sugli "autori rifiutati"
Leggo sempre con molta attenzione gli articoli, ed anche e soprattutto le “provocazioni” che spesso vengono “lanciate” da chi si esprime e scrive di editoria.
Lo faccio, senza retorica, perché credo che ci sia (o ci possa essere) sempre uno spunto, un punto di vista, che possa aiutare a migliorare qualcosa nel lavoro che ciascuno di noi fa tutti i giorni; e credo sempre che alle volte i contributi migliori possano arrivare dalle “vie più impensate”.
Ho letto l’articolo che, come sempre, e lo ringrazio, Andrea Mucciolo ha scritto e mi ha segnalato.
La mia risposta va esattamente nella direzione che ho indicato prima: fare un po’ di chiarezza su alcuni punti, o quantomeno lanciare anche io uno spunto di chiarezza, partendo dalle sue argomentazioni.
Intanto mi sembra “troppo facile” partire da casi clamorosi e leggerli solo “in una direzione”.
Se è vero che qualche casa editrice ha scartato alcuni lavori che invece erano assolutamente da pubblicare, è anche vero che la stessa storia dell’editoria mostra come gli stessi non siano rimasti inediti, e nemmeno a lungo.
L’idea da cui parte Mucciolo è quella di collegare quasi illogicamente la “lettura di un romanzo” con una questione di gusto (formale e/o sostanziale) soggettivo dell’editore o dell’editor.
È bene quindi fare un po’ di chiarezza.
Per chi studia economia, una delle “disfunzioni sistemiche” risiede nella cd. “informazione imperfetta” – concetto nel quale si racchiudono quell’insieme di fenomeni per i quali è un costo per un committente trovare un fornitore, e certamente non vi è un incrocio “perfetto” tra la migliore domanda e la migliore offerta” (condizione che invece il libero mercato spesso considera scontata e auspicabile).
La “informazione imperfetta” è però anche quel fenomeno per cui spesso non sappiamo in realtà come funziona un’azienda, un sistema, un mercato, un settore… e tendiamo a integrare ciò che non conosciamo con quanto immaginiamo debba essere.
Non è una colpa – solo un fenomeno umano naturale – che però dobbiamo conoscere e di cui dobbiamo prendere atto, per cercare di limitarne gli effetti “eccessivi” e spesso distorcenti.
Intanto provo a rispondere ad alcune delle domande contenute o sottese nell’articolo.
Un romanzo non è “inadeguato” – non si fa una valutazione di “lunghezza quantitativa” – non si entra nel merito se e quanto piace “esteticamente” al lettore della casa editrice… per quanto questa sia una tentazione sempre in agguato in chi legge.
Tanti manoscritti tuttavia è estremamente corretto affermare che “vengono scartati perché non in sintonia con la linea editoriale” – tuttavia la linea editoriale è qualcosa di profondamente diverso dal “gusto di lettura”.
E per quanto possa apparire “limitante in tempi di crisi” in realtà è proprio in tempi di crisi, in cui le risorse vanno ancor meglio gestite ed indirizzate, che questo parametro è ancora più rilevante.
Quello che non viene considerato è esattamente cosa sia e come operi una casa editrice.
E si immagina o si considera solo con grande parzialità statistica, il processo di valutazione e di analisi testuale – e si rischia – concretamente – di ritenere che molti libri siano scartati per la poca preparazione professionale, tecnicità, gusto, di chi fa l’editor o il lettore in una casa editrice.
Nel nostro paese, e così più o meno anche negli altri, esistono molte case editrici.
Eccezion fatta per le cd. grandi, spesso solo “grosse” case editrici, la maggior parte sono aziende di “medie dimensioni” con una capacità selettiva limitata (anche perché altro equivoco diffuso è che il costo di un libro corrisponda al costo di stampa – il quale in realtà corrisponde a meno del 25% del reale costo di realizzazione di un libro!).
Ogni casa editrice si dà delle mission, dei generi letterali, dei “filoni” di pubblicazione, e tutto questo rientra in un progetto editoriale ed anche industriale, che arriva al pubblico in quello che viene sinteticamente visto sotto forma di “collane” – che a loro volta racchiudono “generi letterari” e temi trattati.
Concordo che nel nostro settore, troppo spesso, siamo tutti vittime di un altro aspetto della “informazione imperfetta” – ovvero che troppo spesso arrivano testi non coerenti con la casa editrice, con le sue collane, con i generi trattati: un po’ come se un ottimo testo di giurisprudenza arrivasse sul tavolo di un editor di una casa editrice che pubblica libri per bambini.
Questo però dipende dagli autori – nel come indirizzano le proprie opere.
E concordo che troppo spesso vi è una profonda difficoltà nel fare incontrare un buon libro, con il suo “lettore naturale” – e questo è un problema che non riguarda solo le librerie e il come vengono gestite ed organizzate – e sarebbe anche troppo facile ritenere che sia “per la poca pubblicità” fatta da parte della casa editrice.
Forse uno degli aspetti più patologici è semmai nella “troppa proposta” editoriale, in un paese che legge 1/5 della Francia, e la cui area linguistica è 1/6 dell’area di lingua francese, noi pubblichiamo dodici volte quello che viene pubblicato oltralpe.
Forse, dovremmo pubblicare meno, in maniera più efficace, non illudere che molte cose per il solo fatto di essere “scritte bene” debbano anche essere necessariamente “un libro”.
Forse, per questa via, riusciremmo ad essere anche tutti più efficaci; nel convincere le librerie, nel promuovere meglio, nell’accorciare le filiere, nel raggiungere il lettore, nel dare maggiore cura a ciascun libro…
Forse, e qui ci metto anche la mia di provocazione, ogni autore che voglia davvero essere pubblicato, prima di mandare il proprio scritto, dovrebbe perdere una settimana della propria vita in una casa editrice, comprendendo come avviene un lavoro di lettura e di selezione, verificando che è un costo e non un’opera del puro intelletto, scendendo nel merito dei criteri che adottano le case editrici, ciascuna nel suo… approfondendo davvero cosa sia l’editoria, e non dando forma alla propria visione romantica e romanzesca di questo settore.
Forse, una effettiva azione di conoscenza reciproca, aiuterebbe tutti ad uscire dal troppo facile equivoco (e spesso alibi) per cui se ho successo sono un grande scrittore, se il mio libro on funziona è per colpa dell’editore… che dovrebbe (e esagero apposta per dare un’idea complessiva): farmi da agente, da promoter, da tassista, correttore di bozze dalla più elementare grammatica alla più alta forma di sintassi poetica e metrica, farmi da manager pubblicitario… semmai da produttore e regista cinematografico… fino a tradurmi in tutte le lingue e dialetti del mondo…
Ecco, se vogliamo dare una chiave costruttiva a questo scambio di articoli, dovremmo davvero tutti fare un piccolo passo indietro di “umiltà intellettuale”, e imparare a “conoscerci meglio”.
Ciascuno nel suo.
Ma con maggiore consapevolezza.