Il Datagate e la trappola per Obama
Lo scontro di potere di Washington dietro il Datagate
Il quotidiano tedesco Bild am Sontag ne è certo “il presidente Obama sapeva fin dal 2010 che la Nsa stava ascoltando le telefonate di Angela Merkel A informare il presidente degli Stati Uniti sulle intercettazioni al leader tedesco sarebbe stato, secondo indiscrezioni, direttamente il capo dell’agenzia di sicurezza, Keith Alexander”.
La data cui fa riferimento la stampa tedesca è collegata ad una nota dell’allora Segretario di Stato Hilary Clinton che tra il 31 luglio 2009 e il 26 novembre 2010 scriveva alle rappresentanze diplomatiche americane nel mondo di “dare il massimo supporto” alle attività di intelligence dell’NSA [vedi doc allegato], che operava nel quadro di un “accordo” tra dipartimento della Difesa e l’Agenzia per la Sicurezza Interna. Ed è tra le maglie del “non scritto – non vietato” di questi accordi che è stato possibile per l’NSA attraverso (anche) Prism intercettare e controllare ben fuori il proprio territorio e le proprie competenze, in una inedita e insolita collaborazione con la Cia.
Le intercettazioni risalirebbero al 2002, quando alla Casa Bianca era da poco insediato George W. Bush, l’uomo che tramite Condoleezza Rice e Dick Cheney diede il massimo impulso al programma di intercettazioni globali, alle attività di spionaggio della Nsa, che da agenzia di secondo piano è stata trasformata nella più potente intelligence del mondo, superando per potere e finanziamenti (e di molto) la stessa Cia. Si, perché mentre per la storia agenzia di Langley esistono consolidati sistemi di controllo parlamentare per impedirne soprusi, la Nsa dell’amministrazione Bush dipendeva direttamente e senza mediazioni dalla Casa Bianca.
Obama viene travolto dalle rivelazioni su Prism proprio quando – all’inizio del suo secondo mandato – decide di “rivedere il Patriot Act” e riformare lo status giuridico e di controllo della Nsa, della quale finanche i bilanci sono secretati e fuori dal controllo delle commissioni di Senato e Congresso. Da quando manifesta anche solo l’intenzione di una riforma è un susseguirsi di rivelazioni su fatti di cui nessuno prima, apparentemente sapeva nulla. Una macchina di spionaggio che per anni aveva consentito non solo alla Casa Bianca repubblicana di violare la privacy e i diritti civili dei cittadini americani in nome di una presunta “sicurezza contro il terrorismo”, ma che era diventata utile strumento di informazioni privilegiate nella disponibilità di poche personalità chiave di quell’amministrazione; informazioni riguardanti imprese, attività finanziarie, imprenditori. Tutte cose che poco hanno a che fare con la scurezza e molto con il business.
Un fiume di notizie e rivelazioni praticamente incessante, ufficialmente attribuite tutte a Snowden ha investito l’amministrazione Obama, anche se con il passare dei mesi appare decisamente improbabile che tutto questo materiale provenga dalla stessa fonte.
Se Snowden infatti ha lavorato per un subappaltatore della Nsa a un pezzo del progetto Prism, appare poco probabile che abbia documenti relativi a intercettazioni dirette del servizio SCS della Nsa, come impossibile che abbia avuto accesso al sistema di catalogazione interno delle intercettazioni (che avveniva dopo la decrittazione di Prism, in altra sede e con altri criteri, cui lui non aveva accesso). Stesso dicasi per le intercettazioni politiche e sensibili, come quelle dei diplomatici e delle personalità politiche internazionali.
Un fiume di rivelazioni che, per comodità, va sotto il marchio Snowden, ma che in realtà raccoglie più fonti di alti gradi dell’intelligence, che è facile supporre non vedano di buon occhio che qualcuno voglia o possa limitare la propria sfera di azione.
Secondo alcune fonti ben informate della Casa Bianca sarebbe stata questa emergenza ad aver richiamato nella strettissima cerchia di Obama Jim Messina, l’artefice delle due vittorie alle presidenziali, stratega politico che proprio a giugno aveva accettato di curare la comunicazione strategica di Cameroon e del partito conservatore inglese.
Definito dal Post “la persona più potente di Washington di cui si parla meno” e soprannominato “the fixer” (il risolutore) Messina ha “firmato” il suo rientro nello staff mettendo alla porta alcuni dipendenti che, con falsi profili social, diffondevano materiale sensibile dagli uffici di Pennsylvania Avenue.
Il nodo che oggi è chiamato a sciogliere è portare avanti e condurre in porto la riforma fortemente voluta da Obama sia del Patriot Act che dell’intera governance dei Servizi di intelligence americani, senza che questo appaia un’ammissione di responsabilità diretta del Presidente nelle intercettazioni illegali, né, sul fronte interno, un atto di debolezza, in cui la Casa Bianca cede alle pressioni politiche internazionali.
Le elezioni di medio termine sono “costantemente vicine” e come dimostrato dal recente scontro sul bilancio i repubblicani in congresso sono agguerritissimi, proprio sul terreno della sicurezza interna e della supremazia americana nelle nuove armi strategiche globali, quelle appunto delle informazioni e delle telecomunicazioni.
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La minaccia alla rete non viene dagli hackers
La notizia del giorno sul datagate è quella di un fantomatico attacco hacker al sito dell’NSA, che non è stato visibile per alcune ore. Secca smentita di Anonymous, che per la verità non ha mai nemmeno pensato ad azioni contro quel sito, e smentita anche da parte dell’agenzia d’intelligence americana che ha confermato quello che un po’ tutti avevamo intuito: un semplice aggiornamento di sistema già previsto, che infatti si è svolto di sabato mattina, con il minore impatto possibile su dipendenti e utenti. La questione tuttavia riporta alta l’attenzione e l’allarmismo sull’idea che qualsiasi cosa non vada in rete “è colpa di hacker esterni” e se possibile allenta la tensione sul tema delle intercettazioni illegali rilanciando la necessità di difendersi da queste minacce.
Ma il tema delle minacce alla rete è anche collegato alla difesa del diritto di espressione e di conoscenza e informazione, anch’esso minacciato in molte aree del mondo, soprattutto grazie al filtraggio o ala censura preventiva da parte di alcuni governi. Spesso vittima di attacchi sono proprio siti e blog che fanno politica ed opinione, e qui il tema è in ottica diametralmente opposta.
Nel corso del summit “Conflict in a Connected World” sono stati presentati alcuni nuovi servizi utili proprio a difendersi da questi attacchi, e per poterli in qualche modo “misurare”. Il più importante per i tecnici del settore è senza alcun dubbio quello realizzato da Arbor Networks in collaborazione con Google Ideas per la creazione un sistema di mappatura degli attacchi DDoS globali attraverso la Digital Attack Map. Sulla mappa mondiale vengono mostrati gli attacchi in ingresso e in uscita da un paese e l’eventuale attacco in corso tra due paesi. Ogni attacco è corredato da una serie di informazioni, tra cui la durata e “la forza”. La Digital Attack Map viene aggiornata quotidianamente, e i dati storici sono consultabili per tutti i Paesi.
Gli attacchi DDoS è la più diffusa, e semplice, forma di hackeraggio e si basa su una rete di computer che inviando numerose richieste di varia natura ad un sito ne esauriscono le risorse (potenza di calcolo, banda) impedendo così l’erogazione del servizio a cui il sistema è adibito. Di fatto un attacco di pochi minuti può rendere un sito o un sistema o un intero servizio inagibile per ore se non giorni, e può provocare enormi danni, sia alle aziende o istituzioni che lo subiscono sia agli utenti.
Lo scopo principale della nuova mappa è quello di identificare quali sono i paesi da cui partono più attacchi e quali sono i più bersagliati. Secondo Arbor Networks sono più di 2mila al giorno gli attacchi osservati nel mondo. A leggere i dati si scopre che proprio gli Stati Uniti del tempo del Datagate, di Prism e delle intercettazioni dell’NSA, e della cyber guerra “contro gli attacchi esterni” sono anche il paese che di gran lunga esercita la maggiore potenza e intensità di questi attacchi, e prevalentemente entro i propri confini. Secondo alcuni analisti questi attacchi generano insicurezza, e fanno crescere l’esigenza di privati e imprese di sistemi e investimenti nella sicurezza informatica. Un po’ come le aziende “antivirus” che negli anni novanta diffondevano virus per vendere la cura. Secondo altri questi attacchi interni servono a nascondere le infiltrazioni e le intercettazioni informatiche e nasconderne le tracce. Quello che però appare certo è che una simile potenza di attacco non è generata da singoli o gruppi di hacker, ma poggia necessariamente su infrastrutture di vasta dimensione. E questo non solo a guadare i dati Usa ma anche quelli di Cina, Russia, Francia e Gran Bretagna. Ancor più se consideriamo che spesso queste risorse sono orientate entro gli stessi confini. Come ha osservato un autorevole esponente della comunità Anonymous tedesca “alla fine è facile dare la colpa agli hacker: tutti sanno che ci sono ma nessuno sa chi siano, e la gente ci crederà perché gli hacker sono i cattivi. Peccato che Harper Reed, che ha curato la comunicazione web di Obama si autodefinisca egli stesso un hacker. Chissà se all’NSA lo sanno.”
Ed è proprio dalla Germania che in questi giorni è partita l’offensiva diplomatica che chiede conto agli Stati Uniti delle intercettazioni dell’NSA. Sul piatto è stato messo tutto, dalle risoluzioni Onu alla interruzione delle trattative sull’area commerciale di libero scambio Usa-Ue. Elaborando i materiali forniti da Snowden con informazioni interne, sono stati proprio i Servizi tedeschi e quelli francesi a far trapelare che ad essere intercettati non erano solo cittadini comuni, ma anche politici e i membri dei governi, facendo uscire la questione dai semplici confini di tutela della privacy per farla rientrare nella sfera del vero e proprio controllo e spionaggio politico e finanziario. Tra l’imbarazzo di Washington e qualche ammorbidimento delle posizioni nel documento congiunto di Bruxelles si delinea lo scenario della trattativa cui, in realtà, mirano i Servizi dei paesi Nato: condividere la grande mole di informazioni e dati raccolti, e soprattutto “la macchina” di decrittazione messa in piedi dall’Nsa, che oggi è nel mondo un’arma paragonabile ad avere l’atomica nel 1948. Sarà questo il terreno su cui si muoveranno gli inviati tedeschi e francesi che nei prossimi giorni “tratteranno” con gli omologhi americani della Cia e dell’Nsa.