Gli abusivi dei giornali
Ieri era la giornata della memoria delle vittime della mafia.
Rai tre ha deciso di mandare in onda in prima serata Fortapàsc, film sulla storia di Giancarlo Siani, un giovane giornalista precario morto-ammazzato dalla camorra.
Dopo mille versioni diverse e contraddittorie si è arrivati ad una sentenza che partiva dal presupposto che la decisione di uccidere Siani fosse stata presa per quello che aveva scritto.
Grazie anche alle inchieste giornalistiche di Roberto Paolo invece il processo è in corso di revisione, perché invece è molto più probabile che quella morte sia stata decisa per quello che Siani stava per scrivere.
La simmetria con la storia di Falcone e Borsellino è cristallina: le mafie non uccidono per qualcosa che è già stato fatto, bensì per quello che quelle persone sono in procinto di fare o di diventare.
Durante il film c’è una scena in cui Siani viene “strigliato” dal suo caporedattore che usa una parola gergale del giornalismo “ricordati che tu sei solo un abusivo”.
Stupisce questo termine, proprio in un ambiente in cui si lavora con le parole ed alle parole si da, o dovrebbe dare, particolare peso ed attenzione.
Abusivo, in lingua italiana, è chi, senza titolo, usurpa il posto o la posizione o il luogo, di chi o al posto di chi ne ha titolo, o prende un ruolo o un luogo che non è suo.
E allora “abusivo” dovrebbe essere il rappresentante sindacale di quel giornale, il direttore, il capo redattore, che utilizzano quel lavoro non regolare, o il giornale stesso che viene riempito con pezzi e articoli che non “gli appartengono”.
E invece nel giornalismo finisce con l’essere definito abusivo chi è semplicemente precario, spesso sfruttato, di certo mal pagato, e che attualmente contribuisce complessivamente al “riempimento” di circa il 40% della superficie editoriale della carta stampata che troviamo ogni giorno in edicola – giornale più, giornale meno.
La riflessione poi andrebbe spostata su un concetto più ampio e su cui i lettori, veri proprietari dei giornali, dovrebbero maggiormente riflettere: chi è precario è ricattabile (ad esempio di essere messo alla porta), o ha problemi economici, e in entrambi i casi questa condizione rende anche molto precaria la libertà, l’autonomia, l’indipendenza e la qualità del giornalismo e dell’informazione prodotta.
E nonostante questo, spesso sono proprio i giornalisti “abusivi” che scovano e scrivono e raccontano le storie più importanti.
È la storia di Giancarlo Siani, ma è anche la storia di tanti ragazzi in gamba che almeno provano a fare questa scelta professionale. Sono tutti bravi e capaci e talentuosi? No, come in tutte le professioni, e forse questa è una delle più complesse, proprio perché sottoposta quotidianamente al giudizio, speso implacabile atecnico e qualche volta superficiale, dell’opinione pubblica. Fa parte delle regole del gioco, e se vogliamo della democrazia e delle libertà che abbiamo.
Però, un po’ tutti, quando prendiamo in mano un giornale, per sfogliarlo, leggerlo, semmai distrattamente, mentre esercitiamo il diritto-dovere del lettore di essere esigente e implacabile verso i giornali ed i giornalisti, male non faremo a ricordarci che i piccoli cronisti di provincia che ci raccontano le buche sotto casa, le rapine, gli incidenti, le sedute di giunta dei comuni, spesso hanno contratti (quando li hanno) di poche centinaia di euro.
E qualche volta spendono più di quanto guadagnano per fare il loro lavoro in maniera almeno decorosa.
E qualche volta, in maniera per noi affatto decorosa, “vengono mortamazzati per strada”, e ce li dimentichiamo.