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Michele Di Salvo
27 Jul

Giornalisti freelance di guerra

Pubblicato da Michele Di Salvo  - Tags:  giornalismo, giornali, informazione, Italia, guerra, freelance, Editoria

Giornalisti freelance di guerra

C’è un dibattito di questi giorni che mi appassiona molto, e ve lo segnalo.
E’ un dibattito sui freelance di guerra, che parte da lontano, da quando cioè alla fine degli anni novanta i giornali hanno “tagliato” un settore che “fa vendere poco”: gli esteri.
E già su questa considerazione dovremmo tutti interrogarci. Come lettori e come società.
perché poi siamo quelli che si riempiono la bocca, che parlano dei grandi temi della globalizzazione, che entrano nel merito della vita e degli usi e costumi di altri popoli, e poi non passeremo un solo esame di geografia, figuriamoci di geopolitica. Facciamo finta che infondo non ci riguardi. E invece…

Tra il 1997 e il 1999 io di guerre ne ho viste abbastanza. Direi anche troppe per non farmi un’idea di cosa sia la guerra, di quanto ci tocchi a migliaia di chilometri. E si può dire che da altri punti di vista ho visto e toccato questa trasformazione dell’editoria. In Kossovo, Ennio Remondino e tanti altri inviati, con le troupe al seguito e gli accrediti delle varie testate. A TimorEst due giornalisti e basta. Nel mezzo tutto.
A Timor Est alcuni freelance – freelance da anni – mi spiegavano che il loro vantaggio era di scrivere in inglese, spagnolo, portoghese, e avevano contatti con decine di giornali in decine di paesi. Solo così ci si stava dentro le spese e si guadagnava anche bene. Ma i nostri?
E in quegli anni c’è un’espressione che ricorderò sempre “se vuoi un posto sicuro, non stare coi giornalisti inviati, ma stai vicino a un freelance” – già, perché dovendo “vedersela da soli” sapevano bene come muoversi, e non si avventuravano in guerra senza essere davvero molto preparati.
Ma questa è, in parte, un’altra storia.

Il tema non è nuovo e lo rilanciano molto bene i pezzi che adesso vi citerò.
Però c’è un punto che credo “esca” dai singoli pezzi e che prendo a prestito e faccio mio.
Dice Barbara Schiavulli “E ora chiedo ai lettori, volete leggere il pezzo di una che si è letta tutto quello che era possibile leggere su un posto, che ha parlato con cani e porci, che ha vissuto in quel posto, che si è immersa in quello che accade o nell’inviata assunta perché raccomandata da un politico che piglia un sacco di soldi e si fa scrivere i pezzi magari da qualcun altro?... L’informazione internazionale non dovrebbe essere tra le pagine dei giornali perché vende, ma perché dovrebbe essere il fiore all’occhiello di un giornale. Perché dovrebbe essere uno dei servizi che un quotidiano offre. E non tengo informato il lettore sul mondo perché vende, ma perché fa parte del bagaglio culturale di una persona. Perché lo rendo partecipe di quello che accade, perché questo è il cuore del significato del giornalismo.”

Il pezzo che ha fatto nascere il dibattito è un articolo di Francesca Borri.
Lo trovate qui in originale – ma forse in rete c’è anche qualche traduzione.
http://www.cjr.org/feature/womans_work.php

Arianna Ciccone ha ripreso parte dei commenti sorti “tra giornalisti” qui
http://www.valigiablu.it/freelance-e-guerra-una-conversazione-un-po-animata-fra-amici/
e io credo che vi siano temi ed argomentazioni che siano un bene che escano dagli “addetti ai lavori” per incontrare i lettori.

Segue un pezzo che davvero ho trovato bello, che è quello di Barbara Schiavulli.
lo trovate qui http://www.valigiablu.it/freelance-italiani-di-guerra-la-testimonianza-di-barbara-schiavulli/ e vi consiglio di leggerlo, siate o meno d’accordo sul “che fare” finale.

Segue un altro pezzo, sempre sul tema, http://www.valigiablu.it/elogio-del-freelance-e-di-una-struttura-di-sostegno/ di di Helen Ueckermann e il commento di Francesca Caferri che trovate qui http://www.valigiablu.it/ben-venga-la-discussione-sui-freelance-ma-parliamo-di-occasioni-di-bravura-e-di-denaro/

Ma c’è anche un altro “perché” vi consiglio questi link.
Perché parlano di noi. Parlano di italiani. Parlano di un mestiere difficile e spesso sottovalutato, in cui si confonde divismo e sacrificio, in cui dei “nostri” che ci raccontano le storie e la storia ci ricordiamo quando vengono rapiti, feriti o muoiono, per poi scordare finanche i loro nomi.
Questi racconti entrano nelle storie e nelle vicende umane di persone di cui spesso leggiamo distrattamente le firme su articoli di cui troppo spesso leggiamo solo i titoli, perché “gli esteri interessano poco”.
Questi racconti ci interessano perché quasi tutti parliamo di giornalismo e giornalisti, spesso senza conoscere il loro lavoro e le loro difficoltà.
E ci interessano perché in un mondo che amiamo definire precario, se possibile il precariato di professori e giornalisti è il peggiore, perché il primo mina alla radice il futuro della nostra società, e il secondo rende precaria la nostra democrazia, perché rende precaria la consapevolezza di tutti noi come cittadini, e la consapevolezza e l’informazione sono alla base di ogni scelta davvero consapevole.

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