Telese, il Fatto, e una certa idea di giornalismo
È di oggi la notizia che Luca Telese lascia “il Fatto Quotidiano”. Io Luca “non lo conosco”, o meglio non lo conosco oggi, ma lo ricordo “da ragazzino”. Da quando lavorava all’ufficio stampa del gruppo “la Rete”. Da quella Filaga 1991, campo di dibattito e formazione politica, nell’entroterra agricolo di una Sicilia ad altissima densità mafiosa. Mi ricordo di quando per mantenersi ha aperto una piccola attività in cui faceva magliette a stampa personalizzata, per poi ritrovarlo sulla copertina di un libro-intervista a Sergio Cofferati. Quel giorno pensai che “era una cosa buona” che Luca fosse tornato.
Ne è passato di tempo, e come un po’ tutti lo abbiamo conosciuto, letto, ascoltato, e siamo stati d’accordo o meno con le sue posizioni, e ci sono piaciute o meno le sue interviste. Come per ogni persona del resto. Oggi, con un fondo sul Corriere, lascia il Fatto Quotidiano, giornale che ha contribuito a fondare. Ho letto quello che ha scritto, e lo considero “un ottimo lancio” della sua nuova testata.
Devo ammettere che non ci ha messo poi molto. E devo ammettere che andare in tv aiuta a mettere insieme un minimo di compagine editoriale, che prima era impresa ardua anche per i giornalisti di più lungo corso. Ogni volta che nasce un nuovo giornale è sempre una “buona notizia”, come quasi tautologicamente ogni volta che ne chiude uno è sempre una brutta notizia. E mi sembra anche doveroso, proprio perché “una buona notizia”, fare il miglior in bocca al lupo a Telese-editore e all’in-pectore Pubblico.
Ci si può domandare se davvero ce n’è bisogno, se sia un bene che ogni volta che c’è un confronto, anche aspro, ciascuno si apre il proprio giornale, che altro non finisce con l’essere per un pezzo di una auspicabile integrata foliazione del quotidiano di informazione che manca in questo piccolo paese, con buona pace di Corriere e Repubblica.
Alcune considerazioni però questa vicenda le merita. Intanto, che sembra normale questo esito quando si fanno “più mestieri” contemporaneamente: essere editore è diverso da essere giornalista, e spesso essere figure distinte aiuta, se non altro a badare ciascuno al proprio ruolo con il massimo della concentrazione, senza “usare” un ruolo per “aggiustarne” un altro (essere ad esempio in contrasto in riunione di redazione, e dirimere il contrasto ricorrendo al proprio ruolo di editore); ecco, questo è già qualcosa che non fa bene al giornale, al giornalismo, e all’editoria.
Non giova ai giornali un certo scollamento dalla realtà, per cui sempre più spesso le notizie e i titoli sono fotocopie, e troppa opinione finisce con il non raccontare i fatti, ma nel piegarli al servizio delle idee, delle sensibilità, se non alla propria cultura e parte politica. Finisce quindi con il succedere che spesso notizie rilevanti sui giornali non vengono nemmeno citate, e notizie pubblicate non vengano lette nemmeno dagli acquirenti (non a caso sempre meno) dei giornali. Ecco, dovremmo ricordarci (editori, redattori e giornalisti) che una notizia è una notizia, che ci piaccia o no, e che si può essere di parte, ma se si fa questo mestiere non si dovrebbe mai scegliere “se” raccontare un fatto, semmai si discute sul come – perché il primato va alla notizia e non all’opinione (almeno nei quotidiani).
Tornando a Luca Telese, a me ha colpito però un gesto, o meglio un “non gesto” che invece avrei gradito molto, come lettore e come editore: non un saluto, nemmeno una nota, per questo allontanamento sul sito del Fatto. E questo non fa bene, certamente, al giornalismo, e a un certo modo di fare che vorrei riscoprire in chi fa un lavoro intellettuale, e per le persone, in questo Paese.