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Michele Di Salvo
18 Mar

Uomini soli - Enrico Mattei e Mauro De Mauro

Pubblicato da micheledisalvo  - Tags:  1962, 1970, 1974, anni di piombo, Cia, Economia, Enrico Mattei, mafia, Mauro De Mauro, in evidenza

cop matteiQuesta è una storia che potremmo definire “la storia” d’Italia, senza esagerazioni. Lo è per quello che avviene e che avverrà dopo, e per tutte le peculiarità e gli intrecci, e i nomi, che partono da cinquant’anni fa e che riecheggiano nella storia recente. Questa storia è molto semplice, lineare, anche se intricata in un bandolo difficile da sbrogliare; serve un punto di partenza e poi tirare il filo. Ma è anche possibile partire da un punto qualsiasi di questa storia e poi proseguire. E allora parto da due storie parallele di due persone che è anche possibile che nella loro vita non si siano mai incontrate nemmeno per caso, ma la fine dell’una sarà il destino e la fine dell’altra. Ma è importante partire dal principio delle loro vite, perché quell’inizio sarà un pezzo essenziale della loro fine. ... A distanza di otto anni muoiono per questo due uomini così diversi tra loro e pure così vicini, accomunati da un comune senso del Paese e dell’interesse collettivo. Li accomuna un Paese che troppo spesso non percorre con tenacia la verità sulla propria storia, e lascia soli i propri uomini migliori anche quando lottano per il bene comune in meccanismi troppo grandi per uomini soli.

Questo è l'inizio e la fine di questa "inchiesta", nata assolutamente in maniera casuale, lavorando su tutt'altro. Un lavoro che è venuto fuori semplicemente mettendo insieme dei pezzi, cercando e trovandone i riscontri, e scrivendo questa storia più per fermare gli appunti e mettervi ordine che non per ciò che ne sarebbe uscito. Ci ho riflettuto settimane prima di decidere se pubblicarla, e come. Se fossi un giornalista "di mestiere" è probabile che avrei "lavorato questa storia diversamente". E invece no, ho scelto di lasciarla come "storia di persone", di vite, nella loro umanità. Ed ho sentito per settimane il peso di una storia che potrebbe riscriverne tante altre, e complessivamente la storia di questo paese. Ma questa è una storia che va raccontata principalmente per rispetto della memoria di quelle persone, e di quelle vite spezzate, e perchè deve esistere un momento in cui ci riprendiamo la storia là dove qualcun altro ha deciso che si doveva interrompere e prendere una strada diversa.

Io su queste storie non dirò nulla più di quanto ho scelto e ponderato fosse giusto dire e scrivere. Lascio ad altri - principalmente a chi leggerà - di fare le proprie scelte e di portare e sentire il peso di ciò che ne saprà conseguentemente dedurre. Siamo una comunità - almeno io voglio così pensare le donne e gli uomini di questo paese - e troppe volte abbiamo lasciato "uomini soli" condurre per noi le nostre battaglie. Questo è un pezzo, un piccolo pezzo, che mette insieme altri pezzi e tracce lasciate da altri. E tocca agli altri, e a tutti noi come comunità, continuare ciascuno il proprio lavoro.

Ma c'è un pezzo di questa storia che non ho volutamente inserito. E questo pezzo però merita un posto a sé - privilegiato, con rispetto parlando - ed è una storia in parte parallela e in parte successiva, ma con una carica ed una tensione morale che credo meriti resti in eredità a ciascuno di noi, e che in sé attribuisce un compito ed una funzione e un metodo a chi svolge un "ruolo intellettuale" in questo paese, nella nostra comunità. Il 14 novembre 1974 Pier Paolo Pasolini scriveva all'Italia, dalle colonne del Corriere della Sera uno storico editoriale - collegato strettamente al suo ultimo lavoro "Petrolio"  - io credo che in quell'editoriale vi fosse molto più di quanto egli stesso, in quegli anni, potesse dire, sentendo il peso specifico da intellettuale di ciò che "lui sapeva". Quell'editoriale è contemporaneamente il suo testamento spirituale, intellettuale e la sua "condanna a morte", in una solitudine che lo accomuna a questi "uomini soli".

Io so. Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato "golpe" (e che in realtà è una serie di "golpe" istituitasi a sistema di protezione del potere). Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969. Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974. Io so i nomi del "vertice" che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di "golpe", sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli "ignoti" autori materiali delle stragi più recenti. Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi, opposte, fasi della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969) e una seconda fase antifascista (Brescia e Bologna 1974). Io so i nomi del gruppo di potenti, che, con l'aiuto della Cia (e in second'ordine dei colonnelli greci della mafia), hanno prima creato (del resto miseramente fallendo) una crociata anticomunista, a tamponare il '68, e in seguito, sempre con l'aiuto e per ispirazione della Cia, si sono ricostituiti una verginità antifascista, a tamponare il disastro del "referendum". Io so i nomi di coloro che, tra una Messa e l'altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali (per tenere in piedi, di riserva, l'organizzazione di un potenziale colpo di Stato), a giovani neo-fascisti, anzi neo-nazisti (per creare in concreto la tensione anticomunista) e infine criminali comuni, fino a questo momento, e forse per sempre, senza nome (per creare la successiva tensione antifascista). Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro a dei personaggi comici come quel generale della Forestale che operava, alquanto operettisticamente, a Città Ducale (mentre i boschi italiani bruciavano), o a dei personaggio grigi e puramente organizzativi come il generale Miceli. Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer e sicari. Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli. Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il mistero. Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell'istinto del mio mestiere. Credo che sia difficile che il mio "progetto di romanzo", sia sbagliato, che non abbia cioè attinenza con la realtà, e che i suoi riferimenti a fatti e persone reali siano inesatti. Credo inoltre che molti altri intellettuali e romanzieri sappiano ciò che so io in quanto intellettuale e romanziere. Perché la ricostruzione della verità a proposito di ciò che è successo in Italia dopo il '68 non è poi così difficile. Tale verità - lo si sente con assoluta precisione - sta dietro una grande quantità di interventi anche giornalistici e politici: cioè non di immaginazione o di finzione come è per sua natura il mio. Ultimo esempio: è chiaro che la verità urgeva, con tutti i suoi nomi, dietro all'editoriale del "Corriere della Sera", del 1° novembre 1974. Probabilmente i giornalisti e i politici hanno anche delle prove o, almeno, degli indizi. Ora il problema è questo: i giornalisti e i politici, pur avendo forse delle prove e certamente degli indizi, non fanno i nomi. A chi dunque compete fare questi nomi? Evidentemente a chi non solo ha il necessario coraggio, ma, insieme, non è compromesso nella pratica col potere, e, inoltre, non ha, per definizione, niente da perdere: cioè un intellettuale. Un intellettuale dunque potrebbe benissimo fare pubblicamente quei nomi: ma egli non ha né prove né indizi. Il potere e il mondo che, pur non essendo del potere, tiene rapporti pratici col potere, ha escluso gli intellettuali liberi - proprio per il modo in cui è fatto - dalla possibilità di avere prove ed indizi. Mi si potrebbe obiettare che io, per esempio, come intellettuale, e inventore di storie, potrei entrare in quel mondo esplicitamente politico (del potere o intorno al potere), compromettermi con esso, e quindi partecipare del diritto ad avere, con una certa alta probabilità, prove ed indizi. Ma a tale obiezione io risponderei che ciò non è possibile, perché è proprio la ripugnanza ad entrare in un simile mondo politico che si identifica col mio potenziale coraggio intellettuale a dire la verità: cioè a fare i nomi. Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia. All'intellettuale - profondamente e visceralmente disprezzato da tutta la borghesia italiana - si deferisce un mandato falsamente alto e nobile, in realtà servile: quello di dibattere i problemi morali e ideologici. Se egli vien messo a questo mandato viene considerato traditore del suo ruolo: si grida subito (come se non si aspettasse altro che questo) al "tradimento dei chierici" è un alibi e una gratificazione per i politici e per i servi del potere. Ma non esiste solo il potere: esiste anche un'opposizione al potere. In Italia questa opposizione è così vasta e forte da essere un potere essa stessa: mi riferisco naturalmente al Partito comunista italiano. È certo che in questo momento la presenza di un grande partito all'opposizione come è il Partito comunista italiano è la salvezza dell'Italia e delle sue povere istituzioni democratiche. Il Partito comunista italiano è un Paese pulito in un Paese sporco, un Paese onesto in un Paese disonesto, un Paese intelligente in un Paese idiota, un Paese colto in un Paese ignorante, un Paese umanistico in un Paese consumistico. In questi ultimi anni tra il Partito comunista italiano, inteso in senso autenticamente unitario - in un compatto "insieme" di dirigenti, base e votanti - e il resto dell'Italia, si è aperto un baratto: per cui il Partito comunista italiano è divenuto appunto un "Paese separato", un'isola. Ed è proprio per questo che esso può oggi avere rapporti stretti come non mai col potere effettivo, corrotto, inetto, degradato: ma si tratta di rapporti diplomatici, quasi da nazione a nazione. In realtà le due morali sono incommensurabili, intese nella loro concretezza, nella loro totalità. È possibile, proprio su queste basi, prospettare quel "compromesso", realistico, che forse salverebbe l'Italia dal completo sfacelo: "compromesso" che sarebbe però in realtà una "alleanza" tra due Stati confinanti, o tra due Stati incastrati uno nell'altro. Ma proprio tutto ciò che di positivo ho detto sul Partito comunista italiano ne costituisce anche il momento relativamente negativo. La divisione del Paese in due Paesi, uno affondato fino al collo nella degradazione e nella degenerazione, l'altro intatto e non compromesso, non può essere una ragione di pace e di costruttività. Inoltre, concepita così come io l'ho qui delineata, credo oggettivamente, cioè come un Paese nel Paese, l'opposizione si identifica con un altro potere: che tuttavia è sempre potere. Di conseguenza gli uomini politici di tale opposizione non possono non comportarsi anch'essi come uomini di potere. Nel caso specifico, che in questo momento così drammaticamente ci riguarda, anch'essi hanno deferito all'intellettuale un mandato stabilito da loro. E, se l'intellettuale viene meno a questo mandato - puramente morale e ideologico - ecco che è, con somma soddisfazione di tutti, un traditore. Ora, perché neanche gli uomini politici dell'opposizione, se hanno - come probabilmente hanno - prove o almeno indizi, non fanno i nomi dei responsabili reali, cioè politici, dei comici golpe e delle spaventose stragi di questi anni? È semplice: essi non li fanno nella misura in cui distinguono - a differenza di quanto farebbe un intellettuale - verità politica da pratica politica. E quindi, naturalmente, neanch'essi mettono al corrente di prove e indizi l'intellettuale non funzionario: non se lo sognano nemmeno, com'è del resto normale, data l'oggettiva situazione di fatto. L'intellettuale deve continuare ad attenersi a quello che gli viene imposto come suo dovere, a iterare il proprio modo codificato di intervento. Lo so bene che non è il caso - in questo particolare momento della storia italiana - di fare pubblicamente una mozione di sfiducia contro l'intera classe politica. Non è diplomatico, non è opportuno. Ma queste categorie della politica, non della verità politica: quella che - quando può e come può - l'impotente intellettuale è tenuto a servire. Ebbene, proprio perché io non posso fare i nomi dei responsabili dei tentativi di colpo di Stato e delle stragi (e non al posto di questo) io non posso pronunciare la mia debole e ideale accusa contro l'intera classe politica italiana. E io faccio in quanto io credo alla politica, credo nei principi "formali" della democrazia, credo nel Parlamento e credo nei partiti. E naturalmente attraverso la mia particolare ottica che è quella di un comunista. Sono pronto a ritirare la mia mozione di sfiducia (anzi non aspetto altro che questo) solo quando un uomo politico - non per opportunità, cioè non perché sia venuto il momento, ma piuttosto per creare la possibilità di tale momento - deciderà di fare i nomi dei responsabili dei colpi di Stato e delle stragi, che evidentemente egli sa, come me, non può non avere prove, o almeno indizi. Probabilmente - se il potere americano lo consentirà - magari decidendo "diplomaticamente" di concedere a un'altra democrazia ciò che la democrazia americana si è concessa a proposito di Nixon - questi nomi prima o poi saranno detti. Ma a dirli saranno uomini che hanno condiviso con essi il potere: come minori responsabili contro maggiori responsabili (e non è detto, come nel caso americano, che siano migliori). Questo sarebbe in definitiva il vero Colpo di Stato.

http://www.wallstreetitalia.com/article/1522901/lo-scoop/eni-morte-mattei-furono-agenti-segreti-francesi-con-placet-cia.aspx

http://www.libreidee.org/2013/03/uomini-soli-mattei-ucciso-dai-francesi-de-mauro-sapeva/

 

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[...] di spionaggio e mafia, attori di una corruzione consumata ai piu’ alti piani politici. Ora un’inchiesta appena pubblicata ne svela nuovi risvolti, tentando di rispondere a una domanda che rimane senza risposta da oltre 50 [...]
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[...] di spionaggio e mafia, attori di una corruzione consumata ai piu’ alti piani politici. Ora un’inchiesta appena pubblicatane svela nuovi risvolti, tentando di rispondere a una domanda che rimane senza replica da oltre 50 [...]
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