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Michele Di Salvo
18 Jun

La sfida del sud: essere luoghi di innovazione

Pubblicato da Michele Di Salvo  - Tags:  Napoli, sud, StartUp, innovazione, neweconomy, sviluppo, giovani, crescita

La sfida del sud: essere luoghi di innovazione

Capita spesso sentire parlare i nostri politici e amministratori di agenda digitale, di investimenti sulle nuove tecnologie, di attrarre nuovi investimenti per cerare opportunità di lavoro. Poi quando provi a declinare il concetto, ti accorgi che sono pochissimi a sapere di che si parla, e tra questi pochi ancora meno sanno spiegare perché e come web, tecnologia e interconnessioni creano sviluppo e occupazione. Perché se un nesso c'è, questo va anche colto e spiegato, perché solo così si può anche comprendere cosa fare, in maniera coerente, con una pianificazione strategica, semmai senza spendere neanche troppe risorse. E allora cerchiamo di comprendere pochi semplici principi di base.
Noi siamo un Paese di trasformazione, nel senso che il nostro sviluppo, anche industriale, è sempre dipeso dal costo delle materie prime, da importare, dalla nostra eccellenza e specializzazione nel “lavorarle” e creare prodotti, e nel rivendere questa produzione. Se tutto questo al sud è sempre rimasto in una dimensione poco più che artigianale nel migliore dei casi, è anche vero che ovunque si è diffusa una cultura di base dell'eccellenza. Dalle gioiellerie, all'abbigliamento, all'agroalimentare quel deficit dimensionale che caratterizza l'artigianato di qualità è oggi la risorsa essenziale del meridione. Ma si porta con sé ovviamente altri deficit, tra cui scarsa capacità di coordinare azioni incisive nell'export, un sistema della logistica e dei trasporti arretratissimo, una precarietà di sviluppo costante, e spesso la dipendenza del tessuto socioeconomico dalle scelte (anche finanziarie) della politica.
Il web non è la panacea per tutti mali, né in sé la risposta a tutti i problemi, ma può fare molto. Per una volta senza distruggere posti di lavoro ma creandoli. La rete può facilitare l'export, l'incontro con i buyers mondiali, far conoscere prodotti e servizi, e può anche far incontrare aziende e professionalità e creare occupazione senza “spostare le persone”.
Se si è consapevoli di questo, il nostro territorio deve – imperativo più che categorico direi sopravvivenziale – investire ed offrire spazi ed opportunità a questo settore. E può farlo perché non sono richiesti grandi investimenti, se non in alta formazione, ma le scelte politiche dovrebbero essere almeno due, che sino ad oggi oltre le parole, sono mancate: credere nei giovani e nella loro capacità di innovazione, e rinunciare per una volta a “entrare” nelle dinamiche di impresa “lasciando fare”.
E le occasioni non mancano. Da un lato le aziende hitech sono alla disperata ricerca di dislocare centri di innovazione e sviluppo nel mondo, per recepire le idee migliori e creare centri di eccellenza, dall'altra al nostro territorio non mancano “i luoghi” da destinare a chi vuole investire qui. Si tratta di non restare ancorati alla vecchia idea che la grande occupazione la crea la grande industria e scegliere finalmente che i complessi industriali – come avviene Bombai, nei Docs di Londra e New York o nelle ex fabbriche dell'interland di Parigi e Francoforte – diventino “il luogo dell'innovazione”.
Quando venne fondata la stazione zoologica marina, quella che chiamiamo acquario, Dhorn per finanziare la ricerca disse alle nazioni “noi abbiamo il luogo, voi i ricercatori ma non abbastanza risorse da destinare, bene, mandateli da noi, e ci pagate un canone per ogni “banco di ricerca”. Mutuare quella storia, che è la nostra storia, per luoghi come Bagnoli, ma anche come la ex Birreria Peroni, è solo l'ultimo degli esempi di come, senza spendere nulla o relativamente poco, il motore pubblico, oggi, può avviare una macchina incredibile di opportunità, di formazione, di incontro e sviluppo che – per una volta – non alcuna ricaduta negativa.
Basterebbe avere la credibilità per dire ai Google, Microsoft, IBM ma anche alle aziende più piccole, semplicemente “noi vi mettiamo a disposizione uno spazio, in comodato d'uso per un certo tempo, e tu ti impegni a formare un certo numero di persone che lavoreranno da te”. E molti di quei giovani, oltre a non dover migrare per imparare (quando possono permetterselo), un domani potranno avere qui quelle opportunità di eccellenza per creare autonomamente il proprio futuro.
Ma occorre crederci, e spesso questo è proprio quello che manca.

La sfida del sud: essere luoghi di innovazione

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