I nativi digitali e il Paese che sta a guardare
Nativi digitali. Così vengono definiti i nati nell’era della rete, e che considerano internet una realtà scontata, come nell’ottocento il cavallo come mezzo di trasporto, poi sostituito dalla irrinunciabile automobile del secolo scorso. Se il paragone può sembrare azzardato o grezzo, in realtà si tratta esattamente di questo. L’era digitale ha cambiato radicalmente la percezione di misure come spazio, distanza, tempo, rendendo immediato il trasferimento di informazioni e conoscenze riducendo finanche la necessità di spostamenti materiali di persone e documenti.
La vita delle ultime generazioni è fatta di teleconferenze, videochiamate a costi estremamente contenuti, se non gratuiti, mail anche con valore legale che consentono incontri, riunioni, discussioni, confronti, ma anche trasferimento di conoscenza, oltre alla fornitura di nuovi servizi, come l’e-learning e la telemedicina. Ci sono realtà in cui è normale che medici diano assistenza, leggano diagnosi o addirittura operino con il supporto di specialisti non presenti in sala operatoria ma dal proprio studio in ogni angolo del mondo. Così come esistono corsi superiori, universitari e di alta specializzazione interamente realizzati online.
Questo “nuovo mondo” è l’era digitale, ma le date che ne connotano l’inizio variano profondamente da paese a paese, a seconda di quando l’infrastruttura internet è stata vista come una risorsa strategica, di quanto su questa infrastruttura è stato investito, e della concezione che del web hanno gli stati. Esistono almeno due generazioni che in modi differenti rientrano nell’era digitale largamente intesa. Entrambe ricomprese nella fascia anagrafica under quaranta.
La prima, quella che potremmo definire “dei padri” è quella che ha dato impulso al mondo dei personal computer, portando macchine di uso professionale e tecnico a diventare elettrodomestici di diffusione e uso comune. E sono stati i primi a immaginare un mondo di sviluppo e scambio di contenuti.
Figlia di quella generazione, anche anagraficamente, è la generazione under venti. E sono i giovani cresciuti con un pc in ogni casa, a prezzi estremamente contenuti e abbordabili, che hanno avuto connessioni in rete sempre più veloci e affidabili, e sono nati già con un cellulare per famiglia. Semmai oggi possiamo intravvedere una terza generazione digitale, che è quella di giovanissimi che sono nati nell’era di smartphone e tablet con tecnologia wireless e touch e in un web decisamente dominato dai social network. E per chi si occupa in maniera professionale di rete e di comunicazione, questa non è una semplice evoluzione, ma costituisce un vero e proprio “nuovo mondo” che ridefinisce le sintassi e la semantica non solo della rete, ma della società e delle sue relazioni.
Secondo gli ultimi dati pubblicati pubblicati dall’Agcom, l’autorità italiana per le comunicazioni, nel nostro Paese un cittadino su tre non naviga sul Web. Un dato significativo e, forse, dovuto all’età media elevata degli italiani. Infatti, se le famiglie che nel 2012 avevano una connessione a banda larga su cavo era del 49%, questa media impennava al 71% con la presenza di un minorenne in casa. Secondo l’Agcom sono proprio i giovani tra i 15 e i 19 anni gli utenti più assidui di Internet, circa il 5% della popolazione; ancora più elevata, invece, la percentuale di ragazzi sotto i 15 anni, il 13% della popolazione, che cresceranno dando per scontata la presenza di una connessione a Internet. L'Italia è al quarto posto nella classifica dei paesi europei dove una grossa fetta della popolazione non ha mai avuto accesso al Web, con un totale del 37,2% contro una media comunitaria del 22,4%.
Ma la differenza tra i vari paesi traccia una radiografia non solo tecnologica ma soprattutto delle società. I paesi in cui la rete diventa una infrastruttura strategica, in cui cresce l’offerta di ricerca, di innovazione, di sviluppo, ed in cui vengono sviluppate maggiormente le potenzialità del web, sono anche i paesi in cui la generazione digitale, quella dei quarantenni, ha un ruolo centrale non solo nell’economia, ma anche nelle istituzioni e nella politica, ed è quella stessa generazione che scrive le norme, intese come leggi e regolamenti, che facilitano o moderano l’uso e i sistemi di network. La rete sostanzialmente è composta di tre parti: una infrastrutturale, una di contenuti e una di servizi. La parte infrastrutturale è fatta di rete, connessione, velocità, che è sostanzialmente una scelta strategica pubblica, come autostrade e ferrovie, ma anche di hardware, che è una precisa competenza privata, ma il cui sviluppo dipende dalla infrastruttura (su strade strette e prive di manutenzione nessun azienda commercializzerà auto potenti e evolute). La componente relativa ai contenuti è fatta di servizi e applicazioni, gran parte dei quali dipendono dall’iniziativa privata, ma questa tiene sempre più conto della legislazione e della capacità di mercato e di quanto la rete sia sviluppata e disponibile per la popolazione. La terza componente è fatta di servizi: parlare di e-learning, telemedicina, telecomunicazioni avanzate, burocrazia decentrata, servizi alle imprese, dipende da quanto un paese sceglie di investire strategicamente su queste opportunità, e se le considera un valore, in termini di vantaggi per il cittadino, riduzione delle distanze e delle diseguaglianze e soprattutto in prospettiva in termini di riduzione di tempi e costi.
Queste scelte non sono secondarie, e possono portare enormi benefici collettivi. Ma sono anche tutte considerazioni che dipendono dalla “percezione anagrafica” della società e del suo sviluppo. Ma proprio come il passaggio dal cavallo all’automobile come mezzo di trasporto principale, queste scelte competono a chi deve regolamentare e favorirne lo sviluppo.
Ed infatti non è un caso che esistono silicon valley ed esistono programmi avanzati di digitalizzazione in quei paesi ed in quelle regioni in cui è maggiore la presenza ed alto il ruolo politico delle generazioni digitali. Non va dimenticato inoltre che a differenza di qualsiasi altro mercato e sistema, il web è globale, e una norma scritta in un paese incide su tutti gli altri, non essendovi barriere territoriali. Norme più stringenti, farraginose, poco consapevoli di cosa sia la rete allontanano investimenti e privano un intero paese di servizi a disposizione dei suoi cittadini. Diversamente, norme chiare e non paternalistiche, che non mirino a omologare ciò che avviene nella dimensione digitale a modelli per così dire “analogici”, può portare enormi benefici in termini di attrazione di investimenti, di ricerca, di servizi offerti e di miglioramento della qualità della vita. Il mondo in cui viviamo non è fatto solo di “anzianità di esperienza” e di baronati, ma ci andremo sempre più a confrontare con realtà altamente competitive e con paesi in cui Obama viene eletto presidente a 47 anni e la sua campagna elettorale web è stata gestita da uno dei dieci migliori professionisti della comunicazione: Harper Reed, classe 1978 un ragazzo in jeans e maglietta: entrambe le cose impensabili da noi.
Chi dei nostri politici “al vertice” affiderebbe una campagna a un giovane perché bravo? Gli appalti stessi del web rispondono a metodi e metri di valutazione tutti old-economy che non tengono conto di alcuna declinazione tipica della rete, e che non offrono alcuna chance alle start-up.
Il punto è che da noi è impensabile tutto quello che ne consegue, sia in termini di contenuti, che di investimenti che di prospettive che di capacità e soprattutto di progettualità a lungo termine
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