Il PD e il segretario che vorrei
C’è stato un tempo – che ormai appartiene alla storia della letteratura politica – in cui ai congressi ci si presentava con le mozioni, e si votavano quelle. Si discuteva di programmi e strategie, ma sempre dopo un’analisi. Era appunto un percorso quasi Hegeliano, fatto di tesi e antitesi, che alla fine esprimevano una sintesi in un segretario, che rappresentava la capacità di rappresentare e dare voce a tutti, pur portando avanti una linea chiara, ed una direzione, collegiale e eletta, che esprimeva in maniera proporzionale quelle tesi, e anche quelle antitesi.
Se questo schema può sembrare antiquato, non rispondente ai tempi, in realtà è anche l’unico che sintetizza a livello di partito politico il modello di quella democrazia rappresentativa che noi chiamiamo repubblica.
Ed ecco quello che dovrebbe e deve fare un segretario: unire, dare voce, essere voce, di un partito che proprio perché democratico, oltre se stesso e il proprio nome, esprime ampie e differenti sensibilità ed anime, ad anzi l’auspicio è che diventi casa per quante più anime si possano ritrovare in un’idea comune di Paese, e sul modello e sul futuro da dare agli uomini ed alle donne di questa comunità.
Questo ruolo non ha nulla a che vedere con la premiership, non ha nulla a che vedere con l’essere a capo di un governo – che deve essere di coalizione, di alleanza, con altri partiti – e secondo me anche con qualsiasi incarico di tipo esecutivo. Perché avere l’ambizione di essere segretario di un grande partito, democratico aperto e plurale, è di per sé un lavoro complesso e impegnativo, che non ammette part-time. E data la situazione del paese, ed ancor più della società, io credo che non esistano ruoli in questo momento che possano essere gestiti part-time.
Dal consigliere comunale, all’assessore, al sindaco, alle regioni ai parlamentari ai ministri questo paese merita ed ha bisogno di persone che siano “nel ruolo e nelle funzioni” venticinque ore su ventiquattro. E che abbiano l’umiltà, la consapevolezza e diano la disponibilità in questo senso.
Anche questa è una discriminante della “qualità della classe dirigente”.
Un segretario non deve “allargare per forza” ma “essere accogliente per ragione”.
La segreteria si chiama così proprio perché non dovrebbe essere un ruolo di preminenza ma di servizio. E in questo senso è anche improprio e sintomatico che la fase precongressuale venga definita giornalisticamente “corsa”. Già perché non c’è da correre, ma da riflettere, e le riflessioni si fanno con calma.
La verità è che questa fase – molto delicata – non sarà a quanto pare decisa al congresso, ma prima, attraverso le regole e soprattutto attraverso l’individuazione della base elettorale, ovvero di chi può votare come e quando. Crispi, Minghetti e Giolitti cambiavano la base elettorale per far votare il 4% delle persone e governare da “liberali”. Ma quella era un’altra Italia, e direi anche un’altra era geologica.
Trovo molto bello e utile e costruttivo il lavoro di “ragionamento” che sta cercando di portare in giro per l’Italia Fabrizio Barca. E trovo molto interessante la candidatura di Cuperlo, così come necessaria quella di Civati. E sono questi i candidati che in questo momento vedo come “possibili” segretari, nel senso che hanno quelle caratteristiche di propulsione e programmaticità, ma anche di metodo, per parlare al Partito nel suo insieme.
Credo che vada distinto il ruolo che deve avere il segretario da quello del candidato premier, che andrà scelto con altre primarie, aperte a chi vorrà in tutta l’area di cento sinistra, perché una cosa è “la proposta” per un partito, e un’altra e diversa è “la proposta” per il paese. E se un segretario lo deve scegliere il partito al suo interno, ma nelle forme più aperte possibili, è giusto che il candidato premier lo scelga tutto il popolo del centro sinistra, in maniera quanto più allargata sia utile.
E nondimeno in queste forme, con queste precisazioni, augurandomi che non si parli sono della politica nazionale, ma di quali modelli e quali forme per il partito – perché è di questo che si deve occupare il segretario – e in queste forme come dare voce e spazio al confronto costruttivo su tutte le anime e in tutte le voci.
Ho ascoltato molto e parlato molto poco su questi temi in questi mesi.
Tutti hanno detto e parlato e scritto del ruolo dei giovani e del ricambio generazionale e di maggiore rappresentatività. Temi sempre interessanti e anche di un certo appeal. Temi che non possono appartenere però a questo o quello, e che non riguardano solo il tema anagrafico.
Io vorrei chiedere a chi si candida alla segreteria come ascoltare le varie Valentina Spata, come si impedisce che una corrente (sacrosanta come momento di raccolta sui contenuti) non diventi luogo e momento di lottizzazione e divisione cencelliana delle candidature (e quello che in qualche modo ne consegue). Vorrei chiedere ai candidati alla segreteria come aprire alle forze della società per far emergere candidature davvero rappresentative, semmai con parlamentarie vere.
Infine chiederei a tutti uno sforzo di non “tirare i giovani per la giacchetta”, perché questi sono il futuro di questo partito, e non una goccia utile e strumentale per far pendere una maggioranza; in questa perenne retorica dell’inseguimento al giovane si cela il pericoloso seme della corruzione in cambio di qualche piccolo vantaggio, e questo non fa bene al partito né al paese.
Può sembrare uno sfogo, ma sono solo delle riflessioni- spero adeguatamente sintetiche – che mi auguro pur come sempre rimanendo senza risposta che qualcuno prenderà in considerazione.
Per parte mia me ne torno in silenzio ad osservare ed ascoltare, augurandomi sempre di essere stupito, di intravvedere “il sogno” che questo Paese attende e merita, uno slancio un po’ più alto, una visione un po’ più larga. Non per me, ma per gli occhi puliti dei tanti volontari che si impegnano nei gazebo e durante le primarie, per i ragazzi che credono in un metodo differente, per le ragazze che sorridono tra i colori e chiedono un paese normale, per i tanti che inascoltati portano avanti ragionamenti e riflessioni per difendere anche scelte impopolari ritenendo che siano utili per tutti. Ecco, verso queste persone la classe dirigente di questo partito ha un debito, quotidiano, che no si salda in un congresso o si chiude col nome di un segretario.
È un popolo, quello di cui sto parlando, che non è un patrimonio di una parte. Sono gli stessi sgaurdi puliti che si sono impegnati perché chiedevano primarie nel Pdl. Sono gli stessi militanti che hanno creduto nel Movimento 5 Stelle come forma di partecipazione vera. E i primi sono stati zittiti. I secondi o espulsi, o emarginati, o come a Roma (quando hanno detto si a dare un nome per Marino) sono stati ridotti al silenzio.
È a queste persone, tutte insieme, a questo modo di fare e vedere la politica e la partecipazione attiva in questo Paese che il Partito Democratico – e il suo segretario –ha l’obbligo politico e morale di dare una risposta che sia vera, che sia forte e che sia sostanziale. Non darla è semplicemente venir meno al proprio ruolo nella società, e nella storia contemporanea di questo Paese.