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Michele Di Salvo
24 Feb

Lettera aperta sul Partito Democratico

Pubblicato da Michele Di Salvo  - Tags:  PD, partito democratico, Partecipazione, giovani, primarie, Matteo Renzi, Civati

Lettera aperta sul Partito Democratico

Non basta essere giovani per essere nuovi. Sarebbe un po' come cambiar nome per essere diversi. E sono anni che ci ritroviamo con i vecchi nomi in partiti dal nuovo nome e metodi che non cambiano quasi mai. Se pensiamo alla politica nazionale le costanti sono macroscopiche, e almeno tre evidentissime.
La prima riguarda la scelta dei nomi dei ministri in barba all'anagrafe. Mi interessa davvero poco della caccia ai record (quante donne, età media, numero dei ministri, età del premier). La sostanza e la qualità media sono quelle che sono, la storia personale e politica di ciascun membro dell'esecutivo è quella che è ed è abbondantemente stata radiografata. Men che meno mi interessa se si riducono i ministri senza portafoglio, e poi quelli tagliati sono quelli all'integrazione (ad esempio). Anche questi sono segnali, politici e sostanziali.
La seconda è una doppia retorica: da un lato il richiamo alla necessità, a "cose più alte e situazioni drammatiche che impongono certe scelte", e dall'altro il richiamo al fare quadrato, a stringersi a difesa del fortino, e quindi chiunque osi essere critico è anche "elemento estraneo".
La terza è quell'idea malsana che rende certi giovani più vecchi di certi anziani, per cui "arrivati in una determinata posizione" quell'arrivo va difeso "in nome e per conto di un'intera generazione": peccato che quei cd. giovani quella generazione non la rappresentino. Semmai rappresentano l'esatto contrario: fare carriera di partito nel partito attraverso relazioni personali e spesso cambio opportunistico di corrente e alleanze: cosa hanno a che fare questi cd. giovani con i "giovani veri" che stanno là fuori, nel paese reale?
A tutto questo qualcuno potrebbe rispondere con la logica del “questo è l'inizio, ma bisogna pur mediare per fare le vere rivoluzioni” e i cambiamenti che i cittadini ci chiedono.
A me questa logica non ha mai convinto, forse perché sono figlio di slogan come “la rivoluzione non chiede permesso” e che il vero cambiamento comincia prima di tutto da noi stessi, e quindi dalle logiche con cui vengono compiute le scelte, ed ancor più dai metodi. O sarà forse che sono già troppo vecchio per cedere ai facili entusiasmi di semplicistici slogan, che funzionano nelle battute in tv o in streaming, e che semmai fanno anche qualche punto di share, ma non hanno mai fatto alcuna frazione di pil, o di riduzione del tasso di disoccupazione.

Al di là delle questioni di “grande politica nazionale” il metodo è quello che – a cascata – sta caratterizzando tutta la vita del Partito Democratico. Che ha votato alle primarie su un programma molto semplice e talmente quasi “banale” che difficilmente la retorica politica può mistificarlo in maniera differente: cambiare verso. E francamente sarebbe il caso di ripartire da qui.
Si perché su 2.900.000 persone che si sono recate ai gazebo, ben 1.890.000 hanno votato #cambiaverso, ed è bene ricordare tutti che non hanno “votato altro”: non hanno chiesto che Letta andasse a casa, non hanno chiesto certi ministri, non si sono espresse su alcun programma di governo, non hanno chiesto certe scelte, ma di cambiare verso al partito. E quei voti – che sono un mandato pieno – meritano rispetto altrettanto pieno.


In questa fase ci sono almeno tre “lavori in corso” nel partito democratico: la scelta dei segretari e delle segreterie regionali, la scelta di molti candidati sindaci e amministratori locali e presidenti di regione, e su tutto il “decreto nomine”, ovvero quell'unico decreto che nominerà oltre 600 dirigenti delle massime aziende ed enti partecipate dallo Stato.
Su ciò che sta avvenendo nelle varie regioni, con i cencelli tra le componenti interne alla maggioranza e poco rispettosi delle minoranze, anche quando decisamente ampie, con fatti decisamente poco edificanti, che vedono protagonisti nomi che ritenevamo tutti da archiviare, credo ci sia poco da aggiungere a quanto tutti bene o male sanno, vedono e sentono. E francamente gradiremmo davvero tutti un po' meno ipocrisie, un po' più di serietà, meno eslutazioni eclatanti (non c'è davvero nulla da esultare!) e soprattutto una maggiore assunzione di responsabilità di ciò che sta avvenendo da parte di Roma.
Stesso identico ragionamento sui candidati locali, in cui pare stia latentemente prevalendo una logica che non cambia verso per niente: in nome dell'accordo di governo, nomi vecchi, perdenti, per garantire alcune posizioni e alcune candidature locali. E francamente non cambia verso nemmeno l'informazione, che di certe cose non dice nulla, in cambio di qualche dritta e qualche benevolenza nazionale.
Discorso per ora ancora aperto quello sulle nomine – altro fattore e scadenza che ha accelerato il passaggio del testimone tra Letta e Renzi, che probabilmente quelle nomine teneva a farle lui.
Di questo ancora non si parla, e sarebbe bene che non passasse né in sordina né in silenzio.
Alessandro Rimassa – autore di Generazione Milleuro – ha lanciato una proposta di metodo (e sostanza) sull'HuffingtonPost che appoggio pienamente.
1. Rendere pubblico il CV di sintesi delle risorse nominate con evidenza dei risultati ottenuti durante i loro vari mandati dai contesti (aziendali o pubblici) in cui hanno operato. E aggiungiamo due righe in cui gli stessi nominati dichiarano macro-obiettivi un minimo misurabili per il loro mandato futuro.
2. Rendere pubblico il numero di nuovi insediamenti rispetto alle vecchie nomine. Sia ben inteso, cambiare non è di per sé un valore e non sono un fan del concetto di rottamazione, ma siccome negli ultimi 20 anni qualcosina ha diciamo "scricchiolato" penso che tassi di nuovi ingressi inferiori, per dire, al 20% porrebbero dubbi seri sull'autenticità dell'intento innovatore del nuovo Governo.
3. Rendere pubblico il numero di nomine che hanno ruotato. Anche qui nessuna preclusione a priori, ma elevati tassi di tuttologi che passano da un contesto a un altro in scioltezza, porrebbe qualche dubbio sulla volontà seria di cambiamento.
Ecco, questa sarebbe una bella occasione e un buon metodo come banco di prova di un cambiamento autentico di verso, o per confermare la logica senza età ed extra-anagrafe del "nei posti che dico io metto chi dico io".


Queste le cose che direi a Renzi, che sono le stesse cose che direi in una teorica direzione o segreteria del PD. È bene dirle, soprattutto in casa propria, perchè ci prendiamo la briga di dire che – fatto vero – il centro destra è proprietà privata di un miliardario evasore fiscale plurinquisito e pluricondannato. E ci prendiamo la briga di ricordare – ed anche questo è vero - che nel M5S non c'è democrazia interna, non c'è spazio per qualsiasi dissenso, che il massimo del contenuto politico concreto è uno slogan populista, che la deriva fascistoide è qualcosa di più di una mera illazione di parte.
E la credibilità nel dire queste cose – che sono vere – passa dal non essere ultras in casa propria o dal difendere il fortino a tutti i costi da presunti "attacchi indiani", e renderci conto che forse qualche volta i veri nemici del pd sono un pezzo di quelli che sono nel fortino, e nel fortino si nascondono spesso in posizioni dorate – senza età.

Se qualcuno pensa di usare queste considerazioni a proprio uso e consumo, per logiche di parte, o contro qualcuno sta sbagliando di grosso. Queste sono cose che dovrebbero far bene a tutto il pd, partendo dalla considerazione che anche laddove qualcuno è "meno peggio", nessuno è decisamente impermeabile a queste tensioni ed a certi problemi. A meno che qualcuno non abbia l'ambizione di "definirsi a 5 stelle" anche qui, semmai per grazia ricevuta.

A queste considerazioni, che sono già lunghe – me ne rendo conto – ne aggiungo due.
La prima, è il contributo che ho mandato all'incontro organizzato da Pippo Civati (non potendo essere presente di persona a Bologna). È qui per tutti, perchè non credo che le idee che devono circolare abbiano "compartimenti stagni" o laghetti circoscritti in cui essere dette.
Non sono tra quelli che si stupiscono di quanto avvenuto nel Partito Democratico. A dirla tutta quello che avrebbe fatto Matteo Renzi l'ho detto e scritto in date precise. Il 9 dicembre scrissi che Matteo non avrebbe aspettato alcuna verifica (dalle convenzioni regionali, alle amministrative alle europee) per andare a palazzo Chigi. Qualcuno gongolerebbe, dicendo "visto? Avevo ragione". Io no, perchè quando considero certe scelte "sbagliate" mi auguro sempre di sbagliarmi. Come mi auguro di sbagliarmi quando il 10 febbraio ho scritto che si andrà a votare a fine maggio o a febbraio prossimo, e con una legge elettorale "ad personam". E non perchè – sia chiaro – non voglia un passaggio elettorale, ma per il modo e il metodo: e noi siamo quelli che dovrebbero sapere che il modo e il metodo contano, perchè sono più che sostanza. E i fatti di questi ultimi tre mesi credo lo mostrino straordinariamente.
Noi dovremmo aver imparato che le uniche cose buone, e che funzionano e che sono utili, sono quelle che "facciamo tutti insieme", e non con un leader unico, un uomo solo al comando, con squadre tagliate su misura, e avremmo dovuto imparare che uno dei nostri mali è il killeraggio interno, il timore di creare e far crescere nuovi leader, e di vedere sempre, costantemente, ciclicamente, ogni diversa posizione come un male, un errore, una minac
cia.
Il percorso del partito democratico ha un senso solo se diventa un "cammino comune" in cui, assieme e stando assieme, si costruiscono alternanze, alternative, si raccolgono energie nuove, ed in cui "l'opposizione interna" si declina in momento di "svelamento delle contraddizioni altui", perchè è forse oggi è ancor più vero che "nel tempo dell'inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario".
Contarsi non ha senso se è una misura di peso e dimensione finalizzata a una contrapposizione, diventa invece importante se è misura di integrazione, di unificazione, di arricchimento e allargamento: contarsi deve tornare ad essere la misura di ciò che porto a tutti gli altri per arricchirli e crescere assieme. In questa ottica, io spero che oggi il conteggio sia il più ampio possibile, e che le persone non siano solo numeri, o percentuali... ecco, dovremmo cominciare a contare le persone in termini di battiti di cuore, di numero di respiri, di lacrime, di tensioni morali, di idee, di storie... e ricordarci poi che tutto questo è un pezzo della nostra storia comune e di un cammino che non può essere fatto in altro modo che tenendoci per mano. Perchè è solo tenendoci per mano che si può avere una strada comune, che si scalano le montagne, che si affronta la salita, che si vincono le sfide più dificili, che ha un senso darsi le mete più alte, anche quando – come in questi tempi – noi stessi non siamo all'altezza dei sogni che abbiamo e delle tensioni morali che dovremmo avere.

La seconda è qualcosa che ho detto e dico ai molti giovani del PD con cui parlo, con cui mi incontro, in questo giro d'Italia "silenzioso e di ascolto" che ho cominciato dopo le primarie, e che non si fermerà tanto presto; a coloro che si indignano per le scelte, le nomine, i nomi, che in questi giorni stanno facendo capolino... ai ragazzi del Pd io dico quello che ho sempre detto e cercato di fare "la vostra posizione non sia politica ma pragmatica: siate desistenti".

Se quella persona non vi piace, non la considerate degna, la considerate impresentabile, non vi piegate alla logica del "dato che è candidata non posso non supportarla".
Siate desistenti!
Non fate la campagna elettorale di certe persone, fate i nomi e dite "non in mio nome, non mi rappresenti", non aprite le sezioni, non andate ai gazebo, non mantate le mail, non distribuite materiale, non accettate la logica del compromesso in nome di un simbolo: scegliete, e se non c'è nessuno che vi rappresenta, desistete e ditelo "non faccio campagna perchè i candidati del mio partito – in cui resto – non mi piacciono e non mi rappresentano".
Lasciateli soli in piazze vuote, coi manifesti da attaccare da soli e coi volantini ancora imbalati. E se qualcuno vi chiede... rispondete!

Forse questo è il modo perchè sia davvero la volta buona perchè si cambi verso, e qualcuno cominci a riflettere. Perchè senza di voi, le primarie dell'8 dicembre non ci sarebbero state, e senza di voi, le prossime elezioni, si perderanno. Ecco, ponete sul piatto della bilancia queste cose, e la vostra forza sia la desistenza, e non un semplice lamento momentaneo destinato all'oblio.

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C
Concordo, anzi, darei ancor maggior rilievo al personalismo di Renzie ed all'impresindibilità opportunistica del momento scelto per la spallata. <br /> Sulla desistenza, temo, sia molto difficile farla dall'interno. Prima a poi ti trovi immerso nelle ragioni di partito. A meno che non esca un &quot;politico&quot; coi fiocchi, sempre più difficile da immaginare in un mondo così contaminato....
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