Rosso, Buttiglione…
E Torino che di “amore per se stessa” ne ha da vendere, pur essendo la città culturalmente e storicamente liberale e “moderata” per eccellenza, non può accettare uno schiaffo come una destra che si candida senza alcuna proposta che “ami Torino”.
Ma a Torino la sinistra non ha mai fatto l’errore di Bologna ai tempi di Guazzaloca (per altro persona, in sé, degnissima) candidando “il primo nome utile… tanto la gente ci vota lo stesso…” e con grande spirito e dignità ha sempre messo in campo sindaci di “spessore” e radicati, espressione autentica di quel territorio e di quella comunità e di quella esperienza culturale.
Ha giocato sin dai tempi di Diego Novelli personalità di spessore, e non dimentichiamo che il candidato anche prima di Chiamparino era Carpanini… e da ultimo ha scelto di far correre, anche alle primarie, senza “imposizioni predefinite”, una persona come Piero Fassino.
E questa è una seconda lezione di democrazia che dovremmo tutti imparare.
Si chiama rispetto.
Rispetto per quel territorio.
Rispetto per quelle comunità, per la loro storia, per la cultura locale.
È mettere davvero ed autorevolmente in campo le risorse “migliori” in un dato momento “al servizio” di quella competizione elettorale, e con una proposta concreta e aderente alle esigenze ed al “sentire” di un territorio.
Ed è questo, in fin dei conti, il limite forte che genera la ferita profonda del sistema elettorale “politico” – quello per cui non ci sono le preferenze; quello per cui ti ritrovi a eleggere “ideologicamente” persone che “devono fare i parlamentari” messi in “posizioni sicure” senza alcun legame o rappresentatività di quel territorio, di quella cultura, di quella regione…
Una ferita insanabile in un paese culturalmente e storicamente ontologicamente diviso.
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Venendo a Napoli…
…non intendo fare paragoni “qualitativi” – quelli, in definitiva, vengono di conseguenza.
Cominciamo dal “metodo”?
Le primarie sono state interpretate come una conta interna tra le componenti del Partito Democratico. Gli “altri partiti” hanno scelto “altre vie” per i propri candidati, in cerca qui di una visibilità nazionale.
Che sarebbe accaduto se, come a Milano, De Magistris si fosse candidato “con e tra gli altri”?
Io credo che un primo effetto positivo sarebbe stato indiscutibile: unire, e non dividere in fazioni.
È questo che fa vincere.
È questo soprattutto che crea programmi da realizzare veramente ampiamente condivisi, ampiamente appoggiati, largamente presentati e supportati… e soprattutto è questo che porta le persone a quella autentica partecipazione costruttiva che occorre al risveglio civile di una città come Napoli.
Nella “nostra” città (e mi rivolgo ai napoletani – perché pare che la città sia sempre di qualcun altro, mentre chiunque sia poi il sindaco, questa città resta nostra!) siamo partiti malissimo e modestamente abbiamo continuato anche peggio.
Mi permetto di fare presenti due cose, che passano sempre adeguatamente (quanto colpevolmente) inosservate.
Questa è stata la città “cantiere” del centrosinistra, questa è stata la città sulla cui governabilità si sono retti due governi nazionali (come non ricordare sulla questione rifiuti le telefonate …se fate così non abbiamo i voti al senato… etc etc).
Ma questa è soprattutto una città complessa, che avrebbe bisogno di una grande autorevolezza poggiata su di una vera volontà da parte di tutti di affrontare e risolvere davvero i problemi – anche seri – che abbiamo.
E invece la connivenza colpevole e responsabile dei ceti medi (mediocri) di questa città, l’assenza collusa e collusiva della componente “intellettuale” (quella che non è andata via), i piccoli interessi personali e particolari, commisti se non confinanti ove non collusi con quelli della criminalità (più o meno organizzata) offre facili sponde a più o meno ambiziosi personalismi.
Ecco che anche l’occasione delle primarie, che vorrei a sinistra quanto a destra ovunque e sempre, per essere una occasione di offerta “al rialzo”, diventano “farsa” sul cui palcoscenico dare/avere visibilità a/per qualcuno… quasi il comico di turno nel reality “la scelta dei candidati”.
E alla fine, come in ogni società in overdose da piccola comunicazione televisiva di intrattenimento, chi arriva ai fatidici ballottaggi, sono i due uomini “medi più medi” (vedasi il film – al singolare!).
Tra una settimana dovremo scegliere, tutti, tutti insieme, tra Lettieri e De Magistris:
Il primo, Gianni Lettieri, l’uomo che meglio rappresenta il peggiore affarismo fintamente imprenditoriale nostrano, un uomo colluso più o meno limpidamente con i diretti referenti politici delle nostre micro camorre, appoggiato da un consiglio mediocre e poco presentabile.
Colui che per meglio comminare gli interessi della speculazione immobiliare con quelli dei piccoli e grandi appalti, e contentare “un po’ tutti” di questa malsana e corrotta borghesia delle professione che gestisce il potere cittadino ininterrottamente dal regno delle due sicilie alla seconda o terza repubblica…. Si appresta a fare un grande e pulito inceneritore a Napoli Est.
Uno che sa scarsamente parlare in lingua italiana, e che faceva come imprenditore l’acquirente di aziende in crisi (spesso con soldi pubblici) per poi “liquidarle” e lucrare sulla “differenza”.
Il secondo, Luigi De Magistris, è la scelta migliore soltanto per “differenza”. Almeno non è un bandito! Detto questo non ha alcuna competenza amministrativa, difficilmente hai la possibilità di mettere mano a certe dinamiche gestionali, e oltre a stare lì per un gran bel risultato di visibilità personale… pare più che stia facendo di tutto per essere popolare ma non venire eletto.
Non si apparenta con PD e Sel, ma ne chiede i voti… quasi a preparare (con gli stessi toni demagogici della dialettica di tutta la sua campagna – poggiata sulla rabbia e sulla protesta – declinata e articolata differentemente a seconda degli interlocutori di turno) una sorta di alibi perfetto “se perdo è perché il pd e gli altri partiti, risentiti perché rappresento il nuovo, non mi hanno appoggiato”.
Se sul candidato di centrodestra non aggiungo altro, è perché sarebbe come sparare davvero sulla croce rossa. Ma se vincerà, sarà perché lo abbiamo voluto noi.
Sena unità, senza mettere insieme le forze migliori, con questa lotta fratricida, fintamente ideologica, alla ricerca della prima occasione utile per una piccola visibilità personale, giocando con il tatticismo del momento, avremmo consegnato la città, tutta intera, alla sua parte peggiore.
Se vincerà De Magistris, vincerà nonostante tutto, anche nonostante se stesso, e forse anche oltre le sue stesse ambizioni.
Se vincerà Lettieri, sarà perché glielo abbiamo consentito.