Grillo e i giornalisti
In questi giorni Grillo si è accanito contro la stampa in maniera particolare.
Non voglio entrare nel merito dei contenuti – per la verità vene sono davvero pochi – ma cercare di analizzare quello che è successo. E che è successo anche altre volte, ma forse in maniera meno evidente. Il momento che sta vivendo il Movimento 5 Stelle è particolarmente complesso.
Com’è sano che avvenga in ogni democrazia, col tempo, anche attraverso la stampa, sono emerse una serie di domande e una serie di questioni in relazioni alla trasparenza finanziaria, alla gestione del Movimento, al suo funzionamento, alle sue regole. A qualcuno può sembrare un’ingerenza senza ragioni, a qualcuno può dare fastidio, e qualcun altro lo può anche vedere come un accanimento. Il problema è completamente differente. Se un movimento politico ha una certa rappresentanza, e fintanto che esiste l’articolo 67 della costituzione, ma indipendentemente da questo, quello che avviene “in una parte politica” riguarda e tocca la vita di tutti i cittadini – e quindi trasparenza, finanze, regole democratiche, dissenso, gestione interna, sono affari pubblici che interessano e riguardano tutti. Esattamente come ci riguarda se un Presidente del Consiglio chiama la Questura di Milano per un suo affare personale, esattamente come ci riguarda il rapporto tra un sindaco, un partito e un banca.
In ogni occasione in cui – nel rispetto delle regole, e nell’interesse collettivo – qualcuno ha semplicemente fatto domande, nella migliore delle ipotesi Grillo non ha inteso rispondere a nessuna domanda. E già questa è un’anomalia. In nessun paese del mondo un leader politico non risponde alle domande, e quando ciò non avviene è uno scandalo. Anche da noi quando Berlusconi si rifiutò di rispondere alle domande di D’Avanzo fece scandalo anche da noi. Ma l’analogia è anche un’altra. Nella peggiore delle ipotesi invece Grillo attacca la stampa – in quanto tale – fa teoriche e teoretiche liste di proscrizione, di buoni e cattivi, e addirittura indica luoghi nei quali dovrebbero o non dovrebbero stare. Eppure in democrazia la stampa è l’occhio della collettività. Grillo non voleva rendere il Parlamento trasparente (o peggio aprirlo come una scatola di tonno)? Non dovrebbe invece proporre più luoghi per tutta la stampa? Vi ricordate il cosiddetto “editto bulgaro” sempre di Berlusconi, sui giornalisti buoni e cattivi? Mi chiedo come mai qualcuno a quelle cose si scandalizzò e gridò alla mania dittatoriale ed oggi la pensa in maniera diametralmente opposta. Ma tant’è. Sarà che col tempo, e con le età, si radicalizzano le ossessioni ma si cambia anche idea.
In realtà a Grillo della stampa non importa proprio nulla. Lui la usa per propaganda, o meglio da show-man per autopromozione. La usa talmente bene che con una straordinaria tempistica la attacca sempre alle 17 – orario perfetto per la chiusura dei giornali e l’apertura dei tg della sera, e in tempo per reimpostare il talk della sera. Certo ne ha una trasversale idiosincrasia. Forse memore di quando allontanato dalla tv forse l’ha accusata di averlo dimenticato o non difeso. Ma di certo nella sua visione del mondo lui odia ogni critica, richiesta di controllo, di confronto, di discussione.
In politica lui la stampa la attacca per un calcolo preciso: io attacco i giornalisti, loro mi criticheranno per delle cose concrete, e io potrò dire “la solita macchina del fango, perché loro, casta, si sono risentiti dei miei attacchi, quindi tutto quello che scrivono è falso per definizione”. Nella lista dei “cattivi” di Grillo ci sono praticamente tutti; qualcuno no, ed infatti in questi giorni si è affrettato a fare da “ufficio stampa” della voce del vate – che prima con toni profetici intimava il pentitismo e poi è arrivato con toni se possibile più evangelici ad augurare una “cacciata dei mercanti dal tempio”. Lo ha fatto in perfetta sincronia con il restitution-day, con le fuoriuscite di parlamentari, con le defezioni, e con le critiche per aver detto no anche quanto la base del suo movimento, a Roma, ha scelto di dare almeno un nome a Ignazio Marino per la delega alla trasparenza ed alla legalità. Ma lui non era proprio per la trasparenza? Non era solo un megafono? Nel movimento non c’era “una vita autonoma da lui” in cui uno vale uno senza capi né dirigenze? Ecco, tutte queste domande, concrete, precise, circostanziate, nella dialettica di Grillo diventano “attacchi della macchina del fango”, ed invece sono semplici domande. Su cose concrete, che ci riguardano tutti.
Non se la prenda Grillo, continueremo a farle, perché è un diritto costituzionale fare domande e mettere in discussione chi ci governa e chi fa politica, le faremo come cittadini. Poi ci sono i sudditi, ma quella è un’altra cosa. E le faranno i giornalisti perché è il loro lavoro, nonché loro precisa funzione sociale. Poi ci sono gli addetti stampa, ma quella è un’altra cosa.
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