Il cittadino Grillo scopre cos'è la democrazia, una lezione per tutti
Essere un leader politico è cosa ben diversa dall’essere leader su un palco o in tv. Apparentemente può sembrare la stessa cosa: stai lì, tu parli, gli altri ascoltano, alla fine bene o male applaudono… ma la politica, e la democrazia ancor di più, è ben altro. È avere un confronto, non solo “partecipazione”; è avere e instaurare discussioni critiche, è dialogare e mediare. E il palco è solo un momento, per altro marginale.
E allora benvenuto Giuseppe Piero Grillo nel mondo della politica in un paese democratico. Quella democraticità che consente a chi lo voglia di creare un partito politico, di presentare proprie liste alle elezioni, di fare campagna elettorale… ma che richiede confronto e rispetto delle regole, e che ha in sé uno spirito critico e di confronto che non significa che chi non la pensa come te fa parte della “macchina del fango” men che meno che vada “abbattuto” o sepolto vivo. Altrimenti, caro cittadino Giuseppe Piero Grillo, tu, se gli altri la pensassero come te, non esisteresti nemmeno. E tristemente dovremmo tutti ammettere che anche il peggiore degli altri vecchi desueti politici, in termini di approccio democratico, sono migliori di te.
Ma quella cui assistiamo in questi giorni è una vera e propria tumultuosa “crescita” della consapevolezza in Beppe Grillo di cosa sia davvero e quanto impegnativo sia fare politica, e di quanto sia impegnativo rispettare e accettare le regole democratiche.
Ed allora – con un tono di satira che non dovrebbe dispiacere a chi sulla e con la satira ha costruito la sua fortuna (ed ha sempre sprezzato chi non rideva e se la prendeva sul personale – errori che Grillo siamo certi non farà!) – proviamo a raccontare le scoperte che il “giovane” in democrazia grillo fa, e come con una eco romantica si trasformi nel cittadino Grillo (termine con cui si veniva appellati durante la rivoluzione francese).
Siamo lieti il cittadino Grillo abbia scoperto che la politica in rete da facili entusiasmi. Non costa molto avere qualche follower, qualche fan, qualcuno che viene al comizio di un “famoso ex comico” come fosse uno spettacolo gratis. Fa piacere che anche tu scopri che fare politica è una cosa seria. Che le primarie che smuovono due, tre, quattro milioni di persone, richiedono circa centomila volontari veri, che ci mettono gambe, braccia, faccia, cuore e cervello pr giorni, per aprire le sedi, incontrarsi con le persone, dialogare, confrontarsi… E così il movimento “nato in rete” con le primarie in rete, tre preferenze a testa, senza alcun organo di controllo, verifica, di ricorso, di conteggio, senza alcun elettore “materiale”, senza alcun confronto tra i candidati e con gli elettori, raccoglie 37mila votanti, e sceglie i suoi parlamentari con appena 2/300 preferenze a testa.
Il cittadino Giuseppe Piero Grillo scopre poi che in democrazia esiste il dissenso. Che avere una “casa comune” non vuol dire essere sempre d’accordo con il padrone di casa, e che esistono posizioni e declinazioni differenti sulle cose, e scopre anche che le regole sono importanti. Lo scopre ma reagisce un po’ come quei bambini alle elementari che dicono “il giocattolo è mio o giochi come dico io e vinco io o non ti faccio giocare”. Ma in quei casi intervengono le maestre e gli stessi genitori a spiegare le regole della socializzazione… ma forse ha avuto “cattivi maestri” da bambino ed oggi ripropone il “Se non sei d’accordo con me e chiedi regole chiare, te ne puoi andare. Postilla se non te ne vai ti caccio io.” Ovviamente se sono più di uno i bambini che non vogliono giocare, scatta la mania di persecuzione, la denigrazione di chi non ci sta, e il grido al “complotto” degli altri bambini. Siamo lieti che Grillo scopra oggi il dissenso, ma sarebbe un bene per il suo partito – i cui parlamentari rappresenteranno tutto il Paese – e quindi per noi tutti che, come dire, senza essere offensivi con nessuno, imparasse a gestire il dissenso come dovrebbe farsi con le relazioni umane: in maniera semplicemente un po’ più matura e meno piccata.
Da ultimo in questi giorni il cittadino Giuseppe Piero Grillo scopre anche che, se è stato molto bravo a fare un movimento con regole tutte sue – e in gran parte decisamente creative e sui generis – il resto del mondo di regole ne ha altre. Stavolta se il piccolo Beppe vuole giocare deve stare lui alle regole altrui, quelle della democrazia, quelle scelte (piaccia o non piaccia) da quella istituzione parlamentare che lui accetta, dal momento che vi candida il proprio movimento. E già, le brutte notizie non finiscono mai. Adesso c’è la questione della raccolta delle firme. Verrebbe da chiedersi, ma perché è impossibile de davvero il M5S ha ben il 20% dei consensi? Se è così organizzato, diffuso, capillare come ci viene ripetuto da mesi? Beh, amara verità scoprire che avere 1000 commentatori che sembrano 10,000 in rete è un conto. Avere persone vere che rispettino davvero il principio dell’ “uno vale uno”, nel senso che ogni persona una sola firma… beh, si, è più difficile!
Ora proviamo a fare una riflessione seria, che possa valere un po’ per tutti noi. Perché crescere (tutti) vuol dire imparare anche dalle non consapevolezze altrui, e infondo di questi tempi, in questo mondo che non conosciamo, siamo tutti in parte un po’ bambini, e come tutti i bambini dobbiamo imparare anche dagli “errori” dei nostri compagni. Consenso sul web corrisponde al consenso nella realtà? Si può fare una rivoluzione attraverso i social network? Si può fare la politica solo con il web? Sono tutte domande importanti; più cresce uno strumento di comunicazione, più si pensa che quello strumento sia destinato a sostituire tutti gli altri, e contemporaneamente possa andare oltre ciò che è: uno strumento di comunicazione! Qualsiasi social può amplificare un messaggio, farlo circolare, anche molto velocemente e all’interno di qualsiasi gruppo nazionale, locale, linguistico: è questa la forza di questo “nuovo strumento”. Chiunque però ritiene che “la rete sostituisce la politica” è semplicemente uno che in rete “ci guadagna”, che sta “vendendo” se stesso come guru, e tendenzialmente sta anche “anestetizzando” le persone. A ben farci caso quello che diciamo oggi della rete era esattamente ciò che è stato detto con l’avvento dei giornali, della radio, della televisione. Certo, ciascuno di questi strumenti di comunicazione ha inciso, cambiato, modificato, trasformato, ri-declinato e accelerato i processi sociali, e in modo ovviamente particolare quelli politici. Non considerarli però “strumenti dell’uomo” ma strumenti rivoluzionari in sé è una menzogna.
Qualunque “rivoluzione”, ma anche movimento, organizzazione, petizione, associazione, è facilitata nella sua capacità organizzativa da quanti più strumenti di comunicazione e interazione ha a disposizione. Nondimeno la storia insegna che le rivoluzioni più significative sono state quelle “popolari” in tempi in cui non c’era nemmeno il segnale morse. In medio stat virtus, certo. Ma è impossibile fare una rivoluzione senza i rivoluzionari. Senza le persone materiali e concrete che ci mettono il proprio cuore, la propria mente e soprattutto il proprio corpo. Nelle strade, nelle piazze, nelle case, nelle sedi sindacali, di partito, nei posti di lavoro. Questo è solo un vortice di frammentazione che ci allontana dalla socializzazione, come il tele lavoro, la tele sanità, il tele studio, il teletutto: tutti ottimi strumenti che integrano per arrivare dove non si può arrivare, ma non possono sostituire il lavoro comune, il contatto fisico del malato con il medico, lo studio come momento di apprendimento sociale e interattivo e di confronto e discussione diretta.
In questa allucinazione collettiva, di un mondo facile, in cui si fa tutto senza uscire di casa, senza bisogno di incontrare l’altro, ci convincono che basta twitter per la rivoluzione, che uno ha seguito e consenso in base al numero dei follower, che fare le cose e cambiare non comporti fatica o sporcarsi le mani. Spiacenti, non esistono scorciatoie né scappatoie. Ma di certo questa filosofia cyber-omni-comprensiva corre il serio rischio, alienandoci, gli uni dagli altri, chiudendoci in individualità a dimensione virtuale, di farci disimparare cose importanti, come l’imparare a dialogare e confrontarci, ad indignarci, a opporci, a manifestare… a fare le rivoluzioni.