Due mercati in un unico Paese - (Bookshop 1 - 2010)
Molto spesso nelle molteplici e altrettanto spesso soverchie “discussioni” sul mondo del libro, ci capita di parlare di “editori” come di “librai” come se stessimo parlando di un unico mercato, con “soggetti” che, ciascuno nel proprio ruolo, operano e si muovono in maniera “analoga” o simile. Ai librai dovrebbe apparire chiaro tuttavia che io, come editore, faccio un grosso errore se paragono la realtà di una media libreria – diciamo con una superficie di 80mq, gestita da un libraio “con una propria insegna” - con quella di una “libreria di catena”… sia il primo che il secondo mi risponderebbero che “stiamo parlando di realtà diverse”, con problemi, costi, metodologie gestionali differenti… Io su questo concordo in pieno – ma chiederei ai librai di non fare l’errore che spesso loro per primi criticano a noi editori: di non valutare cioè le differenze e le specificità. Quando i librai chiedono delle particolari condizioni commerciali, spesso dimenticano le specificità delle caratteristiche degli editori – confondendo tra loro i vari soggetti come se tutti gli editori facessero “lo stesso mestiere”. Così non è, ed è bene che qualche volta si “perda un po’ di tempo” a spiegarsi e a sforzarsi di comprendere i perché, di più e meglio. In quest’unico Paese ci sono “due mercati” del libro – perché ci sono “due operatori” differenti: da una parte ci sono le circa 1.500 sigle editoriali di coloro che, ciascuno a proprio modo, chi meglio, chi peggio, chi con una sua specificità, chi con una sua specializzazione, e ciascuno con tutte le differenze e distinzioni immaginabili, semplicemente “fanno libri”. Ecco cos’è in sintesi “un editore”: un soggetto che “fa libri”. Poi cerca con difficoltà di distribuirli, farli arrivare al lettore, venderli… e con queste risorse cercare di fare “altri libri”… sperando sempre e cercando comunque, che quelli che vengono “dopo” possano essere anche e sempre “migliori” di quelli “venuti prima”. Dall’altra ci sono quattro o cinque soggetti, che controllano un centinaio di sigle editoriali (marchio più, marchio meno conta poco…) che in questo settore si reggono “facendo finanza”. Cosa fa un editore del primo gruppo: spedisce i libri in libreria, lo fa con una “bolla”, li manda in “deposito”, e con uno sconto orientativo del 40%. Attende alcuni mesi e poi chiede una rendicontazione del venduto, su questa emette una fattura e attende qualche altro mese perché venga pagata… solo per l’effettivo venduto dal libraio e riceve solo danari che il libraio ha precedentemente incassato dai suoi clienti/lettori. Cosa fanno i “soggetti” del secondo gruppo: mandano in libraria solo quantitativi “imposti”, li mandano con fattura, che andrà pagata a 60 o 90 giorni, e con uno sconto orientativo del 30%. Il libraio a scadenza deve pagare (che abbia venduto o meno) – poi e solo poi – può chiedere di effettuare una resa – che viene semmai autorizzata e spesso non completamente – e riceve una “nota di credito” da scalare dai “futuri ordini”. In pratica, accade spesso che i librai paghino le fatture dei secondi con gli incassi fatti per le vendite dei libri dei primi. In pratica gli editori così detti “piccoli” finanziano (da un lato) la libreria che (per ricambiare) finisce con il “fare finanza” per i secondi. In questo va aggiunto qualche dettaglio: sulla base delle fatture emesse, gli “editori grandi” vanno dalle “banche” e si fanno anticipare i capitali necessari per “andare avanti”. Sulla base delle bolle emesse gli “editori piccoli”… non vanno da nessuna parte! Ora… premesso che il sistema è questo (per quanto possa sembrare un “raccontino di parte”, ma sfido chiunque a dimostrarmi che non è così, per quanto, e caso per caso, può cambiare di qualche punto lo sconto o variare di qualche settimana la scadenza di pagamento) la domanda è: secondo voi, secondo tutti noi, quanto e per quanto ancora questo sistema si può “reggere”? Il fatto che “manchi poco” al collasso è, a ben leggere i fatti, sotto la facile comprensione di tutti: perché Feltrinelli avrebbe acquisito PDE? Semplice, per avere un soggetto “altro” per fare finanza (da un lato) e per “rosicare i margini” dall’altro. E chi la paga, davvero, questa “incorporazione”? semplice… i 350 soggetti distribuiti da Pde! Perché? Perché quando Feltrinelli non riconosce alla rete di promozione le provvigioni sul venduto degli editori distribuiti da PDE stessa nelle librerie Feltrinelli, secondo voi, i libri di chi non verranno promossi? Il fatto che molte librerie chiudano, secondo noi tutti, da che dipende? Davvero sono tutti “cattivi amministratori” che non sanno gestire la propria attività?
Secondo questa “costruzione di sistema” la percezione di un “lettore medio” alla fine è che un marchio come Mondadori sia davvero così “grande” da contare una quota non inferiore al 30% del mercato del libro… mentre tutti sappiamo che la sua reale quota di mercato è di poco superiore al 9%... bene quella “sottile differenza” tra il percepito e la realtà sapete chi la “crea” nell’immaginario collettivo? Semplicemente noi, noi tutti, continuando ad alimentare questo sistema in questo modo. Ora, noi possiamo anche continuare a “fare le cose così”, ma l’effetto sarà che i piccoli, continueranno a essere sempre più piccoli e progressivamente a chiudere. Chiudendo non ci saranno più soggetti che finanziano le librerie e che quindi finanziano i “cosiddetti grandi” che alla fine collasseranno… questi ultimi però, che lo hanno già compreso, pensano di correre ai ripari “sostituendo” la rete commerciale, ovvero creando le “proprie” catene librarie… Spiacenti, ma non funziona!
Non funziona perché altrimenti non si spiega come mai le varie librerie Mondadori non vengono riempite solo con libri Mondadori visto che pare che da sola la Mondadori venda così tanto! Non si spiega perché differenziare il marchio, ad esempio creando le varie Edicolè e surrogati. Non si spiegherebbe come mai ormai nelle Feltrinelli trovate sempre più CD, Film, DVD, computer e simili, musica, caffè, cartoleria, oggetti per la casa, design, il boxoffice, strumenti musicali… tra un po’ anche caramelle e detersivi!
Il fatto è che mentre in tutti i settori merceologici, ciascun negozio ha il suo target, il suo “modello”, la sua clientela, la sua propria linea (pensate ad esempio ai ristoranti o ai negozi di abbigliamento) le librerie sono sempre più, e sempre più pericolosamente, tutte uguali: non c’è un’autentica specificità nelle scelte di “prodotto” e quindi il “lettore medio” andrà sempre più nelle “librerie grandi” che sono quelle “di catena”, perché alle spalle hanno “la finanza che li finanzia”, semplicemente perché lì “hanno più scelta” – che è scelta solo apparente perché manca quello che è, o dovrebbe essere, il vero plusvalore di una libreria, ovvero la selezione.
In un Paese solo, in cui ci sono due mercati differenti, in cui uno “succhia” le risorse all’altro, quello che è in gioco è troppo alto per essere svenduto, e si chiama pluralismo. E ce lo stiamo giocando tutti insieme senza nemmeno accorgercene; eppure, basterebbe un sano “conflitto di interessi” per alimentare il vero interesse comune tra tutti i soggetti: librai ed editori… quelli che vendono i libri e quelli che i libri li fanno.