Cosa dimentica la Merkel
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Alcune considerazioni sulla Germania, che farebbero bene all’Europa
Faccio una premessa doverosa, per chi dovesse leggere questo articolo senza aver letto altri articoli miei prima (quelli che mi hanno già letto lo sanno con discreta certezza): il mio intento non è essere populista né revanscista, né entrare nel coro di coloro che “se la cavano” opportunisticamente dicendo “è colpa di…” e indicano qualcuno artefice di tutti i nostri mali. Non è il mio stile, né quello che penso.
Però mi trovavo a riflettere su questi concetti a proposito di un saggio che sto scrivendo su quella che è stata codificata come “la grande recessione”, ovvero quel ciclo che va dal 2008 al 2013 e da quasi tutti considerata pari o forse peggiore della “grande depressione” (1929-1935)
Se da noi è stata tremenda e dura, ma senza le scene che abbiamo visto nelle foto e nei documentari di quel periodo, è per quel tanto scontato e bistrattato stato sociale che ci ritroviamo, in cui non muoriamo per strada per un’influenza, perché abbiamo un sistema sanitario da migliorare, certo, ma gratuito per tutti, perché esistono strutture di assistenza, una scuola pubblica, e perché tutto sommato – spesso malgrado noi stessi – le condizioni di vita generali sono migliorate.
Non mi dilungo, perché il tema è un altro, ma questa prima riflessione credo sia comunque utile, e per certi versi necessaria.
Mi trovavo a confrontarmi con un amico, esperto più di me di economia europea, cui ho posto un semplice quesito: al di là del diverso sistema di stato e di governo, delle leggi sul lavoro, del costo del lavoro, ed anche di un diverso sentire nazionale, come si spiega la grande capacità industriale della Germania a differenza degli altri paesi europei?
Da questa chiacchierata sono emersi un paio di fattori abbastanza interessanti.
Il primo, è che da sempre la Germania si è sentita “minacciata”, non avendo confini naturali geograficamente definiti (come per noi le alpi e il mare per intenderci) il che ha irrobustito il carattere nazionale e nazionalistico, ed ha trasformato la debolezza in opportunità, ovvero diventare l’hub (diremmo oggi) della logistica europea.
Non avere confini significa poter investire in infrastrutture con maggiore economicità e praticità e data la posizione geografica essere il collegamento ineluttabile tra l’europa occidentale e orientale, con tutto quello che comporta.
Va poi sfatato poi qualche mito. in Germania il costo del lavoro è maggiore degli altri paesi europei, non il contrario, ma è legato alla produttività. A parità di professione un tedesco guadagna 1,08 volte quello che guadagna il suo collega francese e 1,11 quello che guadagna il collega italiano.
Semmai lavora 1,1 volte più del collega francese e 1,2 volte più di quello italiano – non in termini di ore lavorative, ma principalmente in termini di “cose fatte” – ovvero produttività.
Quello che però “non percepiamo” è quanto basso sia il costo della vita reale in Germania, e quindi quanti meno costi con quel salario deve sostenere un cittadino tedesco.
Asili gratuiti e diffusi per tutti, significa risparmi per le famiglie, specie quelle di reddito medio basso. Un costo di trasporti, carburanti, strade e autostrade, ferrovie, inferiori (tutti sommati e mediamente) del 12% significa altrettanti risparmi sui costi della vita. E potremmo continuare su altri “piccoli costi” sino ad arrivare alle abitazioni. Nel centro di Berlino puoi acquistare casa con 250/300mila euro, mentre a Roma, Napoli, Milano, la stessa casa costerebbe circa il doppio.
Questo significa che con gli stessi parametri di accesso al credito, in Germania il 70% dei cittadini può oggi acquistare una casa, mentre da noi solo il 30%, restando quindi un lusso più che un diritto.
Soprattutto tutti questi “minori costi” e anche minore indebitamento, in Germania diventano “risparmio”, e spesso investimento in fondi comuni, che investono in imprese, e non solo.
Ma è bene ricordare anche un secondo vantaggio della Germania, rispetto al resto dell’Europa, dovuto proprio grazie ad un’Europa cui troppo spesso la stessa Germania è poco grata.
E qualche volta, non per rinfacciarlo ai cugini germanici, sarebbe bene qualcuno lo ricordi, e con decisione e precisione, soprattutto quando i tedeschi sono propensi ad un certo rigore nel rammentare agli altri i propri debiti, e il dovere di onorarli.
La Germania è andata in default due volte in un secolo e le sono stati condonati i debiti di due guerre mondiali per consentirle di riprendersi. Fra i Paesi condonanti anche la Grecia, povera allora fors’anche più di oggi, e l’Italia.
Dopo la Grande Guerra, John Maynard Keynes sostenne che il conto salato chiesto dai Paesi vincitori avrebbe reso impossibile la rinascita della Germania. L’ammontare del debito di guerra equivaleva, in effetti, al 100% del Pil tedesco. Fatalmemte, nel 1923 si arrivò al grande default tedesco, con l’iperinflazione che distrusse la repubblica di Weimar.
Adolf Hitler, eletto cancelliere sull’onda proprio del malessere dovuto alla crisi economica, si rifiutò di onorare i debiti, i marchi risparmiati furono investiti per la ricostruzione industriale, e nel riarmo, concluso, come si sa, con la seconda guerra mondiale, in seguito alla quale su Berlino ricadde un secondo debito di ricostruzione e risarcimento: l’ammontare complessivo aveva raggiunto i 23 miliardi di dollari.
la cifra riferita a quegli anni sembra tutto sommato piccola, decisamente meno piccola se la attualizzassimo al 2000 – ad esempio – in cui sarebbero poco meno di 530 miliardi di dollari!
La Germania sconfitta non avrebbe mai potuto pagare i debiti accumulati in due guerre, peraltro da essa stessa provocate.
Mentre i sovietici pretesero e ottennero il pagamento della somma loro spettante, ottenuta anche facendo lavorare a costo zero migliaia di civili e prigionieri, il 24 agosto 1953 ben 21 Paesi Bassi, Belgio, Canada, Ceylon, Danimarca, Grecia, Iran, Irlanda, Italia, Liechtenstein, Lussemburgo, Norvegia, Pakistan, Regno Unito, Francia, Spagna, Stati Uniti, Svezia, Svizzera, Unione Sudafricana e Jugoslavia, con un trattato firmato a Londra le consentirono di dimezzare il debito del 50%, da 23 a 11,5 miliardi di dollari, dilazionato in 30 anni.
A parte Stati Uniti, Canada e Svizzera – che all’epoca erano paesi ricchi che on avevano subito danni diretti sul proprio suolo – tutti gli altri paesi che accordarono questo “sconto” erano paesi molto poveri, o avevano avuto pesantissime perdite.
In questo modo, la Germania poté evitare il default in cui di fatto era, e poté ricostruirsi.
L’altro 50% avrebbe dovuto essere rimborsato dopo l’eventuale riunificazione delle due germanie, ma nel 1990 l’allora cancelliere Kohl si oppose alla rinegoziazione dell’accordo, che avrebbe procurato un terzo default alla Germania. Italia e Grecia acconsentirono di non esigere il dovuto. Nell’ottobre 2010 la Germania ha finito di rimborsare i debiti imposti dal trattato del 1953 con il pagamento dell’ultimo debito per un importo di 69,9 milioni di euro (in pratica il rateizzo, a interessi zero, si protrasse per sessanta anni e non trenta come inizialmente stabilito).
Senza l’accordo di Londra che l’ha favoritala Germania dovrebbe rimborsare debiti per altri 50 anni. E non ci sarebbe stata la forte crescita del secondo dopoguerra dell’economia tedesca.
Ma è anche rilevante che senza quegli accordi, sconti e dilazioni Berlino non avrebbe avuto le condizioni per entrare nel G7 e non avrebbe avuto i requisiti per entrare nella Banca Mondiale, nel Fondo Monetario Internazionale e nell’Organizzazione Mondiale del Commercio.
L’Europa la si fa insieme, tutti insieme.
Ma tra i valori andrebbero inseriti accanto al rigore, al controllo del debito, alle riforme strutturali, semmai anche un tetto agli interessi del debito pubblico, e soprattutto una gran dose di memoria storica collettiva, che sembra proprio mancare talvolta.
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