ISIS - la comunicazione globale del terrore
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In questo ebook ho cercato di analizzare l'evoluzione del modo con cui i movimenti jihadisti e qaidisti hanno deciso di comunicare, la loro strategia di creazione del modulo-mito e gli obiettivi strategici di questa nuova forma comunicativa.
Ripercorrerò la storia dell'ISIS attraverso le fonti dei media e le teorie complottiste legate alla sua storia. Confronterò il modello comunicativo di ISIS rispetto ad AlQaida. Parleremo degli strumenti che ne favoriscono la divulgazione del messaggio, delle agenzia di stampa, dei media center, dei blog, dell'uso dei video e dei socialnetwork, dei docufilm e degli e-magazine.
Parleremo dei simboli della comunicazione, della loro efficacia nei confronti del popolo dei socialfan e dei supporter e dei foreign fighters, analizzando chi sono e perché cedono alle nuove forme di propaganda jihadista.
Ci sono molte considerazioni personali che vanno fatte a margine di questo lavoro.
La prima riguarda alcuni passaggi nei quali traspare quasi una certa "ammirazione" nei confronti delle tecniche di utilizzo e ingaggio da parte dei comunicatori dell'ISIS.
Non è così ovviamente.
Però non possiamo cadere nell'errore delle "stanze stupide" dei consiglieri della Casa Bianca degli anni cinquanta, quelli che consideravano i vietnamiti o i coreani semplici contadinotti analfabeti che sarebbero stati schiacciati in pochi giorni e con facilità.
Non può essere la via della sottovalutazione del rischio quanto della reale forza (in questo caso mediatica) in campo un indice di distacco, censura, rifiuto.
Noi abbiamo il dovere morale di comprendere innanzitutto che la globalizzazione della rete rende globali i messaggi: sia che parliamo di una nuova auto, di una nuova bevanda, di un abbigliamento, di una canzone o un film, sia che parliamo di comunicazione globale di un'idea: sia che ci piaccia sia che sia la nostra sia che non ci piaccia sia che ci faccia orrore.
Pensare ancora, nel 2015, che il web sia l'arma della libertà contro le dittature significa non aver minimamente compreso che – invece – molto spesso i regimi totalitari "vogliono" i social network, che mentre sono luoghi di aggregazione di idee, rischiano di diventare anche l'agenda personale della polizia repressiva, che entrando in un gruppo su facebook in pochi minuti, oggi, riesce a mappare e schedare "tutti quelli che la pensano in un certo modo".
Non contemplare questo effetto collaterale è in sé non aver compreso quale sia il doppio taglio della rete globale.
Esattamente – elevato all'ennesima potenza – il rischio che tutti quegli strumenti che le aziende della new economy spacciano nel mondo come armi a disposizione degli oppositori dei regimi oppressivi, oggi diventano strumento di camuffamento, di offuscamento e irrintracciabilità di questo o quel gruppo jihadista.
Il rischio delle "stanze stupide" – in cui spesso guru dell'ultima ora si rinchiudono e chiudono i politici che devono decidere anche per noi – è di vedere solo "il web che vogliamo vedere", che ci piace e che ci fa comodo. E che forse genera introiti per qualcuno. Per poi scoprire twittando della coppa del mondo di calcio, che c'è qualcuno che gioca in strada usando come palla una testa mozzata.
Per quanto possa apparire cruda questa idea, è ben lontana dalla durezza e dall'orrore che hanno provato, in diretta, milioni di persone che questa idea non l'hanno letta o immaginata, ma se la sono ritrovata su twitter, come foto o come video: adulti, adolescenti, bambini tifosi di calcio di tutte le culture del mondo.
La globalizzazione del terrore, che ieri si è esercitata con AlQaida e che oggi ha il logo e il marchio dell'ISIS, è solo un pezzo, quello forse primordiale, della nuova forma della comunicazione globale dell'estremismo, che recluta in tutto il mondo, in tutte le fasce d'età ed in ogni lingua, e che diffonde il suo messaggio senza alcun limite e confine territoriale, senza fasce protette, senza distinzioni di sesso, razza, religione, colore, situazione, contesto.
E come ogni prodotto virale, come nei passaggi dalla comunicazione qaidista a quella del califfato, l'unica regola è che "chi viene dopo" dovrà essere "più bravo, più virale, più strutturato" per emergere, ma anche più crudo, più violento, più sanguinario e con ancora meno limiti, per emergere come "soggetto nuovo" per evitare che "per il pubblico" sia qualcosa di "vecchio e già visto".
In questo lungo viaggio all'interno della rete fondamentalista per raccogliere materiali e informazioni da cui e su cui scrivere, devo confessare che io per primo ho avuto una nausea ed una crisi di rigetto profonda. Che in maniera quasi salvifica in certi casi mi ha fatto quasi pensare "adesso mi arruolo anche io per combatterli questi". Ed anche se dall'altra parte, ed anche se io, con la mia cultura, le mie convinzioni, i miei principi ed i miei valori, non avrei mai fatto concretamente una scelta del genere, se questo pur momentaneo pensiero ha attraversato la mia mente, significa che la capacità di penetrazione del messaggio è davvero al di là ed al di sopra di quanto io stesso non sono certamente riuscito a comunicare in maniera efficace.
L'estremizzazione del messaggio fondamentalista e jihadista non è efficace solo se "tu scegli di combattere da quella parte", ma raggiunge un risultato in sé anche se tu semplicemente scegli di combattere quella guerra, perché in fin dei conti raggiunge l'obiettivo di farti schierare in prima persona sul campo, che in sé significa legittimazione come avversario, unico e definitivo. Che poi è l'obiettivo politico globale dell'ISIS.
Guardando dall'esterno un giovane, un adolescente, che si imbatte in una qualsiasi delle nostre periferie occidentali in una rete jihadista, non si immagina a quale bombardamento mediatico possa venire sottoposto.
I video diffusi dall'ISIS sono strutturati per trasformare i videogiochi 2D di una normale consolle in una possibile realtà "vera" 3D in cui essere player, protagonista, vincitore. A dispetto di quella realtà "fuori la porta di casa" in cui tutto è "normale" ed in cui ci si perde nell'anonimato delle periferie dell'opulenza.
Il bombardamento mediatico di "essere parte" di un gruppo, di fare la storia, di essere il bene che piega il male, di essere "il nuovo", di essere Davide che sconfigge Golia, di poter essere eroe, di essere ricordato, diventare un martire di cui tutti parlano, essere "tu" il poster e per una volta smettere di essere l'adolescente che appende il poster di un eroe in camera. Essere tua la foto, la video intervista, il lungo articolo su un e-magazine, portato ad esempio "glorioso" di ragazzi come te in tutto il mondo. La chance di uscire dall'anonimato e da una vita segnata per diventare "un eroe", un mito, un martire di Allah, di cui tutti parlano e di cui parleranno sui giornali.
Comprendere e chiarire a quale forma di lavaggio del cervello si viene sottoposti non è giustificare o creare attenuanti a chi compie una scelta in tutto e per tutto folle, ma è dirsi con chiarezza a cosa porta quella che in fondo, nella sua struttura base, è l'estremizzazione all'ennesima potenza del marketing partecipativo del televoto, del "gioca da casa", della brandizzazione commerciale come "status di appartenenza", per cui se non hai un certo vestito di una certa marca o un certo zainetto per la scuola o un certo trucco, non sei bello, non sei trendy, non appartieni a un gruppo.
Questo è il nuovo "marketing partecipativo del terrore" che ti invita a essere parte di un gruppo che fa la storia, che ti fa sentire parte di un progetto, che ti rende eroe e infondo la guerra è come un videogame 3D e i campi di addestramento sono un grande campo estivo per ragazzi di tutto il mondo. Le comunità qaidiste e jihadiste sono come un gruppo di amici, con cui fai squadra, in cui ti senti in famiglia, accettato, e cui puoi contribuire con un tweet, una foto, un messaggio, una risposta, un account fake, qualche dollaro via paypal...
Il messaggio di "noi adulti consapevoli", che questo è un messaggio ed una comunità assassina e di morte, non viene percepito, non è paradossalmente visibile... perché la morte, in questo eccesso continuo e costante e sovrabbondante, alla fine, è come se non esistesse, come se finisse con il non essere reale, come tutti quei nemici uccisi nel videogame o in un film hollywoodiano.
Elham Manea, una delle voci più coraggiose e brillanti dell’islam contemporaneo, ha scritto sulla Bussola: «La verità che non possiamo negare è che l’Isis ha studiato nelle nostre scuole, ha pregato nelle nostre moschee, ha ascoltato i nostri mezzi di comunicazione ... e i pulpiti dei nostri religiosi, ha letto i nostri libri e le nostre fonti, e ha seguito le fatwe che abbiamo prodotto». «Sarebbe facile continuare a insistere che l’Isis non rappresenta i corretti precetti dell'islam. Sarebbe molto facile. Ebbene sì, sono convinta che l'islam sia quel che noi, esseri umani, ne facciamo. Ogni religione può essere un messaggio di amore oppure una spada per l'odio nelle mani del popolo che vi crede».
ISIS la comunicazione globale del terrore
La storia dell'ISIS attraverso le fonti
Da AlQaida a ISIS l'evoluzione della propaganda jihadista
La comunicazione globale del terrorismo e il fallimento politico del cyber-utopismo
Le agenzie di stampa e comunicazione dell'ISIS
Comunicare la jihad attraverso i social-media
Spam jihadista
La Jihad via Bluetooth
Invadere Facebook: teoria e pratica
Comunicare la jihad attraverso i video virali
L'analisi della viralizzazione di un video
La jihad su Tumblr
Comunicare la jihad attraverso gli e-magazine
ISIS e la radicalizzazione: la necessità di un'opinione pubblica informata e una reazione proporzionale
Chi sono i fanboy dell'ISIS e i foreign fighters
I forum jihadisti: i luoghi del reclutamento e della divulgazione dei materiali
I simboli dell'ISIS
I cacciatori di jihadisti nel web – il SITE
I cacciatori di jihadisti nel web - Persone e siti impegnati nella ricerca sul terrorismo globale
Anonymous contro l'ISIS
L'ISIS come creatura di un complotto
Note a margine
Questo ebook – come gran parte del lavoro di rete su temi globali - è frutto del lavoro collettivo e di un gruppo di vera eccellenza tra le intelligenze che in questo momento, in tutto il mondo, discutono e si confrontano sui “processi di rete” e che lavorano su questi temi. Vorrei ricordare e citare e ringraziare, tra i tanti, almeno le persone citate nel libro...
Oliver Roy, Evgeny Morozov, Dietrich Doner, Eben Moglen, Jeff Pietra, J.M.Berger, Scott Sanford, i generosissimi Will McCants e Clint Watts, lo straordinario Nico Prucha, Rüdiger Lohlker, la brillante Sheera Frenkel, Rainer Hermann, Rita Katz, Mehdi Hasan, Elham Manea, Leah Farrall, Aaron Y. Zelin e Peter Neumannal.