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Michele Di Salvo
24 Nov

La grande sfida che ci attende e la chance di una classe dirigente nuova

Pubblicato da micheledisalvo  - Tags:  crescita, giovani, Monti, paese, Pensioni, Politica, Società, sud

Faccio subito una premessa, che potrebbe sembrare ovvia: non esistono “governi tecnici” in un sistema parlamentare. Questa piccola affermazione non premette solo il dato ovvio della necessità tecnica della fiducia delle Camere, ma significa anche che le forze politiche rappresentate in parlamento, concretamente, mediano, discutono e propongo interventi diretti nell’azione di governo, e questo significa anche che, al di là delle “larghe intese” iniziali, l’appoggio parlamentare può sempre variare nel tempo, ed anche misura per misura. Questo governo nasce da un momento molto delicato della nostra storia e soprattutto della nostra economia. Nel nostro Paese dagli anni sessanta non c’è mai stata una linea di programmazione economica né nello sviluppo da dare al Paese, né nel modello da seguire, né nelle politiche di gestione del debito pubblico. Questo per cinquantanni, portandoci ad una situazione insostenibile, soprattutto in un’economia globale e globalizzata, ma priva di regole globali.

Scontiamo l’arretratezza delle nostre infrastrutture rispetto alla variazione della composizione della nostra economia: un paese che si regge sul terziario, ma che pensa ancora a un modello infrastrutturale legato ad un modello industriale che non c’è più dalla fine degli anni settanta. Siamo un Paese in cui il sistema dell’assistenza è fuso con quello della previdenza, senza che si sia mai fatta una riflessione seria su quale modello adottare, soprattutto in funzione delle variazioni delle curve demografiche. Un Paese in cui non si è mai messo mano in maniera radile al divario tra le regioni meridionali e quelle settentrionali, anche tenendo conto di una logistica di proiezione rispetto a due continenti, che di per sé avrebbe potuto costituire la fortuna dell’intera penisola. Siamo un Paese in cui, senza mai affrontare una vera e seria politica generazionale, è stato costruito un divario strutturale tra generazioni ipergarantite e generazioni senza alcuna tutela, e peggio, senza alcuna prospettiva effettiva. Questo, soprattutto, è un Paese in cui una mediocre classe politica, non ha mai effettivamente svolto il suo ruolo di mediazione e parlamentarizzazione delle tensioni sociali, nella prospettiva di una programmazione equa e solidale, come previsto dalla nostra costituzione e dal bagaglio della nostra cultura nazionale.

Ogni volta che nella nostra storia è stato inevitabile riformare in modo serio alcuni aspetti della nostra società, la classe dirigente ha sempre trovato l’escamotage della deresponsabilizzazione diretta, e dietro (paradossalmente) il termine di “responsabilità” ha affidato ad altri il compito di fare quelle poche ma indispensabili riforme sociali necessarie a far passare la congiuntura. Anche in questo momento, tutte le forze politiche si sono “accordate” per non assumere su di sé la responsabilità politica e sociale di scelte difficili, dure e profonde, che pure erano (e lo sapevano tutti) necessarie, ed ora diventano indispensabili ed ineluttabili.

Occorre oggi fare quello che per cinquantanni, per responsabilità, connivenza e collusione di tutti, non si è mai fatto: affrontare e ridurre il divario generazionale, modificare il sistema delle tutele sociali per poterle rendere effettive per tutti (ciò che passa per “riforma del mercato del lavoro”), occorre effettivamente garantire una previdenza per tutti, senza eccessi ma con delle garanzie minime collettive quantomeno accettabili, chiamare per nome l’assistenza e porla a carico del sistema pubblico, eliminandone eccessi e sprechi (ciò che passa sotto il nome di riforma del sistema previdenziale). Comunque le si chiami, queste riforme sono necessarie e vanno compiute, e questa volta, come altre, questo Paese che ha in sé grandi risorse inespresse e non sempre valutate opportunamente, ha saputo “imporre” un governo qualificato. E già sappiamo, come nella consuetudine della nostra storia patria, che alla fine di questo arduo compito, peseranno maggiormente i costi sociali sopportati, mentre il risultato saremo tutti pronti a considerarlo minimo, ovvio, scontato. La vera chance questa volta però è un’altra.

Ci aspetta un anno, se non di più, per fare delle scelte importanti sulla qualità di ciò che verrà dopo. Mario Monti e il suo governo offrono, al di là di un sistema di regole nuove, profondamente differenti, la possibilità di scegliere uno stile di persone differenti e soprattutto una qualità umana che questo Paese può esprimere. La vera sfida per i partiti non è quella di appoggiare o meno l’iter parlamentare delle varie misure che questo governo proporrà. La vera sfida che si apre è un tempo utile ad attivare un processo di cambiamento delle classi dirigenti di ed in tutti i partiti. La vera sfida, per noi, sarà concederci un giusto tempo per esigere, dalla base, una classe dirigente per stile e competenza differente rispetto a quanto sino ad oggi ci è stato proposto, e spesso imposto, dai nostri rispettivi partiti.

Se accetteremo e vinceremo questa sfida, allora quei sacrifici che dovremo inevitabilmente tutti fare, non saranno solo l’ennesima “misura d’emergenza” e non avranno solo come esito il riequilibrio (momentaneo) della nostra economia. Il vero investimento sarà un nuovo modo di concepire la rappresentanza politica, per stile e qualità differenti della nostra classe dirigente. Una classe dirigente che nei momenti “difficili” saprà assumersi la responsabilità delle scelte impopolari. Una classe dirigente fatta di competenze autorevoli, e di professionalità serie al di là dell’appartenenza politica. Una classe dirigente che saprà effettivamente assolvere al proprio ruolo di mediazione sociale e di parlamemtarizzazione delle istante nazionali e locali. Una classe dirigente che abbia le qualità per ereditare uno sforzo collettivo e renderlo fruttifero nel tempo, proseguendo in quelle riforme necessarie a tutti, che certamente non si potranno fare, tutte, in un anno solo. Ma questa è una sfida che on possiamo delegare ai partiti, né di cui noi come cittadini possiamo ritenerci irresponsabili; è questa la sfida che compete a noi, come forza propulsiva delle scelte di chi fa politica.

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