La nostra economia 2 - Le armi della finanza nel nostro quotidiano
Per non appesantire troppo la lettura, alla fine di questo "articolo" ho inserito due documenti. Il primo affronta il mondo delle azioni, quelle quotate in borsa, e la loro “sofisticazione” finanziaria. Le azioni strutturate Il secondo, molto più complesso ed articolato, tratta le obbligazioni. Ho cercato, nonostante l’alta tecnicità dell’argomento, di essere “semplice” e mi scuso preventivamente di non esserci sempre riuscito. Ho comunque inserito annotazioni “meno tecniche” in corsivo… Le obbligazioni strutturate
Quando un sistema finanziario non è in equilibrio tra i suoi vari strumenti, o alcuni di essi non vengono usati in maniera coordinata per uno scopo di “armonizzazione” e di crescita, ma solo per ragioni di pura ragioneria, le ripercussioni economiche sulla società possono essere drammatiche. La grande industria si muove sulle esportazioni, e la maggiore o minore svalutazione di una moneta può fare la differenza tra avere o meno acquirenti, il che equivale a produrre o meno, il che significa assumere o licenziare. Le aziende hanno bilanci che spesso si reggono su margini operativi contenuti in un 10/12% del proprio fatturato. Se il costo finanziario per queste aziende aumenta di 3-4-5 punti percentuali in un anno, fa da solo la differenza tra un utile e una perdita, e quindi tra investimenti o licenziamenti. Una famiglia media è indebitata (prestiti, scoperto di conto corrente, carte di credito, mutuo) per il 50% del proprio reddito, con un tasso medio del 13%. Un aumento del costo complessivo del denaro per le banche di 3/4punti si traduce in un aumento anche del 6% del tasso medio pagato dalle famiglie – il che ne traduce l’indebitamento al 60%. Una famiglia che si vede erodere il proprio reddito solo dagli interessi, ridurrà la propria propensione a spendere. Ridurre le spese significa acquistare meno, e quindi contrarre anche la produzione dei beni, con ripercussioni sull’intera filiera commerciale.
Ecco perché il debito pubblico, il costo del denaro, e finanche lo spread, ci riguardano e ci toccano tutti, tutti i giorni. Perché sono le armi di cui dispone la finanza, e sono molte, e sempre più raffinate. Essenzialmente hanno come oggetto ed effetto le politiche e i flussi monetari. Alcune di queste abbiamo imparato a conoscerle di recente, anche se in maniera superficiale. Parole come spread, asta titoli, tassi, costo del denaro, reating, sono diventate di uso comune, anche se non sempre se ne conosce l’esatto significato, e certamente poco se ne sa degli effetti sulla nostra vita reale. Cerchiamo di fare qualche esempio.
Il tasso di interesse, è il pagamento del prezzo per avere un certo credito. Il tasso di interesse è un “attrattore” di capitali, o un dissuasore. Più è alto, più saranno i soggetti interessati a quei titoli. Ma più è alto, tanto maggiore sarà il rischio di insolvenza di quel debito. Nella media tra rischio ponderato e tasso di emissione i mercati finanziari fanno sì da regolare la domanda di denaro con l’offerta di titoli di debito. È chiaro anche un tasso di interesse indica la solidità di chi fa richiesta di denaro. Un esempio eclatante è quanto si è verificato nel 2008, quando la banca centrale americana (la FED) era considerata così solida e le banche così rischiose (anche semplicemente per depositarvi i soldi sui conti correnti) che per ben due volte si sono registrati tassi “negativi” – ovvero l’emissione di titoli sovrappagati; come se per le persone pagassero il governo americano per tenere al sicuro i propri risparmi, e pagavano interessi al governo federale per questo servizio di custodia e per avere la certezza che il capitale venisse poi rimborsato (nella prima asta si pagava 100,7 per avere100 a scadenza, nella seconda 100,55). Normalmente siamo abituati a pagare un tasso di interesse sui mutui, piuttosto che sui prestiti che richiediamo e riceviamo dalle banche. Questo tasso, che in genere ha delle forbici minime e massime, dipende da tre fattori. Da quanto l’istituto di credito ci reputa “solvibili”. Da qual è l’indice di insolvenza complessivo dei clienti di quella banca. Da quanto è il costo del denaro che la banca deve a sua volta acquistare per darlo in prestito. In altre parole, con l’interesse che noi paghiamo sui prestiti che riceviamo, copriamo: i costi della banca (di struttura), il tasso che la banca a sua volta deve pagare agli istituti finanziari da cui acquista il denaro, e coprire almeno in gran parte le insolvenze degli altri clienti.
Cerchiamo di capire che cos’è dunque il costo del denaro e quale sia il ruolo delle Banche Centrali. È il prezzo (calcolato in termini di tasso percentuale) che le banche pagano alla banca centrale di riferimento per acquistare denaro. Ogni Paese ha una sua banca centrale. In Europa prima della BCE, ciascuna nazione aveva una propria politica monetaria, perché ciascuna banca centrale poteva “emettere” denaro, e regolarne i flussi attraverso tassi e quantità. In pratica se si voleva far arrivare maggiore disponibilità alle banche e quindi ai cittadini ed all’economia nel suo complesso, si abbassavano i tassi (il costo) del denaro, e si “dava” una certa quantità di denaro. Chiaramente l’effetto andava bilanciato con le sue conseguenze: inflazione (aumento dei prezzi al consumo) e svalutazione (ovvero minore valore di quella moneta rispetto ad altre). Con il “sistema sme” (1992) e con la moneta unica (2001) progressivamente la politica monetaria di ciascuno stato è stata trasferita ad un’unica istituzione,la BancaCentraleEuropea – che regola per tutte le banche di tutti i paesi la politica monetaria. La BCE vende il danaro alle banche centrali nazionali, che conservano i poteri di vigilanza e controllo nazionali, e lo rivende a sua volta alle banche “private”. Da escludersi l’immissione di nuovo denaro per evitare un generalizzato rischio di svalutazione monetaria, lo strumento di regolazione più usato è quello del tasso, o costo del denaro.
Altra funzione essenziale delle banche centrali è la gestione della emissione dei titoli di debito pubblico, o titoli di stato. I titoli di stato sono in sostanza le “ricevute” del denaro che gli stati prendono in prestano, e che si obbligano a restituire ad una data scadenza, e nel frattempo pagare un determinato tasso di interesse, come “compenso” per il prestito. I titoli di stato vengono messi in “asta”, e vengono venduti solo e direttamente alle banche, ad un tasso di interesse che viene regolato dalla domanda e dall’offerta secondo quanto diremo tra poco sullo “spread”. Quello che è importante chiarire è che le banche a loro volta usano questi titoli “produttivi di interessi” in tre modi. In parte li rivendono ai propri clienti per rientrare almeno in parte e nell’immediato dei soldi prestati agli stati. Questa operazione è la più redditizia, dal momento che il cliente paga il titolo ad un prezzo maggiore rispetto a quanto lo ha acquistato “all’ingrosso” la banca (mediamente il 3% in più); il cliente paga una commissione (tra lo 0,45% e lo 0,60%); il cliente deve per legge avere un dossier titoli in deposito in banca (dal momento che è tutto smaterializzato si tratta di un semplice file) per avere il quale paga alle banche tra i 60 e 120euro all’anno. Un’altra parte la banca li trattiene per sé lucrando non solo sulla differenza tra prezzo di acquisto e prezzo di rimborso, ma anche sul tasso di interesse (che mentre per noi sono guadagni, tassati al 27,5% per le banche sono “margini” tassati al 5%). Una terza parte dei titoli viene usata per “acquistare denaro” nei momenti di necessità. In altre parole “vendo titoli in cambio di contanti”. Operazione che le banche fanno anche con i clienti, e note come “pronti contro termine” (anche se normalmente le banche non propongono nei propri pronti contro termine titoli di stato ai clienti, ma obbligazioni proprie o peggio titoli sofisticati che non potrebbero collocare diversamente perché “non quotati” e privi di controllo reale). E quindi chiaro che dato che anche ogni giorno le banche possono aver bisogno di denaro, ogni giorno vengono scambiati sul mercato titoli di stato in cambio di denaro. E questo scambio continuo determina – a seconda della domanda e dell’offerta – un “valore” per i titoli trattati.
Lo spread è un “differenziale” tra due misure, ad esempio due tassi di interessi, o tra il prezzo di uno stesso bene su mercati differenti (nel primo caso ad esempio tra il tasso di interesse sui titoli di stato italiani e quelli tedeschi, nel secondo tra il prezzo dell’oro o del petrolio tra diversi listini borsistici). Lo spread non è una “misura diretta” – come lo è il tasso di interesse – ma una misura che quantifica un “divario”. In altre parole più che una misura in sé è una valutazione. Maggiore è lo spread tra due “merci uguali” (es. titoli di stato) tanto maggiore sarà la “fiducia relativa” in un soggetto emittente rispetto ad un altro. Ma facciamo attenzione; i capitali sono attratti solo in alcuni casi dalla “stabilità”, in altri casi dalla “remunerazione dell’investimento” e quindi dal tasso di interesse pagato. Ovviamente gli stati non emettono titoli tutti i giorni, ma mediamente una volta al mese. Lo spread pertanto è una misura esclusivamente di mercato, che non ha alcun riferimento con il titolo reale né con gli interessi effettivamente pagati, ma è rilevante perché è la base da cui partirà la “prossima asta”.
L’affidabilità viene inoltre valutata attraverso un’altra scala, definita rating, che altro non è che una “valutazione” soggettiva di una società (privata) che stabilisce quali criteri siano di maggiore o minor peso, e che stila una classifica. Il rating aveva in origine un significato importante, perché con l’apertura dei mercati ai privati, veniva offerto un sistema per valutare le scelte da fare. Quello che non viene detto è che le società di rating sono private, sono di proprietà di banche. Le banche che possiedono società di reating sono istituti specializzati nel creare strumenti finanziari (in genere obbligazioni) per conto dei propri clienti. Quante possibilità ci sono che una società di reating valuti negativamente l’obbligazione emessa da un cliente della banca che è a sua volta la sua proprietaria? E questa “politica” fa si che le maggiori società di rating siano sempre allineate su valutazioni analoghe, e che si difendano dicendo “le nostre sono solo opinioni, non vincolanti”. Quello che però è chiaro è che mentre le banche, che questo meccanismo lo conoscono bene, non acquistano certamente i titoli in base alle classifiche di reating, ma secondo proprie analisi interne e scelte di politica privata, il reating viene “venduto” come attendibile e solido dalla “comunicazione pubblica”, e questo tendenzialmente falsa il mercato, accrescendo le propensioni a vendere o a comprare da parte della grande massa dei risparmiatori.
Un’altra arma della politica finanziaria, che tocca un po’ tutto quanto sin qui detto, sono i regolamenti esecutivi. Non sono leggi, che vanno discusse, e su cui c’è una certa pubblicità, bensì decisioni immediate e immediatamente efficaci della banca centrale. Se questa ad esempio stabilisce norme più o meno rigide su quanta riserva debbano avere le banche, su quanti titoli e di che genere, valutati come, allora anche senza modificare i tassi o immettere moneta, si obbligheranno le banche a vendere o acquistare titoli verso denaro per “essere formalmente in regola”. Un esempio dell’incidenza ed efficacia di questo strumento lo abbiamo avuto proprio tre settimane fa, quandola BCEha dettato nuove disposizioni che stabilivano maggiori riserve monetarie per le banche in funzione di quanti titoli avessero di alcuni stati in particolare. Il che ha obbligato le banche a vendere titoli ad esempio italiani e a fare cassa; per essere concreti la sola Francia ha dovuto vendere quasi 9miliaridi di titoli italiani al giorno per tre giorni consecutivi, provocando un ulteriore divario (spread) tra i nostri titoli pubblici e quelli tedeschi. È chiaro che la forza di questo strumento è doppia: non ha un controllo mediabile, è improvvisa, è diretta alle banche, e non consente scudi o contromisura da parte dei cittadini.
Quando un sistema finanziario non è in equilibrio tra i suoi vari strumenti, o alcuni di essi non vengono usati in maniera coordinata per uno scopo di “armonizzazione” e di crescita, ma solo per ragioni di pura ragioneria, le ripercussioni economiche sulla società possono essere drammatiche. Ecco perché il debito pubblico, il costo del denaro, e finanche lo spread, ci riguardano e ci toccano tutti, tutti i giorni.
Ma le armi vere della finanza sono gli “strumenti strutturati”, e per questo sono anche quelli meno noti e meno facili da spiegare. Più sono sofisticati, meno sono semplici da spiegare, meno saranno le persone che li conoscono e quindi disposti a metterli in discussione. Sono anche quelli che creano quel disequilibrio nelle economie che poi costa enormi sacrifici per ripianare.Per questo motivo vi dedicherò una scheda a parte.
Per non appesantire troppo la lettura, qui trovate unificati in un unico ebook due documenti. Il primo affronta il mondo delle azioni, quelle quotate in borsa, e la loro "sofisticazione" finanziaria.
Il secondo, molto più complesso ed articolato, tratta le obbligazioni. Ho cercato, nonostante l'alta tecnicità dell'argomento, di essere "semplice" e mi scuso preventivamente di non esserci sempre riuscito. Ho comunque inserito annotazioni "meno tecniche" in corsivo...