Israele e Palestina - le origini del conflitto
Con il riacursi della crisi tra israeliani e palestinesi, fino all'invasione di terra della striscia di Gaza, torna anche il rito delle reciproche accuse, della ricerca e ricostruzione sempre genericamente di parte di chi abbia acceso l'ultima scintilla, chi abbia provocato, chi abbia finanche cominciato il conflitto. Chiunque – letteralmente – si sia cimentato nel tentativo di dirimere il conflitto ha fallito. Sia che i tempi apparissero propizi e maturi (pensiamo all'amministrazione Clinton) sia quando la situazione era a dir poco drammatica. I nodi li conoscono tutti "gli addetti ai lavori" e sono sostanzialmente, ancora, i cinque punti discussi a Dayton: la divisione di Gerusalemme, la questione legata al rientro dei profughi, gli insediamenti dei coloni in terre ufficialmente destinate ai palestinesi, il riconoscimento di uno Stato Palestinese autonomo, e la questione meno trattata ma quella su cui si arena tutto, la divisione delle risorse idriche (95% a Israele, 5% alla Palestina).
Non c'è politico americano che non debba prendere posizione, non c'è ministro degli esteri europeo che non debba esprimersi, e nonostante questa profusione diplomatica non si fa un solo passo, che non sia – storicamente parlando – accettare anche con un blando "temporaneismo", un nuovo "status quo" successivo a quella provocazione, cui segue una invasione, cui segue una nuova occupazione, e così via.
Un conflitto che ha però non ha un colore preciso, anzi è decisamente trasversale. Abbiamo avuto momenti in cui estremisti di destra appoggiava la causa palestinese in nome del vecchio antisionismo, e contemporaneamente i palestinesi erano appoggiati dall'estrema sinistra in nome dell'indipendentismo di popoli oppressi. Abbiamo avuto destre e sinistre e centri moderati che hanno incondizionatamente appoggiato Israele, in nome dell'olocausto, quasi fosse un modo per pulire una coscienza in tempi bui forse troppo, decisamente troppo sopita, quando non del tutto pavida.
Per non parlare degli americani, che nella corsa verso Berlino per arrivare prima dei sovietici "scelsero" di non "deviare" per impedire gli ultimi atti di genocidio nei lager nazisti, e che per ragioni interne ma anche di opportunità geopolitica, chiudono oggi non uno, ma entrambi gli occhi in fin troppi casi. Del resto, essere amici di Israele, è conditio sine qua non si accede nemmeno alle primarie per la Casa Bianca.
Se provassimo a chiedere a entrambe le parti "quando è cominciato" questo conflitto, le risposte sarebbero le più disparate, e ciascun punto di inizio è irrimediabilmente "di parte", nel senso che il conflitto per ciascuno è cominciato per un'azione dell'altro. C'è chi parte dalla seconda guerra mondiale, dalla nascita dello Stato di Israele, dal protettorato inglese. Poi c'è lo sfoggio di erudizione storica, e con qualche imprecisione a qualcuno pare di ricordare qualcosa nel settecento, sin giù alla fine dell'Impero Ottomano e con qualche improbabile probabilità ci si mettono dentro anche le crociate. Non che Greci e Fenici nei propri commerci o i Romani conquistatori avessero trovato un'area esattamente pacifica, con popoli in pace tra loro.
Quello israelo-palestinese è stato definito, e per molti versi lo è, un conflitto religioso. E quando la storia si perde così lontano nel tempo, spesso si confonde con i racconti, col mito, con le leggende, e con qualcosa di cui resta traccia anche nei testi sacri delle religioni.
È significativo che "il padre di tutti i conflitti" sia narrato, nella sua genesi, proprio in quella parte dei testi sacri conosciuti come "la Bibbia" che sono riconosciuti dalle tre religioni monoteiste che, non a caso, in quella regione nascono tutte.
Il padre di tutti i conflitti pare abbia un padre comune, che si chiama Abramo. Ad Abramo Dio aveva promesso una progenie più numerosa delle stelle del firmamento. Tuttavia, sua moglie Sarah, essendo anche in là con gli anni, non riusciva ad avere figli, e per far sì che Dio non venisse smentito, fece in modo che la sua schiava Agar "giacesse" con Abramo, e da questi è ebbe un figlio, Ismaele. Successivamente Sarah restò incinta, e diede alla luce Isacco. La gelosia portò all'allontanamento di Ismaele e di Agar dalla "casa del padre", restando "erede legittimo" della "terra promessa" Isacco e la sua progenie. Ecco. I figli di Isacco sono il popolo ebraico. Quelli di Ismaele, sono gli arabi. Questo dicono le scritture.
Se si cerca l'ultimo motivo per l'ultima azione, c'è la sicurezza, l'ultimo vigliacco attentato kamikaze, la violazione di questo o quell'accordo, l'ennesima provocazione. Se chiedi ai giovani, ti parlano in maniera abbastanza generica della insicurezza, anche se l'opinione pubblica israeliana è ormai contraria al conflitto, e vorrebbe la pace. Il meccanismo comunicativo che ormai si è generato in millenni di storia è che chiunque voglia governare Israele deve, necessariamente, mantenere il livello di belligeranza elevato. Il clima di insicurezza deve necessariamente essere elevato, perché è il solo modo per giustificare un apparato militare impressionante, costosissimo, che impedisce agli stessi israeliani di immaginarsi "in pace". Discorso speculare per i palestinesi, dove movimenti come Hamas esistono e posso esistere solo ed esclusivamente in un conflitto, giustificando se stessi con il conflitto, e alimentandolo ove mai il clima si rasserenasse.
Un conflitto che è spesso stato definito fratricida, e di certo prolifico di molti altri conflitti, che si perde nella notte dei tempi, e che avrà finalmente, forse, fine, quando tornerà alla sua "origine" e quei popoli potranno leggere davvero le proprie "sacre scritture comuni" e riconoscersi come popoli fratelli. Perché, anche questo è scritto in quei libri, Abramo, che per la gelosia era stato costretto a scacciare uno dei suoi due figli, morì prima di giungere alla terra promessa.
[questo articolo è stato scritto grazie al contributo delle riflessioni di Aaron Sorkin – esperto di comunicazione massmediale – autore di serie tv di successo tra cui WestWing e theNewsroom]
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