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Michele Di Salvo
13 Jul

La crisi greca e la teoria dei giochi (parte seconda)

Pubblicato da Michele Di Salvo  - Tags:  Atene, euro, europa, Grecia, Grexit, nash, Tsipras, Tzipras, Varoufakis, Von Neumann, Yanis Varoufakis

epaselect epa04604470 German Finance Minister Wolfgang Schaeuble (L) and Greek Finance Minister Yanis Varoufakis (R) sit for a joint press conference in Berlin, Germany, 05 February 2015. The meeting between Varoufakis and Schaeuble comes after the European Central Bank (ECB) decided to turn up the pressure on Greece over its vow to renegotiate the terms of its bailout by refusing to accept Greek government bonds as security for loans.  EPA/KAY NIETFELD

La partita giocata in Europa in questi giorni può essere vista in molti modi. Probabilmente quello più sbagliato è quello del "gossip della politica" fatto tirando per la giacchetta vincitori e vinti, o peggio ancora rapportare ciò che avviene politicamente sulle decisioni che determinano i destini di un popolo e di un paese con situazioni "nostrane", che siano rapporti di forza interni in Italia tra Renzi e Grillo, Meloni, Salvini e Civati o in Francia tra Hollande e Le Pen, per esempio. Qualche tempo fa scrissi un articolo in cui parlavo della teoria dei giochi applicata alla strategia del governo greco. Quell'articolo - che vedeva protagonista Varoufakis, che anche dopo le dimissioni resta il vero regista dell'operazione greca nel suo complesso - è quanto mai attuale per svariate ragioni. La teoria dei giochi è figlia di una mente in particolare, quella di John Von Neumann, una delle menti (non solo) matematiche più brillanti del novencento. Tra le sue convinzioni quella di poter razionalizzare e comprendere matematicamente qualsiasi fenomeno: dalle previsioni del tempo agli esiti delle guerre, fino ai processi macro e microeconomici e fu sostanzialmente l'ideatore di tutto quanto sta alla base del concetto stesso di informatica per come lo conosciamo noi oggi, a partire dai codici binari. Tuttavia la teoria dei giochi nasceva dall'idea stessa di Von Neumann ai tempi della guerra fredda: che un certo numero di milioni di morti fosse accettabile per la vittoria finale sul male, e che bisognava in qualche modo, in un "gioco" raggiungere come obiettivo quello di facilitare la vittoria di una delle parti, con il naturale esito di un'altra parte "sconfitta". Servirà un altra mente eccellente per andare oltre questo modello, e arrivare a concetti che supereranno negli anni ottanta, definitivamente, il modello di contrapposizione tipico della guerra fredda: sarà la mente di un altro John, questa volta Nash, a parlare di "vera vittoria solo in condizioni di equilibrio". Il punto di vista da cui partì Nash era l'osservazione dei fenomeni umani, tanto quelli di una guerra quanto quelli di una trattativa commerciale, quanto i processi economici, e arrivò alla sostanziale conclusione che ogni volta in cui si verificava una sconfitta totale di una delle parti, questa sconfitta generava altri conflitti e revanscismi, spesso anche del tutto irrazionali, irragionevoli, anche a costo di essere anti economici, che generavano a loro volta scompensi e danni all'intero sistema: e incalcolabili proprio perché spesso irrazionali. L'idea di Nash - sintetizzabile nel gioco del tris - è sostanzialmente quella di non ricercare il punto di vittoria e di sconfitta, ma un vero e possibilmente stabile "punto di equilibrio": «Un gioco può essere descritto in termini di strategie, che i giocatori devono seguire nelle loro mosse: l'equilibrio c'è, quando nessuno riesce a migliorare in maniera unilaterale il proprio comportamento. Per cambiare, occorre agire insieme.» Nash dimostra che, sotto certe condizioni, esiste sempre una situazione di equilibrio, che si ottiene quando ciascun individuo che partecipa a un dato gioco sceglie la sua mossa strategica in modo da massimizzare il suo risultato, sotto la congettura che il comportamento dei rivali non varierà a motivo della sua scelta.

Leggere la soluzione al difficile problema greco in chiave di vincitori e vinti, di codardi, di chi si è calato le braghe, di chi aveva ragione, di carri del vincitore e del vinto, è quanto di più stupido e mediocre si possa fare. E dimostra solo il non vedere cosa davvero è avvenuto. L'equilibrio trovato in Europa porta più benefici a tutte le parti rispetto agli svantaggi singoli. La Grecia ottiene di non fallire, di rinegoziare parte del proprio debito, ottiene la liquidità necessaria a far fronte ai propri impegni, ottiene di non dover fare misure eccessivamente antisociali ed ulteriori privatizzazioni e svendite. L'Europa ottiene che nessun paese si ritrovi "in pancia" titoli di debito in default, stesso dicasi per le rispettive banche, ma soprattutto ottiene che il percorso di una moneta unica non venga messo in discussione, il che sarebbe stato un pericolosissimo precedente che avrebbe minato l'idea stessa di certezza della moneta. Soprattutto l'Europa ottiene una Grecia più disponibile al dialogo e partecipe dei destini dell'intera unione, e riafferma un principio - che non è mai abbastanza riaffermare - che esistono luoghi e contesti e organismi nei quali qualsiasi paese in qualsiasi condizione dovrebbe (e deve) poter trovare un luogo di ascolto, decisione e condivisione del problema. E che questo non debba sempre essere oggetto di discussione dell'intera unione.

Perché se facessimo tutti una sana riflessione, probabilmente "aritmetica secca alla mano" quella che veramente sarebbe uscita sconfitta in caso di Grexit sarebbe stata l'Europa: incapace di contenere, di affrontare i problemi seri, di gestire la situazione, dimostrando al mondo che alla prima vera difficoltà economica e finanziaria l'Unione monetaria si sgretola. Se ci riflettessimo una debolezza ed incertezza di questo tipo sarebbe costata di più all'Europa che non alla Grecia. Quello che veramente ha fatto un passo indietro - ed è il naturale sconfitto, se ne vogliamo trovare uno di questa situazione - è il radicalismo, da ciascuna parte e di qualsiasi partito e paese. L'idea che si stia assieme in un modo chiuso e definito, senza mettere in discussione nulla. L'idea che ci si pieghi ad un modello dominante (quello finanziario tedesco) cui tutti - anche i più diversi - si devono adeguare. L'idea che la mediazione sia sconfitta, umana o politica che sia. E queste - soprattutto queste sconfitte lette in questa ottica - sono tutte buone notizie. Utili ai popoli quanto alle nazioni. E forse una sana riflessione in più potrebbe anche aiutare una classe politica e dirigente ad essere meno miope, egocentrica e mediocre, e più aperta a considerazioni generali.

Spesso, per tornare alla teoria dei giochi, cadiamo nell'equivoco che si debba cercare una via per vincere con una controparte necessariamente sconfitta. Nash ci insegna che la vera vittoria sta in un equilibrio accettabile da tutte le parti. E mentre il concetto di "win-win" ormai viene insegnato in ogni valido corso di marketing, troppo spesso resta fuori dal dibattito politico tra ultras, che nulla porta alla vera crescita sostanziale della cultura politica di una comunità. Quando si scelse di "fare l'unione" nazioni diverse tra loro, reduci dalla seconda guerra mondiale, decisero di condividere le risorse che all'epoca erano essenziali per farsi la guerra: il carbone e l'acciaio. Quella scelta non fu presa a cuor leggero, con ogni nazionalista che trasaliva a quell'idea. Fu faticoso e ci volle coraggio. E ci vollero persone che andarono oltre l'interesse nazionale del momento e degli equilibri parlamentari, immaginando un continente da sempre in guerra, che la guerra non se la sarebbe più potuta fare. Anche quello fu un equilibrio, ma da quell'equilibrio abbiamo guadagnato tutti molto più che conservare qualche particolarismo nazionale e nazional popolare di facciata. Durante la guerra fredda c'era chi sosteneva che "qualche milione di morti fosse tutto sommato accettabile pur di vincere sul comunismo". Forse se siamo ancora su questa terra è perché passò una certa linea che venne ben sintetizzata nel film "war game" nella frase "Guerra: l'unico modo per vincerla e non farla". A dirlo nel film era una macchina che giocava a tris. Il pensiero era di Robert Oppenheimer. Ricordare tutto questo non è fare una lezione di storia, ma il cercare di ritrovare il senso di unno stare insieme comune più elevato.

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