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Michele Di Salvo
08 Nov

capitolo 23. il popolo dei “social network”

Pubblicato da micheledisalvo  - Tags:  Attualità, comunicazione, network, Standard, social, socialnetwork, Società

23. il popolo dei “social network”

Uno dei problemi immediatamente riscontrabili nella “vita nei social network” è la forte tendenza a suscitare eccessi di protagonismo.

Il soggetto-autore protagonista della propria pagina e della scelta della comunicazione da attuare, con in mano uno strumento “che non costa” e privo di un senso di “responsabilità” oggettivo o sociale dei contenuti che “pubblica” viene proiettato in una dimensione che lo rende “pressoché onnipotente”.

Una delle critiche inoltre che è stata avanzata a questo tipo di strumento (o meglio di “contenitore”) di comunicazione, è che i Social Media livellano verso il basso la comunicazione, appiattendola sulla quotidianità e sulle frivolezze.

Dicono gli accademici più critici “Se Myspace poteva e doveva restare una grande risorsa riservata solo e soltanto ai musicisti di tutto il mondo, che potevano scambiarsi pareri e confrontare le loro creazioni, Facebook è partita con un approccio più simile alla creazione di una sorta di small world: schede di ogni iscritto, rete di contatti accessibile ai nuovi amici, comunicazioni funzionali e utilitaristiche o ludiche. Mettendo ciascuno al centro di un fotoromanzo, Facebook mostra tutti i suoi effetti problematici sulla vita delle persone, e sui cambiamenti che sta creando. Facebook diventa un formidabile strumento di deconcentrazione durante gli orari di lavoro, uno svago e una deviazione durante la giornata, una demenziale agenda setting, uno scarso veicolo pubblicitario, un vacuo strumento per accertarsi che i vecchi compagni di classe siano in vita. C’è una ragione per si ha smesso di frequentarsi: non si ha più nulla da dirsi. Facebook ne dà conferma.”

Aldilà degli approcci più o meno scettici, e delle più o meno motivate e ampie e profonde o superficiali critiche (per altro ampiamente collegate anche a fattori e punti di vista generazionali) è indiscutibile che ci siano molti problemi irrisolti, molte analisi no compiute, e molti elementi ancora da esaminare.

Intanto è innegabile che il “sistema” della comunicazione integrata, viaggiante sulla “rete” denominata Internet, sia ormai di per sé l'infrastruttura stessa della comunicazione, che diventa sempre più “inter-connessione” tra soggetti, gruppi e individui.

Una forma di comunicazione che certamente non cancella, né elimina, le differenze culturali e di classe sociale, ma tende a “eluderle” in “piattaforme” omogenee, in cui si “misurano” capacità e possibilità nuove.

Le nuove “grandezze” diventano la capacità di “attrarre” sui propri contenuti, la capacità di mantenere legami e collegamenti, di fare “gruppo” di generare a propria volta “rete”.

Una prima considerazione va fatta sull'approccio ai moltissimi strumenti “on-line” a disposizione delle generazioni che si sono prima susseguite e poi affiancate e convivono nel web.

Le fasce dei 30-40enni hanno “passato” la vita del web “passando” da strumento in strumento, attraverso processi di “sostituzione”, quasi alla ricerca “dello strumento” onnicomprensivo.

Dai Newsgroup a Mirc a ICQ a Messanger... sino alle attuali pagine, generalmente in un unico socialnetwork che diventa quasi “l'unico” strumento, cui saltuariamente abbinare altri canali, a mera “integrazione delle funzionalità” eventualmente mancanti (un esempio concreto: dal momento che ad esempio Facebook - che attualmente è il più diffuso tra i socialnetwork - non consente l'invio di “allegati”, allora si adopera la “consueta” mail per questo scopo).

Le fasce dei 20-30enni invece individuano strumenti specifici per ciascun canale di comunicazione, tendendo a razionalizzare sia la presenza che il contesto di utilizzo: Facebook per la propria pagina e per i contatti, sottogruppi per le discussioni, Messanger per le chat, Skype per le telefonate... contemporaneamente e distintamente, cogliendo i limiti e le peculiarità di ciascuna applicazione.

Come abbiamo visto, la società dell'era delle “resti sociali virtuali” è un insieme di soggetti che, profilati, appartengono a gruppi e insiemi “mobili”, modulati a seconda della “richiesta”: categorie che non esistono “in sé” ma che vengono di volta in volta aggregate.

Se tuttavia gli strumenti di profilazione sono validi ed efficaci per le generazioni sopra i trent'anni, non è altrettanto semplice lo scrinning e la relativa profilazione per gli under30.

Queste fasce generazionali infatti, non solo adoperano “strumenti differenti” ma spesso su canali differenti, con email di riferimento e registrazione diverse a seconda dello strumento utilizzato, e talvolta anche con strumenti hardware diversi: palmari, computer fissi e portatili, in luoghi “differenti”: è una “generazione mobile” che conosce una mobilità fisica naturale, come figlia della mobilità di idee, immagini e informazioni in cui “è nata”.

Il quesito per i “tecnici della comunicazione” è quindi affrontare le domande del “chi e cosa comunicare” attraverso la scelta di “quale” canale utilizzare, e, all'interno dei vari canali, “quale” strumento sia anche “il più efficace”.

Il quadro infatti che si sta delineando è quello della nascita di diversi e specifici “profili” dei vari social network: da una parte quelli “di massa” che hanno come obiettivo la massimazione degli utenti inquanto numero, lasciando poi a questa popolazione, tendenzialmente planetaria, la “suddivisione specifica” attraverso gruppi, lingue, paesi, lavoro, interessi, etc; dall'altra, la ricerca della specializzazione, non tanto settoriale, quanto di “target”, sulla falsa riga di quanto tentato da LinkedIn, che aveva l'obiettivo di stabilire e facilitare “contatti e relazioni” sulla base delle professionalità ed affinità lavorative. È in qualche modo la nascita dei primi social network “verticali”.

Anche se questi fenomeni sono e restano attualmente delle tendenze, non dobbiamo dimenticare che data la velocità di innovazione, trasformazione e ampliamento della “rete”, ogni tendenza è indice di un fenomeno “in divenire” e quindi come tale va considerato.

Nella società “globalizzata” (che non è però globale!) mentre una persona intuisce, certamente un'altra ha già pensato, e un'altra ha anche progettato, quello che qualcun altro sta già realizzando.

La caratteristica essenziale della rete sociale è quella del “meta confronto”; una sinergia che fa oltre il semplice “entrare in relazione” e scambiare (idee, immagini, opinioni, testi...), ma diventa una sorta di co-autorialità in cui il “contatto” diventa compartecipazione alla creazione del contenuto.

Quello che possiamo verificare nella esperienza comune è certamente una “interazione” fatta di condivisione, pubblicazione, scambio di opinione, replica, partecipazione ad un dibattito orizzontale (in cui cioè non vi è una “posizione dominante”) e... l'amplificazione della “notizia/contenuto”.

Quello che non è nel nostro controllo è la circolazione e la direzione che le informazioni e i contenuti hanno, in quanto ad esempio non potremmo mai verificare ed impedire che un dato contenuto diventi poi link, né avremmo alcun controllo sul dove, come e quante volte verrà ri-lanciato.

Il rischio concreto è quello di una sorta di “eccesso di comunicazione” dettata dal “trascinamento” della velocità della rete e delle interazioni; fenomeno che no lascia il giusto tempo alla riflessione ed alla individuazione delle “parole più appropriate”.

Non dobbiamo infatti dimenticare che il fatto che siamo “soli” davanti ad un monitor, non ci sottrae ad una posizione “pubblica, anche se apparentemente questa “molteplicità” non è visibile.

In più, usiamo una parola “scritta” cui non siamo (tutti) più abituati nelle nostre normali comunicazioni, e viviamo “in pubblico” senza lo strumento della comunicazione non-verbale e para-verbale, senza la retorica orale, e senza la “difesa” del “poco tempo” di esposizione al pubblico.

Ciò che scriviamo, pubblichiamo, e ancor più il come lo diciamo, come lo scriviamo, le parole che adottiamo, in qualche modo ci “profilano” anche “agli occhi” degli altri.

E ciò che “appariamo” finiamo con l'essere... nel web.

La cosa più semplice che si può verificare è che nel web venga ricercata una “identità parallela”: si comunichino quelle sensazioni, quelle emozioni, in maniera mediata e tutto sommato apparentemente protetta, che ci si illude di avere dietro la certezza di un monitor.

Scrivere, chattare, rispondere, mettere o togliere un link, una foto, o anche rimuovere un commento o inserire un gradimento, aggiungere o togliere un contatto, è infondo abbastanza semplice.

L'apparente gradimento, la percezione di vicinanza, di amicizia, di consolazione, di com-patimento, come di contrasto, durezza, antitesi, conflitto... anche queste sono le più semplici percezioni che possiamo avere – altrettanto falsate.

Queste sensazioni, che ci arrivano rapidamente, altrettanto rapidamente in genere spariscono, perché alla nostra esperienza percettiva mancano “tutti gli altri sensi” che in genere sono decisamente più veri e concreti della nostra interpretazione di un testo scritto in fretta.

Accade molto spesso che si rinunci persino a scrivere e comunicare direttamente il proprio pensiero, il proprio stato d'animo, semplicemente “rilanciando” un dato link, una frase, una immagine “presa altrove”: è come ricercare qualcuno che abbia “già detto” il come stiamo noi, forse in maniera più efficace di noi, forse per non dichiararlo “in prima persona”, forse anche solo per la pigrizia di “dire” (rinunciando così alla fase maieutica e autoriale), tornando anche nel web alla nostra fase di “soggetti generazionalmente televisivi” che rilanciano mode, oggetti e contenuti.

Anche più spesso accade che la propria pagina sia una sorta di “dichiarazione di principio”, di descrizione del come si vorrebbe essere, delle cose in cui crediamo, del come vorremmo trasformare la nostra vita concreta, senza però fare “lo sforzo” di compiere concretamente quelle scelte e di combattere quelle battaglie, accontentandosi di questo sottoprodotto virtuale e di questa “veste” creata in questo non luogo, dove si diventa ciò che si vorrebbe e si raccoglie consenso attorno a questa proiezione.

Una delle esperienze più comuni, soprattutto alla generazione over30, è che uno strumento web, uno stesso canale di comunicazione, “nasca in un modo”, nel senso che abbia inizialmente un determinato spirito, una certa filosofia, nasca con un determinato scopo, e subisca delle profonde trasformazioni.

I social network sono comunque “fatti dalle persone” e le “pagine” che costruiamo vengono modificate proprio dalla interazione di questi contatti.

E sia le modifiche che le direzioni non sono prevedibili, per quanto si possono certamente dare delle regole e delle impostazioni “comportamentali”.

Al “variare” dei contatti, oltre che della loro capacità interattiva, cambierà anche la conformazione della nostra presenza in quel social network, e difficilmente una certa impostazione “iniziale” potrà essere modificata nel tempo: restiamo persone, anche nel virtuale, e le “abitudini” come insieme di linguaggi e di comportamenti e di stili, “ci appartengono e caratterizzano”.

A questo punto la “soluzione” è quella della “separazione degli ambienti” - quello che “normalmente” le generazioni under30 fanno, attraverso l'individuazione quasi istintiva di strumenti diversi e di canali comunicazionali alternativi, le generazioni over30 devono in qualche maniera “ingegnerizzare”.

È facile ad esempio creare nuove pagine e nuovi profili anche su uno stesso social network (nel caso di facebook si stima ad esempio che circa 1/6 degli utenti abbia più di un profilo, e tra questi, il 75% ha oltre 30anni), suddividendo i contatti o anche semplicemente impostando linguaggi e contenuti differenti.

Meglio ancora sarebbe individuare tra i vari strumenti di net-working, a seconda delle sfere sociali, quelli più confacenti alle esigenze sia di comunicazione che di socializzazione che di lavoro.

La regola comunque “madre” appare sempre più comunque quella del “dosaggio” delle parole, attraverso un linguaggio di registro maggiormente calibrato, senza lasciarsi trascinare dalla rapidità dei tempi dell'interconnessione.

Impostazioni grafiche, e misurazione dei tempi della comunicazione diventano in questi contesti “strumenti” sostitutivi e integrativi del “non-verbale” della nostra comunicazione scritta.

Dosare le parole, pensarle con maggiore attenzione al “questo è quello che scrivo io, ma cosa arriva (o peggio) cosa può arrivare dall'altra parte” sono infondo le regole base della retorica classica, cui in qualche modo, in attesa di una maggiore interazione multimediale e multisensoriale, dobbiamo reimparare a tornare... tutti.

Diventa prioritario costruire una comunicazione, nel tempo, con coerenza, e con “lentezza”; non si può avere la fretta di “arrivare” ad un dato risultato comunicativo, che invece va costruito e misurato sulla base della interazione, senza che venga abbandonato alcuno dei canali di comunicazione che vengono “scelti”.

[dalla prima bozza - e ovviamente non è aggiornato con le ultime applicazioni e integrazioni - ma il senso resta immutato]

http://www.disalvoeditore.it/?ac=scheda&i=216

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