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Michele Di Salvo
11 Jul

F35 - la storia di un aereo che non dovrebbe volare

Pubblicato da Michele Di Salvo  - Tags:  F35, Eurofighter, JSF, Typhoon, Europa, Usa, Lockheed Martin, Lobby, difesa, in evidenza

F35 - la storia di un aereo che non dovrebbe volare

[di tutti i problemi di questo aereo e dell'ampio dibattito sul suo acquisto mi sono già occupato in un articolo esattamente un anno fa e lo trovate qui "F35 Story"
In questo mesi ho continuato a raccogliere materiali e riscontri. Qui trovate il testo integrale dell'inchiesta uscita in due puntate su l'Unità il 7 e l'8 lugl
io]

L’Italia è parte della NATO e un progetto come questo non rientra – come molti possono pensare – nella “libera decisione” del nostro Paese, bensì – cosa che quasi tutti ignorano – in un progetto del 1994 – con la fine della guerra fredda – di riordino, riassetto e coordinamento degli armamenti. La logica è tagliare i costi ottimizzando ruoli e funzioni. Tradotto, ciascun paese si specializza in una cosa, e si dota di un certo tipo di armamento, che funziona come pezzo di un unico puzzle bellico – che doveva essere di difesa, ma che è sempre più di “difesa preventiva”, ossia di attacco. Ed è per questo che mano a mano che gli equipaggiamenti diventano “obsoleti”, quelli che li vanno e andranno a sostituire devono rientrare in una stretta cerchia di prodotti che si “compensano e integrano” tra loro. Ed è anche per questo che sino a un certo punto conta quello che decide il Parlamento, essendo la funzione centrale spostata in seno al “Consiglio Supremo di Difesa” che partecipa di quanto avviene in sede Nato. E tuttavia è bene ricordare anche che i parlamenti non sono tagliati fuori dalla conoscenza e decisione di queste politiche, perché esistono "missioni permanenti" presso la Nato. Ci piaccia o no, ma non è possibile intervenire su un pezzo del puzzle militare strategico senza entrare nel merito dell’assetto complessivo della Nato, delle sue regole e del suo funzionamento.

Joint Strike Fighter
Il programma di sviluppo e costruzione degli F-35 ha il nome ufficiale di “Joint Strike Fighter (JSF)” e ha l’obiettivo di costruire un aereo da combattimento cosiddetto “di quinta generazione”. È svolto dagli Stati Uniti in collaborazione con Regno Unito, Italia, Canada, Danimarca, Norvegia, Olanda, Australia, Turchia, Singapore e Israele. I diversi paesi hanno diversi livelli di coinvolgimento nel progetto: il Regno Unito è l’unico di primo livello (partecipa a circa il 10 per cento delle spese di ricerca e sviluppo), mentre Italia e Olanda sono due partner di secondo livello (partecipazione intorno al 5 per cento). Il programma serve, nel caso dell’Italia, a sostituire tre modelli di aereo militare, e cioè i Tornado, gli AM-X e gli AV8B della Marina.
Nel 2001 la realizzazione dell’aereo è stata data a un gruppo industriale guidato dalla statunitense Lockheed Martin e di cui fanno parte ai primi posti Northrop Grumman (americana), BAE Systems (britannica) e, per i motori, le statunitensi Pratt & Whitney, General Electric e Rolls Royce (quest’ultima britannica).
Il «Lightning» (cioè «lampo») F35 è figlio imprevisto di un altro caccia, l’F22 «Raptor». Quest’aereo, l’F22, è invisibile al radar (o almeno furtivo, secondo la traduzione letterale di «stealth»). Avrebbe dovuto essere prodotto in 750 esemplari, ma poi il costo unitario elevato e forse anche problemi tecnici (peraltro mai ammessi ufficialmente) ne hanno ridotto gli ordinativi ad appena 183. Gli americani hanno deciso di riservare all’F22 al ruolo di caccia puro (intercettazione e combattimento aereo) e di affiancargli un aereo più semplice ed economico per le mansioni di cacciabombardiere, cioè l’attacco al suolo o in mare e l’appoggio tattico alle truppe a terra. Questo figlio (inizialmente non pianificato) dell’F22 è l’F35. L’F35 ha tradito molte promesse. Costa meno dell’F22 ma molto più del previsto, addirittura l’80% in più; in particolare i 90 F35 italiani costerebbero 155,5 milioni al pezzo. I problemi sono anche tecnici. L’F35 fruendo della tecnologia già sviluppata per l’F22 avrebbe dovuto crescere in fretta e invece ha avuto un sacco di problemi. Innanzitutto, ed è una beffa per un aereo che si chiama «Lightning», l’F35 è risultato vulnerabile ai fulmini. Nel marzo scorso un rapporto del Pentagono ha denunciato che sull’F35 il display nel casco di volo non fornisce un orizzonte artificiale analogo a quello reale, a volte l’immagine è troppo scura o scompare, e il radar in alcuni voli di collaudo si è mostrato incapace di avvistare e inquadrare bersagli, o addirittura si è spento. La quasi tragica considerazione finale del Pentagono è che in un duello aereo l’F35 verrebbe abbattuto dai vecchi caccia americani F15, F16 e F18 (evoluzioni di modelli che volano da 30 o 40 anni), dal pan-europeo Typhoon e dal Sukhoi 30 russo e dal J-10 cinese. La Lockheed assicura che questi problemi saranno risolti. Comunque l’F35 è (di base) un monomotore più lento e meno potente di molti potenziali oppositori vecchi e nuovi, per la maggior parte bimotori; può superare l’handicap con la tecnologia superiore, ma non se questa tradisce le aspettative.

Finmeccanica
Il gruppo italiano Finmeccanica – che per il 30 per cento è di proprietà del ministero dell’Economia – partecipa alla costruzione degli aerei attraverso tre aziende principali: Alenia, SELEX Galileo e SELEX Communications. Anche Avio, un’altra azienda aerospaziale italiana in cui Finmeccanica ha una partecipazione, è coinvolta nel progetto. Alenia partecipa già da tempo ad alcune fasi di progettazione del JSF, insieme alla Lockheed Martin, nella sede di Pomigliano d’Arco. Partecipa soprattutto alla costruzione di alcune componenti finali delle ali dell’aereo (per ora in due stabilimenti a Foggia e a Nola). Lavora poi nella base dell’aeronautica militare di Cameri, in provincia di Novara, dove è stata costruita l’unica linea di assemblaggio finale, manutenzione, supporto logistico e aggiornamento degli aerei al di fuori degli Stati Uniti. SELEX Galileo partecipa alla costruzione del sistema di puntamento. Le stime per la vita operativa, ossia il prezzo di ricambi, manutenzioni e aggiornamenti tecnici, dell'intera flotta di F-35 statunitensi per i prossimi 50 anni sono di 1510 miliardi di dollari, pari a 618 milioni per ogni aereo. Altri paesi come la Norvegia credono invece che per ogni singolo velivolo si spenderanno 769 milioni di dollari. La Marina americana reputa questi costi superiori di 442 miliardi rispetto alle previsioni ragion per cui il Pentagono ha minacciato che se queste stime non verranno ridotte toglierà alla Lockheed il controllo delle forniture di ricambi.

Perché l'Italia ha scelto l'F-35?
La decisione è stata stata sostenuta soprattutto dai militari. La Marina in particolare ha sostenuto essere una scelta obbligata: è il solo aereo a decollo verticale sul mercato e quindi l'unico che può operare dalle nostre piccole portaerei Garibaldi e Cavour. L'Aeronautica ha sostenuto che si tratti del migliore velivolo disponibile per le missioni d'attacco.
Le forze armate ritengono che si potranno creare 10 mila posti di lavoro e ci sarà una ricaduta per le aziende italiane pari a 18,6 miliardi di dollari. Queste stime si basano però su una produzione a Cameri di 250 velivoli e sulla prospettiva che altri acquirenti dell'F-35, ad esempio la Turchia e Israele, affidino allo stabilimento piemontese la manutenzione dei loro caccia. Al momento non ci sono accordi firmati. Lockheed invece ha prospettato una ricaduta per l'Italia pari a 9 miliardi di dollari, senza calcolare l'attività di supporto e manutenzione, più altri quattro miliardi di dollari da assegnare.

Questo sostanzialmente quanto sostenuto sinora, in una vicenda decisamente intricata e basata essenzialmente su due pilastri. Il primo, che parliamo di un argomento estremamente tecnico e delicato, in cui spesso se si vuole davvero scavare a fondo, c'è sempre qualcuno che può obiettare generici omissis dovuti al "segreto militare".
Il secondo, è che i tecnici che veramente possono mettere in dubbio le tesi dei militari, sono spesso al servizio dell'industria bellica privata, o quando trovi anche solo uno disposto a sostenere una tesi differente, l'industria bellica può schierarne altri dieci per smontare la tesi.

La prima questione è centrale, e mostra lo scenario. Basta rispondere ad una semplice domanda: possibile non esista una vera alternativa all'F35, al punto che in tutto il mondo occidentale questo sia l'unico aereo possibile, e che vi sia davvero solo un fornitore che debba monopolizzare la difesa aerea di tutta la Nato? Si scopre che in realtà un'alternativa c'era e c'è ancora, tutta made-in-europe, e questa alternativa era, sino a pochi anni fa, vincente sia sul piano tecnico che su quello economico.
Un'alternativa che aveva due difetti: rendeva indipendenti i paesi europei da forniture belliche – e quindi anche dal controllo sugli armamenti – per migliaia di miliardi di dollari, e poteva costituire una base solida per la nascita di un vero e proprio esercito europeo, capace, nel tempo, di sostituirsi alla Nato.
In questo settore l’industria europea ha esperienza ed expertise da vendere, e non mancano esempi eccellenti: uno tra tutti il programma NEURON per la creazione di un dimostratore tecnologico per lo sviluppo del primo UCAV stealth europeo, nato nel 2003 dalla cooperazione tra Italia, Svizzera, Spagna, Grecia, Regno Unito e Francia. Un altro esempio ben più noto è sicuramente quello del consorzio Eurofighter (Germania, Italia, Spagna e Regno Unito), che ha dato alla luce il caccia multiruolo di "quarta generazione e mezza" EF2000-Typhoon.

Il Typhoon
Proprio quest’ultimo velivolo è legato ad uno dei più grandi paradossi dell’industria aeronautica europea: l’introduzione dell’F-35 in Europa porterebbe al rimpiazzo di numerosi esemplari di Typhoon, nonostante quest’ultimo sia un velivolo estremamente efficiente. Se da un lato l’F-35 presenta una tecnologia estremamente avanzata, è pur vero che supera i parametri del Typhoon solo per quel che riguarda la tecnologia stealth. Al contrario il Typhoon è maggiormente manovrabile, specialmente a media ed alta quota, e più veloce, dal momento che superato il regime transonico l’F-35 riesce a malapena a sfiorare velocità Mach 1.6 contro Mach 2 del Typhoon. Ancora, l’F-35 presenta una serie di problemi di progettazione che la Lockheed Martin si è affrettata a definire “problemi di gioventù” dell’aereo, ma la cui risoluzione comporta un notevole aumento dei costi unitari, pena l’inefficacia operativa dell’aereo. I due esempi più rilevanti sono rappresentati dall’abitacolo, che pecca di scarsa visibilità negli angoli posteriori del campo visivo del pilota e compromette la sicurezza di volo e l’efficacia negli scontri (dato confermato in un rapporto del Pentagono) e dall’impianto elettrico a 270 volt, estremamente delicato, che al più semplice danno rischia di provocare pericolose fiammate.
Restando in casa nostra, l’industria aerospaziale e della difesa italiana non si è mai trovata così in contrasto con il suo cliente naturale, le quattro Forze Armate, come con il programma F-35. E la Forza Armata più coinvolta in questo programma, l’Aeronautica Militare Italiana, non ha mai avuto un atteggiamento così duro, al limite dello sprezzante. Il Joint Strike Fighter ha finito per accrescere la distanza fra le due parti rendendo ancor meno conciliabili le prerogative e le esigenze di entrambe. Sentito alla Camera dei Deputati nell’ambito dell’Indagine conoscitiva sui sistemi d’arma, l’ex Amministratore delegato Alessandro Pansa ha denunciato la sofferenza di Finmeccanica nei confronti del programma americano affermando che con esso il gruppo è stato ridotto al ruolo di semplice “esecutore intelligente” di scelte altrui, estranee alla logica industriale. Per converso ha sottolineato il valore strategico e la rilevanza economica della partecipazione dell’industria nazionale al programma europeo Eurofighter.
Nell’intervista a più voci rilasciata nel maggio 2012 da ex-alti dirigenti di Alenia Aermacchi, era stato rimarcato come nella definizione dei loro requisiti le forze armate dei Paesi avanzati siano solite avvalersi quantomeno dialetticamente delle “solide competenze tecnico-industriali” della loro controparte, e come un tale dialogo sia invece mancato nel processo decisionale che ha portato alla scelta dello strike “invisibile” di Lockheed Martin.

Il buy American
Nonostante la “intelligenza” – citata da Pansa con sottile autoironia – con cui Finmeccanica si conforma a scelte che le sono state imposte e che – ovviamente anche per questo – non condivide, il Typhoon e il Lightning II sono insomma gli alfieri delle opposte ragioni dell’industria e segnatamente dell’Aeronautica Militare. Sulla prima pesa oltretutto l’oggettivo differenziale di dimensioni con l’industria statunitense, mentre dal canto suo la seconda, votandosi al “buy American”, si sente finalmente affrancata dall’obbligo di assecondare un fornitore nazionale considerato talora “tiranneggiante”. I piloti italiani del caccia europeo sono invitati a non divulgare le sue notevoli doti, quando i colleghi britannici, all’indomani della guerra in Libia, le hanno sbandierate pubblicamente. L’imbarazzo è evidente anche tra i vertici delle primarie società coinvolte nel programma JSF, ma anche per loro la consegna è quella del silenzio.

Alla rivista Analisi Difesa Enzo Casolini – un ex ufficiale che ha ricoperto il ruolo di coordinatore della partecipazione delle aziende Finmeccanica al programma JSF, per poi passare con la carica di Amministratore delegato alla guida del consorzio Eurofighter – ha dichiarato “Non voglio dare l’impressione di difendere a tutti i costi o per partigianeria l’Eurofighter a scapito del caccia americano, cerco solo di mettere a confronto due storie completamente diverse, che ho vissuto in prima persona”. E aggiunge "Nella mia veste di coordinatore di Finmeccanica fra il 2007 e il 2008 ho gestito la fase preliminare dell’intesa industriale fra Lockheed Martin e le aziende del gruppo. Gli accordi erano molto promettenti in quanto prevedevano anche, in alcuni casi, la capacità di integrazione di sistemi nazionali come ad esempio il missile aria-aria Iris-T, e di conseguenza tutte le attività ingegneristiche derivate. Si citava addirittura la capacità di accesso al Software Code del velivolo. Però tutti gli accordi fatti con Lockheed, con il supporto determinante del Segretariato Generale della Difesa nelle trattative con la controparte americana, si chiudevano con una formula che spiegava la necessità dell’approvazione, per ciò che concerneva il trasferimento del know how, delle Autorità governative USA. Cioè, tutto ciò che si stabiliva nei contratti doveva essere approvato dall’Amministrazione, la quale in omaggio alla legislazione nazionale, non ha consentito l’esportazione delle tecnologie più sensibili del velivolo."

Riassumendo sin qui.

Abbiamo un aereo che funziona, prodotto da un consorzio europeo, con ampie ricadute occupazionali e industriali e di fatturato sull'Italia, e "chiudiamo il programma" per affidare il monopolio della nostra difesa aerea ad un progetto americano, di un'azienda americana, che costa di più, non garantisce le stesse ricadute economiche, industriali ed occupazionali, ed in più senza che i nostri militari abbiano in mano le chiavi di accesso del nostro armamento strategico.
Come è stato p
ossibile?


Gli ultimi problemi tecnici
Uno squarcio su questa lunga e ricchissima vicenda ci viene oggi dagli Stati Uniti, perché qualcosa in questo complesso meccanismo si è incrinato.
L'esercito americano ha deciso di lasciare a terra tutta la flotta dei suoi Joint Strike Fighter-F35 per ispezionare i motori dopo l'incendio scoppiato la scorsa settimana a bordo di un velivolo in Florida. L'aeronautica e la marina hanno ordinato di fermare tutti i voli dopo l'incendio (l'ennesimo) del 23 giugno alla base aerea Eglin.
«Sono stati richiesti ulteriori controlli ai motori degli F-35 e la ripresa dei voli sarà decisa sulla base dell'esito dei controlli e dell'analisi delle informazioni raccolte», ha detto il portavoce del Pentagono, ammiraglio John Kirby.

I fatti non stanno però esattamente in questo modo.
Di fronte a numerosi rapporti di volo particolarmente allarmati, e dopo l'ennesimo aumento dei costi da parte del costruttore, il Pentagono – che aveva già sospeso ulteriori acquisti e bloccato in attesa di chiarimenti gli ordini correnti già da un anno - ha richiesto a Pierre Sprey, progettista dell F16 (il più diffuso e maneggevole caccia Usa) già intervistato in Italia da Report e in Francia da Arté – di esaminare i rapporti dei piloti e confrontarli con le specifiche tecniche richieste e con la realtà degli aerei acquistati.
Il rapporto finale è atteso per fine settembre, ma a quanto risulta anche dalle dichiarazioni precedenti, questo aereo "non dovrebbe affatto essere messo in condizione di volare" perché "insicuro per i piloti e inutile per gli scopi richiesti" oltre che "decisamente inferiore ai suoi omologhi di altri costruttori"... tutto questo senza entrare nel merito dei costi e di contratti di appalto.

Le ombre sulle forniture in Europa
L'indicazione tuttavia che l'F35 sia l'unica scelta su cui puntare è di un paio di anni fa. Un'affermazione che nessuno pare mettere in discussione, considerandola come vera, ed accreditata anche dai militari – univoci – nelle audizioni parlamentari.
E tutto nasce da alcune "improvvise e inspiegate" variazioni nei costi dei bilanci delle aeronautiche europee. In Germania ad esempio alla fine di aprile, il Bundesrechnungshof (la Corte dei conti tedesca) afferma che i costi del programma Eurofighter sono in qualche modo fuori controllo e che alla fine la Germania spenderà 60 miliardi di euro per l’aereo, contro i 30 inizialmente previsti.
Conclusioni simili a quelle dei controllori tedeschi sono contenute Management of the Typhoon Project del National Audit Office britannico del marzo 2011 che aveva denunciato l’impennata dei costi del programma, soprattutto per quanto riguarda le spese di gestione e mantenimento.
Con i soldi inizialmente stanziati si sono potuti comprare molti meno aerei del previsto. I britannici circa 160 Typhoon contro i 232 iniziali, i tedeschi 140 invece che 180 a dei prezzi unitari sostanzialmente comparabili: 87 milioni di euro gli inglesi, 84 i tedeschi. Cifre comunque dimezzate rispetto ad un singolo F35!

Numeri che fanno impressione soprattutto perché si sono formati in modo opaco.
Ad un certo punto dalle previsioni di costo del programma italiano, ancora in fase di sviluppo, sparì il Defensive Aids Sub System (DASS), il sottosistema elettronico di difesa, una componente essenziale dell’aereo (per chiarire, sarebbe come acquistare un'auto senza impianto elettrico e considerarlo da parte del costruttore "un optional").
Sulla base dei numeri ufficiali, da mesi soprattutto i militari continuano a sostenere l’altrimenti insostenibile bugia che il Typhoon fa meno e costa di più dell’F-35. Stando ai dati del nostro Ministero della Difesa un caccia italiano verrebbe infatti a costare quasi 218 milioni di euro, quasi un quarto di miliardo l’uno.

Che il Typhoon sia in grado già oggi, ma ancor più nei prossimi anni, di svolgere l’intera gamma delle operazioni aria-suolo lo dimostra l’impiego massiccio che ne ha fatto la RAF, l’aeronautica britannica, in Libia, e l’intenzione della stessa RAF di non ordinare per ora F-35 (è stata annunciato un possibile acquisto di 48 velivoli della versione F-35B a decollo corto e atterraggio verticale), tanto che sta già convertendo alcuni reparti dotati del cacciabombardiere Tornado sul nuovo Typhoon.
Non è vero che per dare ai Typhoon la capacità di attacco al suolo servano ulteriori finanziamenti. Tutti i contratti di sviluppo sono già stati finanziati, compresi quelli per il completamento della tranche 3 del velivolo. Finanziati anche dall’Italia, tanto che il primo Typhoon tranche3 di produzione Alenia è uscito il 4 marzo dalla linea di montaggio di Caselle e sarà consegnato la prossima estate all’Aeronautica Militare. E anche le prove di volo che si stanno svolgendo per certificare l’impiego del missile Storm Shadow (un missile capace con 400 chili di esplosivo trasportato a 500 chilometri di distanza) a bordo del Typhoon si sono svolte a Decimomannu, in Sardegna, con aerei italiani del reparto Sperimentale di Volo di Pratica di Mare.
Appare quindi quantomeno singolare che gli stessi vertici della marina e dell'Aeronautica italiani smentiscano gli esiti di test condotti in proprio, a meno che questi vertici ignorino i propri stessi test.

Le lobby Usa
Secondo il WashingtonPost, Lockheed Martin, General Dynamics e Raytheon hanno speso nel 2011 oltre 34milioni di dollari in attività di lobbing nei soli Stati Uniti e solo nella politica federale, con un incremento del 10% rispetto al 2010. La sola Lockheed Martin ha incrementato la propria spesa in un solo anno del 19%.
General Dynamics (produttore di carri armati Abrams e dei jet Gulfstream) ha speso 11,3 milioni dollari in lobbying con un incremento del 4,6 per cento. Raytheon (il più grande produttore di missili al mondo) ha speso 7,1 milioni dollari, con un aumento del 2,9 per cento. Northrop Grumman (che produce il drone Global Hawk) ha speso 12,8 milioni dollari nel 2011.
Secondo Michael Herson, presidente di American Defense International, una società di lobbying del settore, le aziende della difesa hanno concentrato la loro attività di lobbying sulla protezione dei contratti e programmi esistenti dai tagli immediati.

Un aiuto a comprendere cosa sia successo ce lo offre un'analisi compiuta da Sheila Krumholz, a capo di OpenSecrets.org, un'organizzazione che pubblica e rende noti i contributi delle aziende private alle lobby, e quelli di queste ultime ai singoli partiti e politici.
In più OpenSecrets "fa i nomi", ed indica anche con due categorie, non solo chi sono i lobbisti, ma anche chi sono i politici pagati dalle lobby, con quali cifre, e i "Revolving Door profile" – ovvero politici, congressisti, senatori, ma anche dipendenti degli entri pubblici, che passano indistintamente e ciclicamente – come in una "porta girevole" – dal settore pubblico (spesso acquirente) e privato (normalmente fornitore).
Secondo i report il Carlyle Group (che ha nel suo board Bush padre e figlio, e tra gli azionisti la famiglia BinLaden) conta ben 85 lobbisti e 44 "revolvers" (il 52%!).
La Lockheed Martin opera di concerto con altre tre strutture: BAE Systems North America, Carlyle Group e United Defense. Ha sempre avuto dal 1990 una media di spesa di 5 milioni di dollari per spese di lobbying a Washington, tranne tra il 1999 e il 2000 in cui si è avuta un'impennata a 16milioni l'anno. Livelli tornati "normali" sino al 2008, quando l'amministrazione Obama ha deciso un taglio complessivo della spesa militare di circa 1000miliardi di dollari in 10 anni.
I volumi delle spese di lobbying sono quindi risaliti a 19milioni l'anno.
L'unico programma sino ad oggi sostenuto destinato all'esportazione ed al mantenimetno dei contratti in essere è proprio l'F35, che assicura lauti fatturati di produzione e manutenzione proprio a Lockheed Martin, General Dynamics e Raytheon, nonchè a BAE Systems North America, Carlyle Group e United Defense.

Lo scenario strategico e geopolitico
Dal 2008 in tutta Europa la Nato mette in discussione il programma Eurofighter.
Lo fanno per primi i generali americani a capo delle strutture, prima di andare in pensione e rientrare nel settore privato come consulenti con stipendi a sette cifre.
Lo fanno i governi delle regioni in cui sono presenti le basi di assemblaggio dell'aereo europeo, cui vengono assicurati sulla carta contratti che bilancino le perdite occupazionali dovute all'abbandono del progetto europeo, anche se "i nuovi" contratti hanno numeri equivalenti "solo sulla carta".
Lo fanno alcuni smembri dello Stato Maggiore che cominciano a parlare improvvisamente di "un solo aereo militare possibile", senza alcuna altra alternativa, mentre nei bilanci di previsione della manutenzione delle varie aeronautiche i costi per l'aereo europeo cominciano ad apparire esponenziali, senza alcun riscontro contabile e senza alcuna motivazione.
Ciò che sino a ieri costava 80milioni, risulta in previsione per l'anno successivo a 212milioni, rendendo apparentemente "un affare" il nuovo acquisto, anche se costa 160milioni di dollari!

Cosa c'è davvero in gioco
In ballo tuttavia non c'è solo un appalto – anche se parliamo del più grande apalto militare della storia, stimato in circa 1.600 miliardi di dollari in 40 anni – ma c'è l'intero impianto della sicurezza Nato. Un sistema nel quale gli Stati Uniti, indipendentemente dal numero di aerei acquistati o effettivamente in volo, avranno in mano l'intera infrastruttura di attacco e difesa aerea dell'occidente, senza alternative.
Per l'industria bellica americana c'è in ballo la possibile distruzione di qualsiasi alternativa a se stessa in un settore così strategico per l'innovazione tecnologica nel suo complesso che, una volta smantellato, sarà inimmaginabile ricostruire.
Chiunque fosse tra i fornitori del programma Eurofighterv è stato "importato" con promesse di lavoro e fatturato nel nuovo progetto, o è stato acquisito essendo in ballo anche le forniture tecniche nel settore dell'aviazione civile.
La partita dell'F35 è dunque la madre di tutte le partite di geopolitica e controllo strategico in occidente, teoricamente tra alleati, dalla seconda guerra mondiale, destinata a tracciare i rapporti di forza militari ed industriali del prossimo secolo.

L'Eurofighter Typhoon

L'Eurofighter Typhoon

L'inchiesta nelle pagine de l'Unità del 7 e 8 luglio 2014L'inchiesta nelle pagine de l'Unità del 7 e 8 luglio 2014

L'inchiesta nelle pagine de l'Unità del 7 e 8 luglio 2014

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A
C’è un’imprecisione. L’F-35 non va a rimpiazzare il Typhoon ma ad affiancarlo. Il Typhoon (che verrà aggiornato pesantemente) sarà il caccia (bi-motore) mentre l’F-35 il cacciabombardiere. Essi conviveranno… Il programma Typhoon è lungi dall’essere abbandonato in favore dell’F-35, sono due aerei diversi pensati per cose diverse. Riguardo i “problemi” dell’F-35, qualunque aereo, specie quando adotta tecnologie rivoluzionarie e mai collaudate prima presenta problemi, il programma JSF dura circa 40 anni proprio per questo.
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M
un'altra cosa tutti gli aerei in fase di collaudo hanno problemi solo che non vengonocosì pubblicizzati
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M
son abbastanza d'accordo con l'articolo, resta il fatto che un minimo di F35 per le portaerei bisognerebbe comprarli altrimenti le portaerei diventerebbero dei grossi fermacarte.<br /> poi è vero che il Typhoon è superiore all F35 in ogni aspetto tranne per la rilevazione radar, ma non è appunto sthealt.<br /> quello che mi chiedo è perchè al termine del consorzio EFA nessuno abbia pensato ad un nuovo aereo europeo piuttosto che comprarlo da fuori, i costi sarebbero stati uguali o maggiori ma almeno il know-how sarebbe stato nostro
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M
Ho visto un volo dimostrativo del typhoon qualche anno fa a caselle torinese, direi impressionante, si è librato in volo sopra l' aeroporto facendo passaggi a volo radente ad una velocità così bassa da sembrare fermo, pertanto penso che un aereo così non era da pensionare, la scelta dell 'F 35. Temo sia stata fatta proprio per togliere autonomia alle nazioni europee
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