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Michele Di Salvo
12 Sep

Napoli e la latitanza della politica

Pubblicato da Michele Di Salvo  - Tags:  Napoli, sud, politica, comunicazione, razzismo, camorra, giovani

Napoli e la latitanza della politica

In queste ore Napoli sta vivendo una situazione a dir poco drammatica. L'attacco alla città è senza confini e proviene da ogni parte. Dalla criminalità organizzata, che ha colto l'occasione di una tragedia per mostrare i muscoli con lo Stato, che usa i ragazzi come "scudi umani" e come facciata mediatica, e che di fatto ha trasformato un pezzo di quartiere in una piazza di spaccio a cielo aperto. Da una parte importante dei commentatori massmediali, che reiterano commenti protoleghisti e sentenze sociorazziste che ci stanno sempre bene: tanto Napoli non si ribella mai. Da una parte importante della politica, divisa tra condanne e sentenze e "la soluzione giusta nel cassetto" che non si capisce mai però come mai non funzioni mai, e a dire il vero nemmeno quale sia l'idea e il cassetto. Da parte importante della città stessa, in cui gli intellettuali commentano sui giornali, i politici mandano comunicati stampa in stile fotocopia, in cui si processa mediaticamente carabiniere e ragazzo senza guardare a cosa sta accadendo. Da parte dei commentatori ex-locali che improvvisano improbabili paragoni con Ferguson, in una gara a chi la dice più grossa, più alta, più intellettuale. In questa città sotto assedio, in cui le persone perbene sono letteralmente ostaggio di un movimento trasversale contro lo Stato (e nei fatti connivente con la camorra e che ne rende possibili gli scopi) quella che emerge è la latitanza assoluta della politica.
Perché politica deve significare essenzialmente tre cose: rappresentanza, mediazione e dialogo.
In questo momento invece pare che la gran parte della politica locale sia alle prese con ben'altre priorità: ottenere spazio sui giornali per dire la propria, mettersi in mostra, difendere posizioni archetipiche di parte, accusare (meglio se sui socialnetwork) questa o quella parte, dare sentenze, quando non addirittura guadagnarsi qualche consenso apparente mettendoci il cappello.
In questo momento questa città, la sua parte migliore e perbene, le persone di quelle aree, hanno bisogno di una classe dirigente vera e autentica, che non venga meno al proprio ruolo per interesse o perché pavida. Si pavida, perché c'è anche da dire che di politici che poi chiedono i voti a "certe persone" ce ne sono – dove più dove meno – in tutte le liste, e perché dire no alla camorra sulla carta (meglio se stampata) fa figo, ma andare in certi quartieri in certi momenti è ben altro.
E invece lì e adesso serve la presenza e la forza dell'unità dello Stato. Che non è solo forze dell'ordine o un pezzo di società civile "poco potente" e decisamente disarmata, ma soprattutto la politica, la rappresentanza locale, non in cerca di consensi personali, ma unita. Ecco, una classe dirigente degna di rispetto farebbe questo: rappresentanti di tutti i partiti, dalle circoscrizioni al consiglio comunale, insieme, senza divisioni e distinzioni starebbero lì, a mediare, a capire, ad ascoltare, e a far sentire che lo Stato c'è, non lasciando la piazza e le strade ai solo rappresentati della camorra, o dovremmo dire "delle camorre".
Certo, dopo, ci si aspetta che i problemi che stanno alla base dell'esplosione di queste rivolte sociali e che ne sono il combustibile nonché concime e terreno fertile per la camorra vengano anche affrontati. Primo tra tutti quello delle "periferie-ghetti-zoneofflimits" a seconda delle declinazioni, e che oggi richiedono un nuovo approccio complessivo all'urbanizzazione. Certo, va data una risposta non solo in termini di forza, ma soprattutto in termini di creazione delle alternative al sistema criminale, e per tutto questo – anche e soprattutto per questo – è la politica che deve discutere, dialogare, mediare e indicare strade vere, che passano quasi mai per il consenso facile e per i populismi di ogni genere.

Perché il rischio è duplice. Continuare a fare promesse di una riqualificazione che non ci sarà perché qualcuno guadagna consensi proprio dall'immobilismo, e cedere quindi il campo al primo "indignato di turno" che si erge a bandiera in cerca di un piccolo consenso e poltrona personali. Continuare a farci offendere come napoletani dal primo benpensante onnisciente "del nord", che senza muoversi da casa spiega con semplicismo demagogico come "lui" avrebbe già da tempo risolto ogni problema e che la colpa, in fondo, è dei napoletani (salvo poi scoprire che si tratta di quei leghisti che negano le mafie al nord, e poi chiedono i voti alla 'ndrangheta).

Leggi anche Ferguson, il paradigma americano e il virus del razzismo

il roma 10.09.2014

il roma 10.09.2014

Il centro storico di Napoli, patrimonio unico. Abbandonato.

L'undici agosto da queste colonne ho provato a descrivere cosa si trova davanti un turista quando entra a Napoli dalla stazione, o dall'aeroporto. Qualche giorno fa mi e' sembrato di incontrarlo quel turista, ed anche qualche imprenditore, in giro per il centro storico di Napoli, solo, spaesato, perplesso, quasi incredulo. Alla fine decisamente triste. Ma andiamo con ordine.

Cos'è un centro storico? Se non partiamo da questa domanda e dalla necessaria e chiara univoca risposta, difficilmente possiamo comprenderne l'importanza. Un centro storico è la fotografia tridimensionale della storia di una città. È lo stratificarsi, il susseguirsi, il passarsi il testimone di secoli di generazioni che hanno vissuto, costruito, fatto crescere e ci hanno lasciato i luoghi in cui viviamo. Se poi parliamo di Napoli, allora questa storia è lunga trenta secoli, ininterrotti, tra invasioni, dominazioni, liberazioni, terremoti, eruzioni, saccheggi, idee, arte, filosofia cultura, e parla, pietra per pietra e affresco per affresco almeno dieci lingue diverse. Non lingue perse o morte, ma vive nelle tracce dei dialetti di quartiere e della lingua napoletana, con un suo vocabolario, una propria grammatica e sintassi. Se scordiamo questo, il centro storico è un problema, un ammasso di edifici eterogenei, senza alcun ordine urbanistico. E invece no. Un'ordine c'è. E non lo dobbiamo a secoli di architettura, e nemmeno a qualche brillante e rivoluzionario piano regolatore moderno, ma alla pianta della città greca e poi romana. In questo centro storico, che è unico, in un quadrato di un paio di chilometri di lato, ci sono uno sull'altro, talvolta uno dentro l'altro, circa trenta secoli di storia a vista, al tatto.
Queste sono cose che tutti i cittadini napoletani sanno, o per lo meno dovrebbero sapere. Di certo da questo patrimonio straordinario che condividiamo con pochissime altre realtà al mondo (perfino Roma è, molto, più' giovane di Napoli!) dovrebbe ripartire qualsiasi amministrazione. Non per chiuderlo, isolarlo, ma per renderlo vivo, fruibile, e soprattutto per valorizzarlo e averne cura. Quel famoso senso di "bene comune" dovrebbe trovare qui la sua massima declinazione. Perché il centro storico di Napoli non appartiene solo a qualcuno, o solo ai napoletani, ma appartiene all'intera umanità, che in pochi metri passa dalle mura greche, al romanico, al gotico, al barocco, incrociando qualche pietra romana incastonata in edifici medievali. Tutto "a giorno" tutto pubblico, tutto a portata di mano. E invece accade che tutto questo oggi costituisca un nuovo primato, una unicità nel suo genere di cui francamente potevamo anche a fare a meno. Lo vedi negli occhi increduli di turisti d'ogni nazionalità lingua e ceto sociale. Il centro storico di Napoli e' oggi un raro esempio di stato di preabbandono a cielo aperto.
Si perché noi siamo abituati a vedere "il dopo", cioè l'abbandono quando e' definitivo. E invece questa città che pare fatta di pietra viva con ciò che resta di fiato e' come se ti mostrasse quella breve e delicata fase intermedia tra il vivo, e la desolazione. Comincia lo sporco, il "mai pulito" o il sempre meno pulito. L'intonaco che cade, i negozi che chiudono. I palazzi in eterna attesa. La strada sconnessa. Il monumento chiuso. Poi un giorno troveremo semplicemente zone in cui nessuno andrà più. Abbandonate appunto. Eppure basterebbe poco. Basterebbe avere cura. Basterebbe chiarire che una "licenza di servizio pubblico" non e' un privilegio, ma comporta obblighi. Che si stabiliscano turni, ma negozi e bar e attività' devono restare aperti, sempre, come in tutte le grandi città europee. Certo, se si fa la scelta della maxipedonalizzazione, allora devi anche prevedere mezzi pubblici elettrici e sempre in circolazione. Devi anche stabilire che non si possono tenere chiusi i musei e i monumenti. Semmai con un biglietto unico per tutto il centro storico. Semmai cominciando a "comunicare la città" con un vero piano turistico-culturale e non con le fiere di paese della "pizza e mandolino" su un lungomare trasformato in nulla, mentre non avrebbe proprio nulla da invidiare a Montecarlo e Barcellona. Già, ma per avere cura bisogna anche avere amore, affetto quantomeno, e cultura. E forse, quel popolo dell'amore, come lo definiva romanticamente Decrescenzo, si vuole lui stesso meno bene. E' l'unica spiegazione che trovo per l'immobilismo con cui accetta questo stato di cose. Perché un popolo che si vuole bene, che ha senso di se', della propria storia e dignità, "se li va a prendere uno a uno per le recchie" i suoi amministratori, se li porta in strada a vedere e toccare e sentire la puzza, e li mette di fronte a una scelta "mo' o fai qualcosa o te ne vai". Vi ricordate quando ci si voleva bene e ci si parlava con franchezza?

Il Roma del 08.09.2014

Il Roma del 08.09.2014

le immagini da rione traiano
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I
la camorra sfrutta le occasioni molto bene, ma lo stato dovrebbe imparare a nn girare intorno agli omicidi commessi dalle F.F.O.O. e riconoscere questi reati come tali. Commetti 1 omicidio, basta sassi volanti, reti metalliche, marciapiedi autoinciampanti ke deviano le pallottole. Hai combinato un casino e ora paghi il conto. se il casino si chiama omicidio, sono 30 anni di carcere, 20 se scegli il rito abbreviato!
Rispondi
M
ecco bravo SE...<br /> ...o hai già deciso, già fatto il processo, già fatte le perizie?<br /> i piacciono queste certezze apriori ... meno male ci sono i tribunali (e i codici di procedura penale).