Come sarà l'Italia dell'Italicum
Partiamo da alcuni concetti e consideriamoli assunti per semplicità.
L'Italia aveva bisogno di una legge elettorale, per troppi motivi, che tutti abbiamo conosciuto e che la Consulta solo alla fine ha sancito in sentenza. Ed oltre quei motivi ve ne sono altri, di senso comune, oltre all'individuale opinione politica. Ciò tuttavia non può significare automaticamente che "qualsiasi" legge elettorale "vada bene". E qui c'è un vizio patologico del nostro paese, almeno dai tempi di Crispi.
La legge elettorale non è pensata "in sé", in quanto tale, e come strumento di rappresentazione proporzionale della società. Dietro concetti come governabilità e stabilità, la maggioranza del momento scrive una legge elettorale "per il futuro" che tende a disegnare i futuri rapporti di forza, non tanto a garantire la adeguata rappresentatività.
Vi sono alcune considerazioni da fare, e bene ha sintetizzato nella sua analisi quotidiana dei TG Alberto Baldazzi "1) da circa un anno e mezzo la Consulta ha intimato ad un Parlamento in buona parte delegittimato perché eletto con una legge incostituzionale di cambiarla; 2) alla rielezione “forzosa” di Napolitano il vecchio-nuovo Presidente aveva esplicitamente chiesto la riforma; 3) nei 14 mesi e nelle 3 letture intercorse la riforma è stata più volte “riformata” e 3 volte votata ( 2 al Senato e 1 alla Camera), per altro senza voti di fiducia e con l’esplicito appoggio di Forza Italia; 4) le opposizioni che oggi hanno deciso di non partecipare al voto criticano l’Italicum da posizioni tra loro opposte; 5) la minoranza Pd (che oggi si è espressa con 45 “no” nella votazione finale) è legittimamente ma altrettanto chiaramente impegnata in una battaglia interna che poco ha a che fare con i contenuti della legge. Avremmo molto apprezzato se qualche TG avesse chiarito ai teleutenti questi scarni elementi, ma anche stasera non è successo."
Particolarmente efficace Alessandro Gilioli, che sul suo blog su l'Espresso esordisce "Si dice spesso che i Costituenti optarono per un potere molto distribuito perché venivano dal fascismo, cioè da una dittatura personale, quindi erano scottati da quel precedente così recente e tragico: per questo, si dice, insistettero tanto sul carattere ampiamente parlamentare della nuova Repubblica (addirittura mille eletti!), si inventarono contrappesi come il bicameralismo e la Consulta, addirittura non vollero che il primo ministro si chiamasse così bensì 'presidente del consiglio'... Io non sono così sicuro che i Costituenti avessero distribuito il potere solo perché uscivano dal Ventennio. Forse, un po', anche perché conoscevano bene il popolo di cui facevano parte. E volevano preservarlo da se stesso, dalle sue frequenti cadute personalistiche, dai suoi emotivi e carsici innamoramenti per l'uomo forte."
E nell'era in cui siamo tutti figli della politica americana per come ce la raccontano le serie tv trasmesse dalle televisioni commerciali (ormai tutte), in cui conta l'efficacia della comunicazione individuale e personale (da Renzi a Grillo a Salvini) al di là del contenuto, e di certo storcendo tutti il naso al metodo, ormai il nostro "presidente del consiglio" si chiama "premier", e il metro che conta è l'indice di gradimento personale, non certo politico.
Quello che emerge è sostanzialmente una mancanza di lungimiranza e visione - al di là del personalismo e del sondaggio del momento - e la mancanza di coerenza sistemica di "dove porta una riforma" senza un contesto e uno scenario complessivo da disegnare, che appunto dovrebbe essere l'Italia del futuro.
L'Italia dell'Italicum, in sintesi, è un Paese in cui circa 250 parlamentari vengono eletti per nomina da segreterie di partiti che nessuno ha scelto e eletto e votato. Siano i Grillo, i Salvini, i Renzi, i Berlusconi del caso. 100 collegi in cui i capo-lista sono nominati, e nei quali per ovvie ragioni due o tre verranno eletti in questo modo. I restanti 350 parlamentari verranno eletti con le preferenze. Il che - come sistema - implica di fatto la sparizione di una serie di partiti che al di là di come la si pensi costituiscono comunque - tutti insieme - circa il 15% dell'elettorato. In un paese sempre più disaffezionato alla politica ed alla partecipazione elettorale proviamo a fare un rapido calcolo: vota il 60% della platea, se uno dei partiti (che alla fine saranno di necessità una nuova sintesi accorpata e agglomerata pena la sparizione o la dispersione dei voti in favore dell'avversario) prende il 40,1% ha 340 seggi. Il che significa che sostanzialmente con il 24% della platea elettorale reale questo partito avrà il 55% del parlamento. Ma se togliamo quel 15% dei "piccoli partiti", il netto è che hai la maggioranza dei parlamentari con meno del 20% della platea elettorale. Ciò avviene comunque, sia che si faccia al primo turno, sia in caso di ballottaggio. E questo - con buona pace di tutti - non sta nemmeno nella più fervida immaginazione degli sceneggiatori delle serie tv americane. Men che meno nelle menti e nelle prassi di francesi e inglesi cui qualcuno dei nostri millanta di ispirarsi. E il tema della lungimiranza ci riporta ad una seconda considerazione: a questa maggioranza uno scenario del genere ovviamente "fa piacere", ma se vincesse un Salvini, un Berlusconi, un Grillo? E il punto non è "non fare una legge" per non favorire un avversario, né farla perché certi del proprio risultato. Il vero quesito è se un parlamento - anche senza discutere della sua legittimità piena alla luce della parziale incostituzionalità della legge con cui è stato eletto - possa decidere la composizione di quello successivo, o se non debba limitarsi ad avere come parametro, quando mette mano alla legge elettorale, la massima rappresentatività possibile degli elettori. Sia che ciò avvenga con collegi uninominali, sia con primarie stabilite per legge e per tutti per la scelta dei candidati, sia che avvenga con preferenze, con liste, con coalizioni. Tutti sistemi che non vanno in conflitto con la governabilità, e che con questa vanno "corretti". Anche perché il paese di cui parliamo, l'Italia, è un paese reale molto disunito, eterogeneo, ed in cui viviamo questo dettaglio straordinario di cui tutti si dimenticano: i partiti non rispettano pienamente il dettato costituzionale, spesso sono partiti personali, non tutti si dotano di statuti "democratici", la trasparenza dei conti è un'opzione, e quando parli di conflitto di interessi non solo nell'eventuale ruolo esecutivo, ma anche nella propria posizione di parlamentare, e nella trasparenza della lista finanziatori e nelle eventuali nomine, per non parlare del fatto che siamo l'unico paese occidentale che on ha una normativa sulle attività di lobby. Ecco, una legge elettorale va inquadrata in questo sistema, e deve tenere conto di queste realtà. Se no è astratta, e rischia di "imporre" il nuovo parlamento, di pre-disegnarlo, piuttosto che essere strumento di rappresentanza democratica. Oltre l'Italicum, dovremmo preoccuparci prima di descrivere come sarà l'Italia dell'Italicum. E se ci riflettiamo senza opportunismi legati alle persone e ai sondaggi del momento, forse, ne possiamo tutti meglio comprendere i rischi, e leggere "prima" se come e quanto ci piace un paese così. E preoccuparci di "come sarà l'Italia" dopo una qualsiasi riforma dovrebbe essere il metro unico da cui partire e con ci disegnare qualsiasi riforma che abbia l'ambizione di essere utile, durare e sopravvivere a una singola maggioranza ed a poco più di una legislatura.