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Michele Di Salvo
21 Jan

SOPA, PIPA e un vizio antico...

Pubblicato da micheledisalvo  - Tags:  Attualità, censura, Editoria, fascismo, internet, libertà, nazismo, pipa, sopa, Stampa, storia della censura

Il vizio è tra quelli più antichi del mondo. Controllare le idee controllandone la circolazione. Dietro questa perversione, la presunzione che “qualcuno sia migliore degli altri”, l’assurgere a giudice dei contenuti, delle idee, delle opinioni… della morale. È lo stesso vizio di un’inquisizione che per evitare che il “popolino incolto” cadesse nel peccato stilava la lista dei libri che potevano o meno essere pubblicati o che dovevano circolare. Ma se quel vizio vi sembra così lontano nel tempo, basti pensare ai libri bruciati negli stati uniti sino agli anni sessanta, quando si considerava il rock la musica di satana (e c’è chi ancora lo afferma). Per arrivare a noi, se due doganieri al confine svizzero non avessero pensato che “Il tropico del Cancro” fosse stato un libro su una malattia ben nota… l’editore Feltrinelli non lo avrebbe potuto vendere nemmeno sottobanco.

La storia della censura, o meglio della bigotteria di una certa umanità, finisce con l’essere anche affascinante se presa per aneddoti, sui quali, oggi, possiamo anche ridere un po’ su. Se possiamo riderci, è perché per la stragrande maggioranza di noi è acquisito come dato “ad fuori della realtà” che qualcuno in termini di idee e di opinioni, possa “censurare” qualcuno o qualcosa.

Voltaire affermava “non la penso come te, ma mi batterò sino alla morte perché tu possa liberamente esprimere il tuo pensiero”. Questo concetto ha animato gran parte delle battaglie dell’ottocento, sino al punto da consentire che qualcuno potesse esprimere e propugnare opinioni che hanno negato (a parole e nei fatti) queste libertà: ebbene si, anche le grandi dittature del novecento intanto sono potute esistere in quanto nessuno ha negato loro la libertà di espressione. Ed oggi sono in tanti, che inneggiano al nazismo ed al fascismo ed allo stalinismo, e lo possono fare proprio perché non è negata loro la libertà di espressione; la stessa libertà che loro negherebbero agli altri, se solo diventassero “maggioranza”. Ma io credo che il vero argine non sia impedire loro di esprimere la propria opinione, facendone peraltro e per qualcuno anche facili martiri. Il vero argine agli estremismi è proprio la libertà di manifestazione del pensiero: che rende manifesto l’abominio derivante da certe tesi.

Ma questo vizio è quasi congenito a quella che si è proclamata “la patria della libertà”, gli Stati Uniti; quella nazione dalla storia contraddittoria, che ha in sé la libertà dal colonialismo, la guerra civile contro la schiavitù e nondimeno è divenuta “patria dei diritti civili” proprio a causa di una segregazione razione continuata siano agli anni settanta; quel Paese che considera se stesso in diritto di difendere la libertà ovunque, ma che in casa propria chiude un occhio sui più elementari diritti civili (vedi Guantanamo) in nome del diritto ad una generica quanto ipocrita difesa da un nemico spesso autogenerato. E così accade di questi tempi che la patria del primo e del quinto emendamento, agendo per sé e per il mondo, decida due “azioni”, il PIPA e il SOPA che di fatto impongono la più massiccia restrizione della libertà di espressione e di “condivisione dei contenuti e dell’informazione” che la storia abbia mai immaginato, anche nei suoi periodi più bui.

Certo, chi ha “scritto” questi provvedimenti è una mete davvero raffinata. Nel 1937, in meno di tre mesi e in piena estate, i grandi gruppi della chimica del petrolio e del legno riuscirono a far dichiarare illegale la canapa – ufficialmente per combattere la droga, in realtà per difendere i propri affari. Oggi lo stesso accade con due interventi in materia di sicurezza, che altro non fanno che “privatizzare la rete” e consegnarla, in blocco, a pochi soggetti privati – per altro gratis! E tutto questo condito con le solite parole di “difesa della nazione”, di “controllo dal terrorismo”, di “regolamentazione”… sventolando la bandiera di una non meglio qualificata e determinata minaccia da cui difenderci a tutti i costi. Ed affidando questo testo di legge ben confezionato a qualche “radicale” che non avrebbe altra occasione per mettersi in mostra nella terra dei liberi. È la stessa “ghiotta occasione” che all’inizio della guerra fredda colse il senatore McCarty, ed è la stessa occasione che qualche “pastore difensore della morale” vuole cogliere oggi.

In estrema sintesi lo “Stop Online Piracy Act” rappresenta l’arma che l’industria multimediale USA intende avere per combattere la pirateria in formato digitale. Qualora dovesse divenire legge, tale provvedimento consentirebbe a qualsiasi majour di richiedere immediatamente non solo la rimozione di specifici contenuti dal web ai fornitori di servizi quali motori di ricerca e hosting provider, ma anche dell’intero sito web coinvolto nella violazione. Il PIPA (Protect IP Act) invece prevede che i titolari del copyright (a qualsiasi titolo, anche auto assunto) possano far impedire l'accesso degli utenti ai siti che violano il diritto d'autore o che contraffanno beni. In entrambi i casi, il tutto, per giunta, senza che una qualche autorità possa esprimersi sul caso in maniera favorevole.

È presumibile che sia il primo che il secondo non passeranno. La rete – che è ormai determinante nelle campagne elettorali (e negli USA si vota quest’anno) – si è espressa probabilmente con la più forte e matura e consapevole protesta della storia dei massmedia. Io credo, guardando alla storia americana recente, che sia facile “indignarsi” perché qualcuno “bruci la bandiera” e in nome di questo cadere nel populismo di chiamarlo “radicale” e di negargli i diritti civili che quella bandiera rappresenta. Per questo oggi un vero atto di coraggio e un salto di qualità autentico, debba essere difendere davvero quello che quella bandiera rappresenta, indignarsi quando quel significato viene calpestato, e questo passa dal riconoscere la libertà di espressione non in chi la pensa come noi, ma in chi la pensa diversamente, anche quando quello che pensa ci fa ribollire il sangue nelle vene.

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