I cartigli d'amore di san valentino
Che San Valentino sia considerata una festa consumistica, è il segno dei tempi. Più di altre feste forse, che probabilmente lo sono maggiormente. Uno dei simboli indiscussi di questa ricorrenza – e per questo non credo di fare alcuna pubblicità, che sarebbe nemmeno tanto occulta – sono certamente quei cioccolatini noti come Baci Perugina, che appartengono alla nostra cultura popolare e nazionale ormai da svariati decenni. Ancor più lo è quella curiosità che tocca un po’ tutti nell’atto di scartarli e leggere quei bigliettini in carta velina, carta da pasticceria originariamente, in cui irrimediabilmente ciascuno, dal più romantico al più scettico, cerca qualcosa di se stesso.
Io credo che proprio nei momenti di crisi – etimologicamente “transizione” – è doveroso e saggio costruire su ciò che ci unisce e non continuare a scavare il solco di ciò che ci divide; e questo passa anche dal riappropriarci delle “belle storie che ci appartengono”, soprattutto quando escono dalla sfera personale e individuale o familiare per finire con il diventare parte di una memoria, anche gestuale, collettiva. Ed una di queste “belle storie che ci appartengono” è quella di questi fogliettini di carta, di questi messaggi d’amore volanti che tutti conoscono ma che pochi sanno “come nascono” e cosa ricordano ancora oggi, negli amori e negli affetti del nostro quotidiano.
Questa è la storia di una donna straordinaria – come tante e dimenticate ne ha avute il nostro paese. Questa è la storia di Luisa, figlia di un pescivendolo di nome Pasquale ed una casalinga di nome Maria, che a ventuno anni sposa Annibale. Con lui rileva una drogheria nel centro storico di Perugia, e cominciano poco dopo a produrre artigianalmente confetti. Nel 1907 decidono di ampliare la propria attività, e fondano insieme a Francesco Buitoni una vera e propria piccola industria dolciaria, con una quindicina di dipendenti. A causa di attriti interni, Annibale abbandona l'azienda nel 1923: è in questo periodo che Luisa inizia una storia d'amore con Giovanni, figlio di Francesco Buitoni, più giovane di lei di quattordici anni. Il legame tra i due si sviluppa in maniera profonda ma estremamente cortese: le testimonianze in proposito sono poche, anche perché i due non vanno mai a convivere. Luisa entra nel consiglio d'amministrazione dell’azienda e si dedica all'ideazione e alla realizzazione di strutture finalizzate a migliorare la qualità della vita dei dipendenti; poi, poco dopo aver fondato l’asilo nido dello stabilimento di Fontivegge (stabilimento ritenuto, nel settore dolciario, il più avanzato nell'intero continente europeo), dà vita al "Bacio Perugina".
L’idea nasce – in un tempo di austerity e autarchia – dall'intenzione di impastare i resti di nocciola derivanti dalla lavorazione dei cioccolatini con altro cioccolato: il risultato è un nuovo cioccolatino con una conformazione piuttosto strana, con al centro una nocciola intera. Il nome iniziale è "cazzotto", perché richiama alla mente l'immagine di un pugno chiuso, ma Luisa viene convinta a cambiare quella denominazione, troppo aggressiva. Pare che Federico Seneca – direttore grafico, artistico e pubblicitario – abbia organizzato un incontro con una cara amica di Luisa per convincerla a cambiare il nome del cioccolatino, mettendo in scena il seguente dialogo: se lo immagina un uomo che entra in negozio e dice alla commessa “vorrei un cazzotto per la mia fidanzata”… molto meglio “signorina, me lo darebbe un Bacio?!” Ma Federico Seneca fu anche colui che forse colse con maggiore sensibilità l’amore di Giovanni e Luisa, e pudicamente lo riprodusse in qualche modo nella sua intima tenerezza rielaborando l’immagine del quadro di Francesco Hayez Il bacio, e creando la tipica scatola blu con l’immagine di due innamorati.
Un amore che tutti conoscevano, ma su cui nessuno osava dire nulla. Un amore consumato in quotidiani e continui scambi di bigliettini di frasi d’amore. E fu sempre di Federico Seneca l’idea di inserire quei “cartigli” nella confezione dei cioccolatini, in memoria e ricordo di un amore e di una passione autentici e fuori dal comune. Un amore tanto discreto da essere lontano anni luce dal nostro consumismo.
Alla fine della prima guerra mondiale Luisa si lancia anche in una nuova impresa: l’allevamento di pollame e conigli. I conigli non vengono uccisi e neanche tosati, ma amorevolmente pettinati per ricavare la lana d'angora per i filati. Nasce nel sobborgo di Santa Lucia la fabbrica per le creazioni di scialli, boleri e indumenti alla moda. La segnalazione alla Fiera di Milano come "ottimi prodotti" spingono Luisa a moltiplicare gli sforzi: sono 8.000 gli allevatori che mandano a Perugia per posta il pelo pettinato via da almeno duecentocinquantamila conigli. Negli anni quaranta, in un periodo in cui molti soffrono la fame e i freddo, la famiglia regalava ai propri operai per Natale maglie, calze e lana per un valore di 4.000 lire, una fortuna per quei tempi. Lo stabilimento di Santa Lucia aveva una piscina per i dipendenti. Si costruiscono ai dipendenti casette a schiera (tuttora esistenti), si organizzano nursery per i figli, si promuovono balli, partite di calcio, gare, feste.
Luisa non riuscirà a vedere il vero decollo dell’azienda che inizierà circa quattro anni dopo sotto la guida del figlio Mario. Le viene diagnosticato un tumore alla gola. Giovanni Buitoni la trasferisce a Parigi per garantirle le migliori cure e rimane con lei fino alla morte, nel 1935.
Questa è la storia di Luisa Spagnoli. Una donna forte della provincia italiana. La sua una bella storia che dovrebbe appartenere a tutti noi. Una delle storie di chi ha visto un mondo auspicabile e lo ha trasformato in qualcosa di possibile.