L’essenziale è invisibile agli occhi. Il pd come il piccolo principe.
Ho letto anche io della proposta/provocazione di Diego Belliazzi su un “referendum” tra gli iscritti sulla posizione del pd in materia di riforma del lavoro. Come i più si sono affrettati a correggere, dire, precisare, chiosare e commentare, la proposta è di difficile applicazione e certamente poco appropriato il momento. Però… cosa mette in evidenza “davvero” la dichiarazione di Diego?
1. il richiamo al fatto – spesso nicchiato – che questo è un parlamento di nominati; 2. un parlamento di nominati è di per sé poco rappresentativo e poco legittimato e poco qualificato a mediare su posizioni e su misure particolarmente incidenti la vita e le scelte di un paese; 3. la linea politica – che è vero che la decide un segretario con la segreteria e la direzione nazionale – va anche condivisa e supportata con organi territoriali altrettanto eletti e rappresentativi – il che troppo spesso non è, seppur attraverso varie declinazioni e connotazioni, in molte realtà d’Italia; 4. la voglia di riportare – in qualsiasi modo – il luogo del confronto e del dibattito nel partito, tra le persone, nei luoghi “normali” in cui si è sempre aperto il confronto nella storia della sinistra di questo Paese.
Certo, ai leader “moderni” i monologhi televisivi, attraverso discorsi e ragionamenti preconfezionati e organizzati a tavolino, e spesso in un confronto fittizio e formale, o in un dibattito strutturato per monologhi e senza un vero contradditorio né linee contrapposte, rende il tutto più semplice – e forse a questa semplicità ci si è troppo abituati, e fa un po’ troppo comodo. Ci si domanda poi da dove venga questa straordinaria scollatura tra la classe politica e la maggioranza vera dei cittadini…
Per fare riforme importanti – di per sé dolorose e impegnative soprattutto quanto necessarie – occorre prima di tutto autorevolezza, che non va mai confusa con autorità. Di autorità, questo governo ne ha sin troppa (e sia chiaro, per il Paese è un vantaggio), sia per lo spessore e la preparazione tecnica dei suoi membri, sia per il grado di competenza che gli viene riconosciuto anche all’estero (anche perché non se la vedono meglio gli altri Paesi europei, i cui leaders sono anche alle prese con la difficile congiuntura elettorale).
L’autorevolezza è stata “tentata” attraverso una maximaggioranza – tanto maxi quanto eterogenea. Ma tale autorevolezza è viziata alla base, da una legge elettorale che fa dire ai cittadini (un po’ al’acqua e sapone) una ineludibile verità “Si, tu sei deputato, ma chi ti ha eletto? Quanti voti hai? Chi rappresenti?” Nella altrettanto difficilmente eludibile considerazione che un parlamentare nominato difficilmente avrà posizioni proprie autonome rispetto a un dictat di partito – almeno se vuole essere ricandidato.
E quindi tornando all’inizio, il punto non è la proposta in sé di un improbabile referendum. Né questa o quella singola posizione su questa o quella misura. Ma una prospettiva di vera autorevolezza e rappresentatività. E dato che questa realtà è decisamente difficilmente eluttabile o eludibile, si finisce con il non parlarne – come se questo portasse a rendere il tutto “invisibile agli occhi”, anche laddove è e resta il nodo essenziale.