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Michele Di Salvo
08 Aug

Il Sud e le sfide della politica

Pubblicato da Michele Di Salvo  - Tags:  crescita, governo, mezzogiorno, pd, sud, sviluppo, Svimez

sud-italia-700In questi giorni di sud si è parlato molto. Soprattutto perché i dati macroeconomici pubblicati sono decisamente negativi. E invece di essere letti economicamente, sono stati "tirati per la giacchetta" da questa o quella parte politica – come se nessuna fosse responsabile di alcunché. In pochi tuttavia hanno rilevato che questa è la prima volta che lo stesso partito, con il suo segretario, è alla guida del governo e contemporaneamente amministra tutte le regioni del meridione. E a grandi poteri corrispondono anche grandi responsabilità. Questo significa che davanti noi ci sono almeno cinque anni, e l'intera nuova programmazione europea, per gestire risorse, avviare strategie almeno di medio periodo, e dare risposte concrete che generino risultati. Senza alcun alibi. E questo significa anche i prossimi dati saranno inequivocabilmente la sentenza di quanto fatto o meno da questo governo e da queste amministrazioni, senza più poter "giocare" a scaricare responsabilità politiche.

Ma andiamo con ordine. Dalla pubblicazione delle anticipazioni del rapporto SVIMEZ sul mezzogiorno d'Italia è stato un ricorrersi di commenti, più o meno tutti "sui titoli" dei titoli delle anticipazioni stampa, ovvero la sintesi della sintesi della sintesi del rapporto.

Le linee seguite dalla narrativa sono state le solite: attacchi contro un sud sprecone e incapace, attacchi contro il governo, attacchi contro la Svimez (rea di dire cose spiacevoli) e repliche politiche (finanche di improponibili neoeconomisti – perché ormai di economia parla e scrive chiunque "dati alla mano") per ogni sorta di distinguo. Ed infine la solita narrazione meridionalista dell'invito a maggiore spesa pubblica e rinnovare una vetero questione meridionale, per la verità una delle tante questioni mai discusse sul serio, mai affrontate storicamente e rimaste senza responsabilità (siano esse storiche o politiche). La storia parte da lontano, e vede un Piemonte neo-industriale indebitato sino all'osso e sull'orlo del fallimento che si fa pilota del processo di unificazione. Un sud dalle casse ricche da annettere e arretratissimo, ma con molte braccia disponibili e vasti latifondi. Perché parliamo di oltre un secolo e mezzo fa oggi? Per avanzar crediti? No. Perché sostanzialmente in questo secolo e mezzo non è cambiato molto. Si è fatta l'Italia ma mai gli italiani. Il sud è rimasto prevalentemente agricolo o legato al terziario. Il nord prima del fascismo, durante, dopo, e durante il boom economico è cresciuto grazie a tanti immigrati spesso a basso costo che lasciavano paesi e campagne per lavorare in fabbrica. Una emigrazione che ha generato economia. Case, arredamenti, bisogni di ogni giorno. Città e distretti del nord che decuplicavano. Ma nemmeno questo è stato "il problema del sud". Invenzioni come la Cassa per il Mezzogiorno, molte iniziative dell'IRI, le "mega opere", l'industrializzazione industriale, sono stati tutti contenitori che davano denari per creare aziende che diventavano clienti di aziende del nord, per poi essere acquisite, spesso chiuse, smembrate, quando i fondi pubblici finivano. Quello che i rapporti non dicono è che ogni azienda del nord che ha "investito" al sud ha ricevuto una media di sovvenzione pubblica di "fondi per il sud" pari a 1,4 volte l'investimento. E nell'80% dei casi l'investimento non ha superato i cinque anni. Quando invece le cose andavano bene e le aziende del sud "funzionavano", arrivavano altri imprenditori che accedevano al credito a tassi molto inferiori, acquisivano, e spesso chiudevano. Praticamente tutti gli appalti per le grandi opere (dalla Salerno-Reggio, all'alta velocità, alla costruzione di aeroporti, strade etc) sono tutti affidati ad aziende settentrionali, che puntualmente frammentavano l'appalto e lo dividevano tra piccole imprese locali, che non avevano alcuna chance di crescere. Il che in sé non è un crimine se non fosse che questo non fa si che ci sia sviluppo, e se non fosse grandi aziende (Impregilo, Caltagirone, Ansaldo, Italcementi etc etc etc) pagavano le "imposte regionali" altrove. Anche questo è denaro sottratto al sud. Il non detto però della politica – sia quella che si affanna a dichiararsi meridionalista, sia quella che "è contro un sud sprecone e mal governato", sia quella del "si però noi abbiamo fatto..." - è che dall'unità d'Italia in poi il sud non ha mai avuto autonomia nella selezione della sua classe dirigente.

Dalle leggi della destra e sinistra storica – in cui votava il 4% della popolazione, ma che per reddito e istruzione al sud toccava l'1%. Una piccola pattuglia di meridionali spesso "corrotta" dal potere del governo, che faceva da stampella ai giolittismi. Nulla che non si è ripetuto con la DC post-fascista o col pentapartito, in cui una pioggia di denaro finanziava un certo potere, una certa politica ed una certa classe dirigente che – eletta al sud – guardava agli appalti come occasione di vantaggio economico e di potere e non come occasione di uno sviluppo che – se reale – non conveniva a nessuno. Perché è questa la chiave: un sud autonomo, che cresceva, che si dotava di infrastrutture, che arricchiva con quei soldi le proprie aziende, che potevano crescere e competere, che avrebbero riempito le casse dei propri enti locali... era qualcosa che non conveniva alla politica del voto facile e clientelare ed alle imprese dell'appalto pubblico vinto grazie alla corruttela (di cui tangentopoli è stata solo l'iceberg). Perché le elezioni (grazie alla sua percentuale di popolazione) si vincono al sud, e quindi "serve" tenere il sud alle dipendenze della politica. Da sempre. Le cose non cambiano con la seconda repubblica, e vanno peggio con leggi elettorali che consegnano liste chiuse di eletti e collegi sicuri nelle mani di politici settentrionali che – novelli meridionalisti che non verrebbero eletti in casa propria – vengono a prendersi scanni parlamentari nel mezzogiorno. Modestamente è prassi bipartisan. Basta consultare le liste e gli eletti.

Quello che radiografa lo Svimez non è "uno stato di cose statico", ma il risultato aritmetico delle conseguenze di quelle scelte politiche ed economiche. Scelte che sul medio e lungo periodo non hanno fatto bene nemmeno al Nord, perché se "impoverisci" una così ampia fetta di popolazione, il risultato che ottieni è il crollo del mercato interno nazionale. E questo è un fatto. Se aumenti a dismisura la spesa pubblica senza ottenere risultati strategici, e se le imprese del sud non finanziano le proprie regioni, ottieni solo un impoverimento e indebitamento generale, non certo benessere locale né localizzato. Ma le strategie di lungo periodo non hanno mai interessato politici miopi interessati sono alla propria personale elezione alla legislatura successiva. E questo rapporto, come infiniti altri, non fanno che dire numericamente quella politica cosa ha prodotto. Ma anche tendenzialmente cosa sta producendo e dove sta andando. E allora di cosa ha bisogno il sud per crescere e uscire da questo quadro economico? Di poco, pochissimo. Ma che è al contempo un'impresa titanica. Al sud devono candidarsi politici del sud. Devono avere una fedina penale immacolata e nemmeno l'ombra di una collusione o di un conflitto di interessi. E questo è lo sforzo titanico che deve riguardare i partiti politici, ma soprattutto i cittadini. Solo dopo aver fatto questo, al sud occorre che i soldi destinati al sud siano spesi con imprese appaltanti e imprenditori del sud. E se non ci sono imprese abbastanza grandi, si creino i consorzi obbligatori. Infine occorre una revisione dei criteri di assegnazione dei fondi di sviluppo: non in base a quanto presuntamente investi o al numero di occupati "a tempo", ma in base a quanto produci ed in proporzione al fatturato ed alla produttività. Infine, che i fondi europei per lo sviluppo regionale siano destinati solo ed esclusivamente ad opere di lungo periodo, a infrastrutture strategiche, ad una programmazione di sviluppo pluriregionale. Perché solo così questi denari non verranno usati per logiche dettate dai tempi elettorali e tendenzialmente usati per una strategia di crescita di lungo periodo. Fare queste cose non costa un solo euro in più a nessuno. Ma rischia di toglierne molti dalle tasche sbagliate per metterli nelle tasche giuste. E questo – se tutti serenamente ma mai arrendevolmente ci riflettiamo – è banalmente quello che la nostra classe dirigente – nazionale – non può permettersi. Ed è questa in definitiva la vera povertà del sud , e in definitiva di tutta l'Italia.

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