A lezioni di TV da Grillo e Casaleggio
Non è nuova come notizia, anche se oggi acquisisce un senso e una dimensione differente.
Grillo e Casaleggio hanno sempre osteggiato la presenza televisiva per molti motivi, tra cui il concentrare ogni attenzione mediatica su Grillo, creare un fulcro unico e univoco, che garantisse anche una più semplice e immediata gestione dei contenuti e della comunicazione complessiva.
Per un soggetto concepito come il Movimento 5 Stelle questa è più di un’esigenza politica, perché un certo modo di fare comunicazione è fondante, e serve alla creazione ed al mantenimento del gruppo. Inoltre la Tv crea inevitabilmente attenzione individualistica, e quindi potrebbe creare anche conseguentemente leadership differenti.
Prevedendo comunque che un minimo di presenza video fosse fisiologica, già due anni fa Filippo Pittarello spiegava ai neo aderenti che “la Casaleggio organizza corsi per migliorare la comunicazione personale” con precise tecniche di pnl e di retorica politica. Anche questo non è una novità. Nei partiti tradizionali sono cose che anche intuitivamente si apprendono partecipando alla vita di circolo, o per le quali esistono svariati corsi di formazione. In Forza Italia appena fondata era imperativo che chiunque volesse candidarsi si facesse affiancare da tecnici made-in-mediaset che organizzavano una formazione specifica, almeno per una infarinatura generale (e quello in Italia fu il primo momento in cui la comunicazione visiva divenne elemento professionale della politica).
Ci viene ripetuto, come un bombardamento, che invece il M5S non è un partito, un movimento orizzontale, che non sarà mai e non farà mai come gli altri, e che rifiuta la politica “professionale”. E tuttavia ieri pomeriggio Beppe Grillo in persona ha dato “lezioni di tv” a una decina di parlamentari del Movimento 5 Stelle. Gli allievi per il corso d’eccezione (rispetto alla regola del “se vai in tv ti espello”) sono Vito Crimi, Giovanni Endrizzi, Paola Taverna e Laura Bottici per il Senato, e Roberto Fico, Laura Castelli, Paola Carinelli, Alessandro Di Battista e Luigi Di Maio per la Camera. Insomma una lista di fedelissimi pronti a sdoganare nei talk-show il Movimento.
le ragioni di questo cambio di rotta saranno probabilmente spiegate affermando che “non si può lasciare che la tv dei partiti attacchi senza repliche” o anche che “va ascoltato quanto ci viene chiesto a gran voce dalla rete”. In realtà è molto più probabile che a differenza di quanto può sostenere Casaleggio per promuovere il suo business, la rete conta, ma si affianca e non sostituisce tutti gli altri canali di comunicazione. La radio non ha sostituito i giornali, né la tv ha cancellato radio e giornali, e così via. Il sistema della comunicazione è articolato, e questo è un bene per la democrazia e per l’accesso alle informazioni. E se si vuole competere in politica i canali di comunicazione devono essere davvero tutti, e nel rispetto delle regole di ciascuno.
Non cambia tuttavia la logica della gestione interna come una “cosa privata”; il Grillo proprietario del logo, dei siti, unico arbitro di chi è dentro e di chi è fuori, senza appello, in un movimento in cui – unico caso al mondo – si viene espulsi tramite raccomandata di un legale che ti priva della disponibilità del logo, è anche l’unico che elegge e nomina chi può o non può apparire il televisione. E dato che si tratta di fedelissimi che hanno sempre acriticamente condiviso qualsiasi virgola di qualsiasi post del “capo”, Grillo continua in ultima analisi ad essere anche l’unico che decide cosa si potrà dire in televisione quale sia la posizione che debba essere conosciuta e veicolata. Se voleva essere una risposta alla domanda di democrazia e di partecipazione condivisa interna, mi pare che non lo sia. E questo forse è l’elemento più triste per un Movimento che si propone di essere di massa, democratico, e fuori da logiche padronali. Il rischio semmai, tenendo conto di alcune esclusioni da questo ristretto circolo, è di alimentare le fronde e le correnti interne, invece di operare – come dovrebbe essere nel bene di tutti i partiti politici – per unire e dare voce a tutti, anche a coloro che semplicemente “discutono” una linea unica.
Un solo dubbio resta sul tappeto; ma lui, non era solo un megafono?
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da L'Unità del 1 giugno 2013