De Magistris, il forum delle culture, e il dilettantismo di una visione miope
Ho pensato molto a questa “cosa” che volevo scrivere da tempo.
Volevo, come faccio alle volte, buttarla in satira; riprendere qualche frase, qualche commento, i molti paradossi, le innumerevoli dichiarazioni contraddittorie che si sono susseguite, rimettere in ordine un po’ i fatti (quelli che ognuno ricostruisce un po’ alla buona, e quasi sempre in maniera sommaria).
Se scrivi per te, puoi fare un po’ quello che vuoi, a patto che resti nel cassetto; se scrivi “per gli altri” il discorso è diverso, e quindi chiedo scusa a chi capita di leggere: non ce l’ho fatta.
La vicenda del Forum delle Culture è qualcosa in più, e che va oltre, un semplice grande evento per una città.
Troppo spesso l’interpretazione di certi eventi da parte degli amministratori locali, è legata all’indotto turistico, al flusso di persone, alla “pubblicità” mediatica.
Quello che non si coglie è che certi eventi, il loro spessore culturale, la capacità di proposta e di aggregazione, il modo con cui riescono a creare e lanciare sinergie e sviluppare progetti, sono investimenti di lungo, spesso lunghissimo periodo – anche in termini di attrazione di investimenti.
Quella che è “vecchia” è la mentalità con cui ci si approccia a certe visioni – con una mediocrità intellettuale che non solo non è lungimirante, ma tecnicamente allontana qualsivoglia iniziativa stabile di medio e lungo periodo.
Un Forum delle Culture non è un evento di due o tre mesi, non è un certo numero di persone che verrà a Napoli, alloggerà in albergo e mangerà nei ristoranti, né una vetrina mediatica per in politici di turno: è una chance, una possibilità di incontro e di proposta di progetti “successivi” – che saranno radicati qui se, e solo se, il sistema città, nel suo complesso, sarà “attrattivo” e ricettivo di proposte culturali.
Se così non è, sarà più di un evento (l’ennesimo) mediocremente realizzato, sarà più di un qualcosa nei cui bilanci consultivi si farà il solito scaricabarile, ma sarà essenzialmente una occasione irripetibile per dare un impulso a creare un attrattore di progetti e realtà permanenti successive.
E non è un caso che questi eventi vengono “dopo” e non “prima” di aver dato una identità precisa ed una prospettiva di altissimo profilo all’intero impianto della città.
Non è un caso che il Forum precedente si sia tenuto a Barcellona, ma dopo che la stessa, per quindici anni, ha lavorato su se stessa pensandosi e ripensandosi in una certa “dimensione e prospettiva”, e dopo questo è stato uno dei modi per ri-presentarsi al mondo – della cultura in particolare, e non a caso, ma interpretando quel mondo come un volano alto per tutto il resto.
Si fa presto a dire che si vuole trasformare “Corso Umberto nelle Ramblas di Barcellona” o nel volere “i quartieri spagnoli come Montmartre”, altra cosa è farlo.
Ma poi, se ci si scosta dai grandi titoli di riferimento, ci si dovrebbe chiedere, ma perché?
Perché dobbiamo essere “come”, in un improbabile collage di modelli che non ci appartengono, invece di mettere “il bello” della nostra storia, della nostra urbanistica, della nostra peculiarità geologica e fisica, al servizio di un modello di sviluppo sociale ed urbanistico funzionale alla vita di questa città.
Che non è Parigi, né Barcellona, né New York.
Questa è la città con il più bel golfo del Mediterraneo, che meriterebbe una visione di insieme, che non ha un porto turistico degno di questo nome, né un progetto organico del comparto “mare”.
In questa città ci sono quattro università, divise in almeno una decina di poli, senza un progetto organico di diritto allo studio, di accessibilità e fruizione ai servizi, senza un sistema unico delle biblioteche, senza un “piano casa” per i fuori sede: tutto lasciato al caso, alla singola facoltà, all’idea sparpagliata ed estemporanea.
Questa è la città delle cento piazze senza alcun uso e senza alcun progetto strutturale.
Questa è la città in cui si fa un centro direzionale e poi si pensa a collegarlo con la metropolitana, ma resta un pensiero…
Questa è la città in cui si fa la ZTL più grande d’Europa senza i relativi parcheggi periferici, senza un servizio di mezzi pubblici idoneo, senza che questi funzionino tutta la notte (come in tutte le altre città in cui si fanno queste cose).
Questa è la città in cui c’era il PAN, una volta, e adesso è un palazzo in cui non serve una direzione artistica, e basta che paghi ed esponi. E c’era una volta il Madre, e ne resta il palazzo vuoto.
In questa città c’è una Mostra d’Oltremare che sta lì come “spazio a noleggio”.
Ecco cosa manca a questa città: il progetto sostanziale ed organico alla base delle cose che ci sono e che si vogliono realizzare.
Perché se non lo si è capito sono i contenuti e i progetti organici che attraggono investimenti, perché solo una vera progettualità attrae investimenti veri e quindi di lungo periodo.
Tutto il resto, è poco più di un affare mordi e fuggi, per aggiudicarsi un appalto per qualcosa che resterà lasciato a metà.
A tutta questa assenza e latitanza di un’idea comune e condivisa di cosa e come deve essere questa nostra “casa comune”, che è la nostra città, si aggiunge l’idea che il problema del Forum delle Culture sia chi lo presieda e chi ci mette i soldi e quanti.
Ma la domanda non dovrebbe essere “per fare che?”
Perché se non si sa che fare, dove, come, quando, per lanciare quali idee e su quale tema organico che “ci interessa”, come si decide anche chi sia “il migliore” gruppo dirigente che lo porta avanti?
Se non si decide quale progetto sviluppato su quale programma, come si fa a sapere quante risorse occorrono?
Ma soprattutto, se non si decide prima il progetto-programma, come si immagina che soggetti privati possano essere interessati ad esserci, a investire, e soprattutto – sarebbe auspicabile – poi, a restare?
È come se si volesse ristrutturare una casa in funzione delle foto su qualche rivista, scegliendo l’architetto e stabilendo quanto si spenderà prima di avere un’idea di massima di quello che si vuole, di fare i rilievi e avere un progetto.
Io sono certo che se il sindaco, o qualsiasi assessore, dovesse ristrutturare casa propria, non agirebbe così, e partirebbe al contrario.
Perché non fare lo stesso con la nostra “casa comune”?
La cultura non è “una bella cosa” che fa immagine, ma una carta pericolosa da giocare, come se fosse una sorta di “leva finanziaria”.
Se vinci, ti ripaga come pochi altri investimenti, ed in maniera esponenziale al capitale investito.
Ma se perdi, puoi solo giocare ad un improbabile scarica barile, ma ti candidi al titolo di chi le cose non le sa fare, e senza appello. E chi ne paga il prezzo sarà tutta la città.