Il Natale in terra santa
Come ogni Natale televisioni e giornali ci ripropongono le immagini dei “luoghi sacri”, della “terra santa” per le tre religioni monoteiste, e rinnovano in noi, attraverso i simboli, anche uno spirito di appartenenza. Una appartenenza nostra in qualche modo a quei luoghi, come origine di una fede che – come diceva anche il laico Benedetto Croce – fa parte indissolubilmente della nostra cultura, al di là ed oltre il sentire intimo e personale di ciascuno di noi. Una appartenenza di quei luoghi “a noi”, perché al di là dello Stato, della politica, quei luoghi travalicano uno o più confini, ed appartengono al genere umano nella sua interezza collettiva e sociale. Negarlo è di per sé assurdo e sarebbe tautologicamente incomprensibile.
Sappiamo tutti che “da quando esistono le religioni” quel territorio non è mai stato “in pace”. Anzi, in qualche modo è esattamente l’incarnazione di ciò che accade quando una religione diventa motivazione politica, quando “una” identità pretende di essere superiore o prevalere sulle “altre” identità, e quando una parte decide che le proprie ragioni valgono più di quelle degli altri. Lì, da sempre, si misura la capacità dell’uomo di stare con gli altri uomini.
Tutti noi sappiamo, ma pochissimi tra noi “conoscono” o hanno visto, vissuto, ciò che lì si vive, e questo nonostante il fatto che tutti quei luoghi li consideriamo in qualche modo nostri. Prevale un senso di “non voler sapere” o di “lontananza” geografica. Però alla fine ci torniamo, con la mente, per la messa di natale, per una preghiera collettiva, per un rito, per un ricordo, per un momento… E di certo non è questa la sede per affrontare “il conflitto dei conflitti”. Una storia lunga quanto l’uomo, che a seconda di dove e quando la cominci a ricostruire sembra dare ragione all’uno, all’altro o all’altro ancora. Potremmo scegliere una data qualsiasi nella storia dell’uomo e quella terra e i suoi molti conflitti sarebbero non solo presenti, ma alle volte determinanti.
A seconda della nostra storia, della nostra sensibilità, di ciò che abbiamo letto e sentito, ciascuno di noi si sentirà più vicino a qualcuno e meno propenso a giustificare qualcun altro… ma questo fa parte della retorica politica, che pone pesi e misure… e ancora una volta torneremo al punto di partenza. A essere attenti, è lì che si cimenta anche il meglio della retorica partigiana della nostra nuova comunicazione politica, che nella sua semplicità conia parabole mirabolanti come l’assioma per cui criticare la politica dello stato israeliano significa di per sé essere antisemita, o non riconoscere la dignità d’esistenza di uno stato palestinese significa riconoscere l’olocausto, o che tutto si può giustificare per la storia precedente, o che sia giusto lanciare missili sule colonie visto che i carri armati… E allora potremo continuare all’infinito. E non ci accorgeremo che un trattato per cui una parte sola della avere il 95% delle risorse idriche è inaccettabile per chiunque, come il pretesto di una città capitale, o il riconoscimento dei profughi… alla fine è solo un esercizio di stile a chi mostra le proprie ragioni per non raggiungere alcuna pace.
Perché? Perché se lì ci fosse la pace, sarebbe come dire che le religioni possono coesistere, e nessuna deve fare proselitismo, vincere sulle altre, essere più forte. Sarebbe come dire che tutti hanno ragione senza che nessuno abbia torto. Sarebbe come far cessare d’improvviso le ragioni, proprie e degli altri, e dover ammettere che tutto ciò che è stato, e tutta la politica conflittuale di 4mila anni di storia, i conseguenti morti e le risorse spese e le carriere costruite… sono inutili, vuote, quelle si che sono state errori.
Non è dunque questo o quel popolo che ha sbagliato, ma noi uomini nella nostra interezza e collettività, ovunque siamo, in qualsiasi parte del mondo, e qualsiasi sia la nostra lingua, religione e colore della pelle.
Ecco, alla fine delle mille discussioni, cosa secondo me a Natale, come in tutti gli altri giorni dovrebbe fare, ci ricorda la “terra delle terre sante”. Che la vera dimensione dell’uomo è superare quel conflitto, superandolo come superamento dell’idea stessa di conflitto, e riconoscerlo come inutile, non necessario, non giustificabile. Ed al contempo, renderci conto che se uno solo “vincesse” prevalendo sull’altro, quella vittoria sarebbe la sconfitta di tutto ciò che di migliore può aspirare il genere umano. Vincere sull’altro, è annientare l’idea della convivenza nella diversità.
E questa non è una battaglia “lontana”, in una terra altra, in un conflitto che non ci riguarda. Ma è una guerra continua di ciascuno di noi in qualsiasi anfratto del mondo siamo. E che riguarda le nostre città, comunità… sin nelle nostre case… ed in definitiva sin dentro noi stessi. Perché i primi che dobbiamo convincere e sconfiggere siamo noi. Le nostre convinzioni, i nostri pregiudizi, le cose che ci hanno detto e insegnato, e cercare di fare un passo né avanti né indietro, ma semplicemente oltre.
Io non condanno come moralmente ingiusto un attentato ad un cittadino israeliano, lo considero un offesa ed un attentato a me stesso come individuo, compiuto da un mio fratello verso un altro mio fratello dietro il paravento inammissibile di una qualsiasi religione sorella della mia. Io non condanno come un crimine contro l’umanità una strage di bambini in un campo profughi, lo considero una strage ingiustificabile di miei figli compiuta da altri miei fratelli, dietro un paravento ingiustificabile di una presunta sicurezza o vendetta.
Io condanno come istigatore al genocidio il sedicente Rabbino, il presunto Imam, il finto Cardinale che offrono la propria conoscenza, la propria oratoria, le proprie parole e il facile scudo della propria posizione per fomentare, giustificare, accreditare, diffondere, una politica di odio e di morte. Io condanno come loro complici chi li plaude, chi li ascolta, chi li cita, chi li difende, chi li finanzia e chi li appoggia… e come fratelli che sbagliano chi li segue. E sento tutto il peso morale di non fare abbastanza per una contro-voce intellettuale che possa smascherare questi impostori della religione e strumenti della morte.
Infondo, la terra santa, è un simbolo. Che sta lì, a concentra in sé la natura stessa del conflitto. Un conflitto presente ovunque, e che rende tutti noi protagonisti, e tutto il mondo una terra santa.