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Michele Di Salvo
21 Aug

Ferguson, il paradigma americano e il virus del razzismo

Pubblicato da Michele Di Salvo  - Tags:  Ferguson, USA, Obama, razzismo, polizia, Michael Brown, Michael Moore, KKK

Ferguson, il paradigma americano e il virus del razzismo

Sono scene che siamo abituati a vedere nei film degli anni sessanta e settanta, quando la segregazione razziale in America stentava a morire e talvolta, in alcuni stati, anche ad essere abolita. In barba ad anni di storia, leggi costituzione ed emendamenti. In barba alla civiltà ed al tantissimo che i "neri americani" – che oggi chiamiamo per coscienza imbiancata da perbenismo "afroamericani" – hanno fatto e fanno per quel paese. Oltre il 70% dei soldati americani e dei lavoratori di fascia "medio-bassa" sono afroamericani o sudamericani.

Nell'America che elegge un presidente afroamericano, accade ancora oggi che nel sud il retaggio dello schiavismo non sia mai morto, esattamente come il Ku Klux Klan, che oggi ha varie forme e si nasconde sotto le sigle più fantasiose, ma che esiste e resiste, confondendo i propri dogmi quasi religiosi e rituali con la fobia dell'assalto alle frontiere, dell'immigrazione e delle "malattie" che porta con sé. Parole pericolose, che se ci riflettiamo non riguardano solo la tradizione degli stati americani, ma che rischiano di essere "globalizzate" anche loro in un mix populista pericoloso anche per la cara vecchia colta Europa.

Come ha ben evidenziato Michael Moore nel suo Booling for Colombine, lo stato di insicurezza del popolo americano viene alimentato sproporzionatamente dalla comunicazione – in particolar modo televisiva – che ingigantisce i dati in maniera abnorme.
Il sangue, il crimine, fa audience, ma replicare e reiterare una notizia o un modulo informativo, se da un lato contribuisce a generare un mercato televisivo, dall'altro genera una percezione di insicurezza ben superiore ai reali dati.

In una sua inchiesta del 9 giugno il NYTimes lancia l'allarme sulla crescita esponenziale degli armamenti da guerra in dotazione e in acquisto da parte della polizia locale e statale.
E non stupisce che le spese, esponenziali, riguardino proprio gli stati del sud, dove è diffusa la cultura del pericolo da invasione (sic!) e da insicurezza. Ovviamente i cattivi sono neri e immigrati.

Ferguson, il paradigma americano e il virus del razzismo

Nel comune di Ferguson, contea di St.Louis nel Missouri, un ragazzo di 17 anni è morto.Ad ucciderlo una decina di giorni fa un poliziotto, che stava eseguendo dei controlli. Il ragazzo non aveva commesso alcun crimine.
Si potrebbe parlare di un caso isolato, e ci si sarebbe aspettati almeno un regolare processo, le scuse della polizia, una sospensione degli agenti.
In realtà – come ha evidenziato la CNN – a Ferguson la situazione ha qualcosa di ontologicamente patologico. Nel 2013 ad esempio su 5.384 persone fermate dalla polizia, 4,632 erano neri, 66 di altre "etnie", e solo 686 bianchi. I ricercati sono stati in totale 611, di cui 564 neri. Gli arrestati complessivamente sono stati 521, di cui 485 neri.
Ecco in quale contesto si inserisce la morte di Michael Brown, un ragazzo di diciassette anni vittima innocente di un razzismo diffuso ed un pregiudizio razziale che, da certe parti, non ha mai abbandonato nemmeno i servitori dello Stato, soprattutto le forze dell'ordine.

Ferguson, il paradigma americano e il virus del razzismo

Cosa è avvenuto in questi giorni? Qualcosa di semplice, normale, ma che sembra la sceneggiatura di troppi film già visti per poterci ancora star bene.
La popolazione nera di Ferguson è scesa in strada, chiedendo giustizia per questa uccisione.
Il KKK ha fatto la sua apparizione, davanti al tribunale, chiedendo che i poliziotti non venissero processati. Che si trattava di "un fatto che può accadere" e che le forze dell'ordine vanno tutelate contro questa "invasione nera" che sta distruggendo il paese.
La polizia ha "difeso e tutelato" il diritto degli incappucciati di manifestare il proprio pensiero (il figlio del capo della polizia di Ferguson è noto per esporre dixie-flags, le bandiere suddiste simbolo del KKK)... un po' meno quello della popolazione nera subito accusata di "provocare" (sic!) e invitata con lacrimogeni a disperdersi.

Ferguson, il paradigma americano e il virus del razzismoFerguson, il paradigma americano e il virus del razzismo

La situazione è esplosa alla ribalta nazionale quando due giornalisti, Wesley Lowery, afroamericano, che copre la politica nazionale per il Washington Post e collabora con il Boston Globe e il LATimes, e Ryan J. Reilly, bianco, che si occupa di giustizia e diritti civili per HuffingtonPost, vengono arrestati. Il primo senza alcun motivo. Il secondo perché chiedeva spiegazioni sul fermo del primo. I due erano fermi in un McDonald di Ferguson a parlare in una pausa del loro lavoro di cronisti. Wesley Lowery è un dirigente della National Association of Black Journalists, e ha fatto parte della redazione che ha vinto l'ultimo premio Pulitzer per le "Breaking News". I due sono stati fermati senza motivo, senza che venissero formalizzate accuse, senza che potessero nemmeno chiamare i propri avvocati, e senza che venisse dato loro un solo nome di un agente o un ufficiale che stesse procedendo all'arresto. Lasciati con i propri cellulari hanno cominciato a twittare, dando il via ad una diretta inarrestabile per cui se qualcuno avesse successivamente tolto loro i palmari sarebbe scoppiato il putiferio, essendosi immediatamente spostate tutte le testate fuori dalla stazione locale di polizia.

I giornalisti sono stati – ovviamente – lasciati liberi, senza alcuna accusa in un paio d'ore, ma gli scontri, particolarmente violenti, sono continuati tutta la notte, e continuano ancora adesso, in un clima di violenza alimentato dalla presenza di forze speciali della polizia in tenuta da guerra, da cecchini, e dall'uso di proiettili di gomma sparati ad altezza d'uomo. Oggi la polizia ha anche smontato "a forza" la postazione di telecamere di Al-Jazeera, nonostante ovviamente fossero state autorizzate e non fossero di intralcio.

Non è dato conoscere il numero dei fermati, né con quale accusa.
È certo invece che nessuno del KKK è stato né fermato, né identificato né tanto meno conseguentemente arrestato. Eppure il Klan è fuorilegge. Eppure il primo emendamento non consente il fermo di giornalisti che stiano svolgendo il proprio lavoro al di là di fatti cruenti, eppure la popolazione di Ferguson chiedeva semplicemente che gli agenti venissero quantomeno processati perché venissero rese pubbliche le dinamiche di un omicidio e accertate eventuali responsabilità dirette.

Ieri un altro ragazzo è stato ucciso dalla polizia, in una situazione analoga e senza una dinamica ben chiara. Sempre un ragazzo di colore. E questo il giorno prima che, dopo ripetute condanne sul comportamento della polizia locale, arrivasse a Ferguson il segretario alla giustizia inviato da Obama.

Questi i fatti di una storia della provincia americana. Non un film.
Balzati agli onori nazionali grazie "all'errore" della polizia di arrestare due cronisti nazionali.
Balzati alla ribalta mondiale grazie a twitter e ai social network.
I fatti vanno raccontati, resi di dominio pubblico, non per discuterne, per avere argomenti sotto un ombrellone, ma perché ci aprano la mente.
Questa è una storia americana, una storia di cronaca come tante. Per molti come un film, per quanto ci è distante.
Però resta una storia che ha origine da un pregiudizio razziale e da parole d'ordine razziste che, anch'esse, sono globali, sono diffuse con i social network, e generano altrove, dove il virus attecchisce, tante altre storie simili, anche in città e paesi che se ne ritenevano immuni.
Pensiamoci, sotto l'ombrellone, mentre sono in corso gli sbarchi sulle nostre coste, e mentre certi giornali titolano con troppa leggerezza in proposito...

gli scontri di Ferguson
gli scontri di Ferguson
gli scontri di Ferguson
gli scontri di Ferguson
gli scontri di Ferguson
gli scontri di Ferguson
gli scontri di Ferguson
gli scontri di Ferguson
gli scontri di Ferguson
gli scontri di Ferguson
gli scontri di Ferguson
gli scontri di Ferguson
gli scontri di Ferguson

gli scontri di Ferguson

Ovviamente sui social si è scatenata anche un'altra protesta: quella del popolo nero americano contro un'informazione che diffonde in maniera selettiva quali immagini dare in pasto al pubblico.
Musicisti, Marines, studenti hanno proposto la sfida su twitter "se mi sparano, secondo voi, quale foto di me pubblicheranno?"
[per seguire, l'hashtag è #IfTheyGunnedMeDown]

Forse questi "messaggi" di persone comuni dovrebbero innanzitutto far riflettere il mondo della comunicazione e del giornalismo nel suo complesso.

l'hashtag  #IfTheyGunnedMeDown
l'hashtag  #IfTheyGunnedMeDown
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l'hashtag #IfTheyGunnedMeDown

Breve storia degli USA - (Tratto dal film "Bowling a Colombine" di Michael Moore)

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