Cos'è uno sciopero generale... ovvero una lettera a Susanna Camusso
Che cos’è uno sciopero generale?
La domanda me l’ha fatta mia figlia di sei anni, che in realtà già lo sa che cos’è uno sciopero, ed anche generale, ma voleva in qualche modo chiedermi “il perché”.
Come ha affermato Susanna Camusso, lo sciopero generale è l’unico sistema che hanno “i lavoratori” di far sentire la propria voce ed opporsi a scelte che li toccano e che non considerano giuste.
Ottima definizione, segretario.
Credo che chiunque nella propria dimensione lavorativa e professionale dovrebbe avere uno strumento “simile” per manifestare il proprio dissenso al punto che prevalga, in momenti così difficili e complessi, il bisogno di contarsi faziosamente in piazza, al costo di danneggiare anche gli altri, ed al prezzo di privarli dei loro diritti.
Già.
Quella vecchia logica faziosa e di parte che ha ucciso il nostro paese, guardando solo all’interesse di casa propria, al proprio consenso.
Ebbene, io credo che questo Paese abbia problemi seri, ed attende risposte serie e responsabili.
Credo, dal mio punto di vista, di aver “osservato abbastanza” che chi oggi, in una generazione lontana dalla mia, occupa posizioni di un certo rilievo, quelle posizioni – dirigenziali dell’intero paese – le abbia raggiunte e consolidate attraverso una serie (lunga!) di compromessi politici, “diplomatici”, correntizi, e spesso anche “morali”.
Credo che queste mediazioni, continue e su tutto, alla ricerca dell’appoggio più ampio, necessario ad esempio per un laureato per diventare ricercatore, per diventare assistente, per “vincere” una cattedra” e poi “con-vincere” e diventare preside di facoltà, per non parlare di rettore… siano “il” male dell’università… ed è lì, che formati a questa logica di cursus honorum perverso, i giovani “imparano” e assimilano il come si fa strada in questo paese.
Là, dove dovrebbe prevalere merito ed eccellenza, e là dove la “ricerca” dovrebbe fare da motore al Paese, là le vecchie logiche e le vecchie generazioni lavorano alacremente a deviare lo spirito più dinamico e pulito delle nuove generazioni.
In un percorso univoco che da solo tre strade: omologarsi e diventare parte del vecchio, legittimandola e legittimandone le logiche, rifiutarle e finire nella mediocrità frustrata e frustrante, tipica degli occhi spenti di molti miei coetanei, o scegliere di non perdersi e andare via, togliendo (salvificamente) a questo paese la sua parte migliore e più pulita.
E partendo da queste considerazioni ...
Caro Segretario Camusso,
Mi permetto di intervenire “da sinistra” sulle modalità dello sciopero del 6 settembre.
Oggi questo sciopero non mette né toglie nulla alle contestazioni alle misure economiche di questo governo, perché sono mesi che si discute di ogni genere di misura e di manovra
economica e tutte le parti sociali – che non sono solo “operai e padroni” ma tante ed articolate categorie di professionisti, artigiani, piccoli imprenditori, lavoratori autonomi, precari… da altrettanti mesi criticano manifestando in ogni modo (più produttivo) il proprio dissenso.
Questo sciopero è solo una conta, l’ennesima conta, e una divisione, l’ennesima divisione, che non serve al Paese e non serve ai lavoratori.
E per farlo lei ha scelto di usare uno strumento indispensabile alla vita democratica di un Paese.
Ma è uno strumento serio, che non può (più) essere ridotto a “uso politico di parte”.
Come tutti gli strumenti democratici, si accompagna ad altri, che ne fanno “sistema”; sa quella cosa complessa ed articolata che si chiama “sistema democratico” – fatto di diritti ampi, condivisi, collettivi.
Quelli di cui lei parla dal palco di Roma, quando chiede anche di “far pagare a chi non ha mai pagato”, di abolizione dei privilegi e dei costi della politica in difesa dei lavoratori e dei
cittadini tutti.
Ci ha parlato di difesa della democrazia, in altre parole.
E allora segretario le chiedo alcune cose.
Le chiedo che rinunci all’auto blu e che con lei gli oltre trecento segretari confederali almeno un paio di giorni a settimana restino concretamente sul proprio posto di lavoro,
le chiedo che non viaggino in prima classe, che non cenino in ristoranti e pernottino in
alberghi di lusso, con i conti pagati dai soldi delle tessere dei suoi lavoratori.
Le chiedo che quando lei parla di evasione fiscale, di pagare tutti, di contratti stabili, di scandalo dei bilanci falsi, la CGIL
che è la più grande e importante confederazione sindacale di questo Paese, dia l’esempio, pubblichi i suoi bilanci, assuma i propri dipendenti con contratti a tempo indeterminato e secondo categoria professionale, che
non abbia “società di servizio” proprie e, peggio, di lavoro interinale.
Le chiedo, se non è troppo, di dare l’esempio concreto di ciò che ha detto dal palco di Roma.
E visto che la democrazia non è il privilegio di esercitare un singolo (sacrosanto) diritto, ma il pieno rispetto di ogni diritto in una logica di equilibrio tra diritto di espressione e accettazione del dissenso, le chiedo – stavolta da editore, oltre che da lettore – di rispondermi ad una semplice, piccola domanda.
Lei ha indetto uno sciopero (costituzionalmente garantito) e ha un palco da cui ha espresso il suo dissenso e la sua opinione (costituzionalmente e contenutisticamente ineccepibile), ma tutto questo non le sembra incoerente con la sua decisione, presa dall’autorità che le deriva dalla sua posizione istituzionale di impedire l’uscita di un giornale, il primo quotidiano nazionale, il Corriere della Sera?
Negando la “deroga”, come d’uso sempre concessa in questi casi, Lei è arrivata a minacciare un ulteriore “sciopero mirato” qualora si fosse tentato di far uscire ugualmente il giornale con le maestranze presenti, e lo ha fatto solo ed unicamente perché “infastidita” da alcuni titoli critici da parte del Corriere della Sera nei confronti di alcune sue posizioni.
La maggior parte degli altri quotidiani sarà in edicola.
Da lavoratore, da “intellettuale”, da cittadino, da lettore, da “persona di sinistra”, credo che questa sua scelta segni una pagina davvero triste della storia del sindacato che lei rappresenta (e che non è di sua proprietà).
Credo che questa decisione, e questa minaccia, nella parzialità dei diritti che lei sceglie di difendere, di utilizzare e di trascurare, faccia cadere nel vuoto, e faccia perdere di senso, valore e peso, a molto di quanto ha detto dal palco di Roma.
E le ricordo, che quando si sciopera, ogni singolo lavoratore quella giornata di sciopero la “paga in busta paga”.
Tutti, indistintamente, anche in questo momento così difficile, paghiamo questa giornata circa 5miliardi di euro.
Tutti signora segretario.
Meno lei.