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Michele Di Salvo
27 Jan

Se la matematica non è un'opinione

Pubblicato da micheledisalvo  - Tags:  agenzie di rating, Banche, BCE, debito pubblico, Economia, elezioni politiche, finanza, spread, tasso di interesse, titoli di debito, titoli di stato

Tutti pensano che lo spread – questo termine assolutamente tecnico, e diventato ormai di uso comune e di cui tutti parlano – che sembra ormai determinare le sorti delle elezioni politiche ed amministrative di tutti gli stati occidentali –sia la misura effettiva di quale sia il tasso di interesse a cui lo Stato colloca i suoi titoli di debito pubblico – ossia una differenza (in più) tra il tasso che paghiamo noi (Italia) e il Paese che paga il tasso di interesse più basso, perché considerato meno a rischio e più solido (nella fattispecie europea, la Germania). Il tasso di interesse effettivamente praticato è una “cifra” di quanto i mercati e gli operatori stimino solido un Paese, nella misura della sua capacità di rimborsare effettivamente i suoi debiti, e i relativi interessi.

In realtà lo spread – che sale e scende quotidianamente – è una misura diversa: è una sorta di tasso di cambio a cui le banche – quotidianamente – vendono i titoli di Stato che hanno “in portafoglio” in cambio di denaro liquido – per pagare i propri conti, rimborsare liquidità alla clientela, fare mutui e prestiti, e fare investimenti.

L’asta di oggi – come le precenti – mostra chiaramente che – al di là dei conteggi matematici delle agenzie di rating – sempre più tese a difendere il dollaro sotto elezioni americane – garantendo liquidità per sostenere il debito pubblico americano – mostra chiaramente che l’Italia colloca il proprio debito pubblico con un tasso decisamente basso (2% circa a un anno – considerando che il tasso base della BCE è l’1%). Quelli che invece pagano un tasso alto quanto “lo spread” sono le banche, nei loro “pronti-contro-termine” (denaro in cambio di titoli). E il tasso effettivo con cui i nostri istituti di credito acquistano il denaro dalle altre banche e dagli investitori esteri è di circa il 6% - tre volte a quanto lo acquista lo Stato.

È chiaro quindi che dobbiamo chiederci cosa venga premiato dai mercati, e dia quindi solidità. I mercati premiano sostanzialmente la “redditività” delle scelte.

Riforme strutturali, sociali, tagli della spesa pubblica, qualche apertura di mercato, sono visti come “buoni investimenti” che abbatteranno il debito, e aumenteranno la produttività. La redditività di una banca è data invece non solo dal suo patrimonio (che invece è indice di “solidità”) ma dalle operazioni di credito erogato: una banca è da quello che guadagna (o dovrebbe guadagnare – per sé, per i clienti, per gli azionisti e per gli investitori). Un mese fa la BCE ha “offerto” alle banche private europee 500mld di euro al tasso dell'1%. Si badi, non agli Stati. Mentre altrove le banche hanno scelto di usare la gran parte di questa liquidità aggiuntiva per erogare finanziamenti (né più né meno che fare il proprio lavoro), le banche italiane (che hanno ricevuto oltre 140mld!) …se li sono tenuti in “cassaforte”.

Ecco perché, mentre lo Stato non solo colloca tutti i suoi titoli, e ad un tasso più che accettabile visti i tempi, ed in barba alle letterine del rating, le nostre banche “tengono alto lo spread” sui mercati, perché semplicemente “non investono” – non fanno scelte remunerative. e se i mercati devono dare i soldi a una banca e questa non li “rende produttivi” erogando prestiti, allora almeno ne paghi un tasso alto!

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