Seppelliamo Pompei
Pompei ed Ercolano non sono nostri, non ci appartengono. Appartengono all'umanità intera, alle generazioni future, ai nostri figli e nipoti e a quelli che verranno dopo. Ci insegnano delle cose fondamentali per la storia dell'uomo, letteralmente scolpite nella pietra come lo erano pedagogicamente i primi graffiti. Ci insegnano l'essenziale, quell'essenziale che pare sia “invisibile agli occhi” ed alla nostra arrogante presunzione, che spesso nella storia dell'uomo riaffiora, senza riusciamo mai a fare nostre delle piccole semplici ed essenziali lezioni del passato.
Perchè con arroganza, ignoranza e presunzione, pensiamo si poter sfidare la natura e di essere ormai “ad un livello superiore”. Pensiamo ancora di potercene fregare degli assetti idrogeologici e costruiamo dove ci pare, quando ci pare e come ci va o ci capita. Pensiamo sempre, nei secoli, di essere più grandi, più evoluti, che una pioggia non possa fare danni, che un fiume possa essere deviato, seppellito, ostruito, incanalato secondo i nostri desiderata urbanistici e speculativi.
Pompei ed Ercolano ci avrebbero dovuto insegnare ad esempio questo, costruite dal meglio di una civiltà capace di conquistare il mondo conosciuto, che pensava – all'epoca, nella sua arroganza e presunzione – di poter sfidare il Vesuvio. E in una notte, bastarono poche ore, per seppellire per due millenni città e persone e cose...
Gli scavi archeologici hanno avuto impulso in un'epoca di grande trasformazione delle società, ed in cui in piena prima rivoluzione industriale i magnati dell'epoca riscoprirono l'importanza della riscoperta delle origini della nostra civiltà e della cultura. E questa nuova cultura – che qualcuno battezzò neoclassicismo – era il vero sfarzo e simbolo di grandezza delle famiglie neo arricchite, e vanto dei regni del mondo, che mandavano in magnagrecia spedizioni di archeologi e mercanti a caccia di tutto, anche di un disegno, di una riproduzione, di una testimonianza, di ciò che dalla terra tornava alla luce... e che forse affiorava, ancora una volta, come un graffito primordiale, a farci da monito. Un messaggio atavico dei nostri avi a non andare oltre, a non sfidare di più.
Siamo cresciuti, ci siamo evoluti, abbiamo confuso ciò che potevamo fare con ciò che era lecito facessimo. Ed ancora oggi ad ogni crollo, non pensiamo che sia stato un errore costruire lì, ma “chi ha costruito ha sbagliato il come, mentre noi saremo più scaltri”.
In questa presuntuosa arroganza senza tempo Pompei, come fosse di nostra proprietà e nella nostra disponibilità assoluta, crolla.
Città morta, sepolta, senza abitanti che curino le proprie case, che sono senza intonaci e coperture... abbiamo l'arrogante presunzione che resti lì, circondata da ogni genere di scempio urbanistico, da ogni possibile atto urbanistico irrispettoso degli equilibri idrogeologici. L'abbiamo tirata fuori, senza capirne la lezione e il messaggio.
Arroganti, che pensiamo debba stare lì. Semmai “puntellata coi soldi” che possiamo spendere, mentre non comprendiamo che banalmente siamo “incapaci”. Siamo immeritevoli anche di questa atavica lezione che dimostriamo ostentatamente di non aver appreso.
Pretendiamo che per il nostro godimento questa città debba restare in piedi, senza ammetter che noi, allo stato delle nostre conoscenze, e allo stato del nostro non rispetto per l'ambiente, non siamo quella generazione capace di preservarla. Non ci tocca, non ci spetta, non ci appartiene.
E mentre ci accaniamo a non prendere atto di questa semplice realtà, pezzo a pezzo, muro a muro, affresco dopo affresco, la natura se la riprende. E noi decidiamo impunemente che “se Pompei no è per noi, va condannata a non essere per nessuno”. Non ne deve restare nulla, nemmeno una pietra per le generazioni che verranno.
Io vi chiedo un atto di umiltà – atto innaturale per queste generazioni che non conoscono il valore pedagogico della sconfitta – e di seppellirla. E del resto la “Pompei dell'età del bronzo” quella che è stata definita “La Pompei della Preistoria. La Venezia del Sarno." è già stata riseppellita. Unico modo per preservarla. Per gli studiosi è un "unicum". Un insediamento abitativo con caratteristiche mai viste prima, datato fine XV secolo-inizi XIV seccolo a.C. e abitato fino agli inizi del VI. E' uno dei siti archeologici più interessanti mai scoperti, con centinaia di migliaia di reperti afiorati e conservati ottimo stato. Quando venne presa questa decisione – per una volta non solo doverosa ma anche saggia – e non evidenziata dai mass media per evitare che tutti ci potessimo considerare mediocri quanto in realtà siamo – la sovrintendenza dichiarò "Le particolari caratteristiche del villaggio protostorico, costituito da strutture lignee facilmente deperibili, nonché il livello della falda acquifera su cui sorge, che richiede un uso continuo di pompe idrauliche per poter operare, sono alla base della scelta di procedere alla ricopertura delle aree scavate. "Tale scelta è, al momento, l'unica che può garantire la salvaguardia delle importanti evidenze archeologiche."
Amen.
Io oggi chiedo di fare la stessa cosa con Pompei tutta, Ercolano, Velia, Oplonti. Estenderei alla Valle dei Templi, al Circo Massimo e ai Fori Imperiali, ma non vorrei peccare di eccessiva divagazione extraterritoriale. Lascio appelli omologhi ai cittadini di ciascun area con le specifiche peculiarità.
Non è una provocazione, dettata dalla rabbia o dall'emozione degli ultimi crolli, ma una scelta ragonata e ponderata, come quella che fu presa nel 2012 dalla sovrintendenza per la "Pompei preistorica".
Prendiamo atto, serenamente e tutti assieme, che siamo inidonei, inadeguati, piccoli e impreparati.
Facciamo un atto di umiltà con un'eredità da lasciare ai nostri pronipoti.
Lasciamogli qualcosa che sia degno di essere ricordato, una lezione autentica, una lapide da lasciare sugli scavi ricoperti: "se non sarete capaci di averne cura, non siate arroganti e presuntuosi, qui potrà scavare solo chi sarà in grado di mantenere e preservare".
Lasciamo che Pompei viva, sotto terra, come un seme in silente letargo, in attesa di fiorire in una stagione nuova.
O su di noi ricada la colpa di averla distrutta per sempre.
Ed accettiamola senza scuse o infingimenti.