La pericolosa retorica del Caimano e della guerra civile
Chi non ricorda la scena finale de “il Caimano” di Nanni Moretti?
All’epoca si indignarono in molti per quella scena. Si gridò allo scandalo ed alla provocazione.
Impensabile un esisto violento e un clima da “guerra civile” a seguito di una (all’epoca per qualcuno inimmaginabile) sentenza di condanna per il “leader dei moderati”.
Dal quel film sono passati alcuni anni.
I toni tuttavia in questi anni sono stati tutt’altro che moderati. E costantemente è stata creata e montata una sintassi ed un vocabolario tutt’altro che pacificatori, non violenti e moderati.
Si è parlato di clima di odio verso il sig. Berlusconi. Ma l’odio si fomenta ed alimenta, difficile che sia spontaneo, come un’autocombustione.
Il 24 dicembre 2009 – dopo l’atto di aggressione subito da Berlusconi a Milano – lo stesso affermava «Dopo quanto accaduto in Piazza del Duomo il clima politico sembra cambiato, e cambiato in meglio: si è certamente rasserenato e la stragrande maggioranza degli italiani si è iscritta a quello che qualcuno ha chiamato ironicamente partito dell'amore».
Il 26 dicembre 2009 Berlusconi Presidente del Consiglion ella sua telefonata alla Comunità Incontro di Don Gelmini afferma: «Mettiamoci insieme, tutti noi, persone di buona volontà, che credono nell'amore e che credono che l'amore possa vincere l'invidia e l'odio. I nostri avversari hanno ironizzato, dicendo che noi stiamo quasi dando vita ad un partito dell'amore. Lo dico senza ironia: è proprio così».
Fu poi la volta del famoso libro “L’amore vince sempre sull’invidia e sull’odio” – che viene così presentato “(...)Come segno di riconoscenza, ho deciso di raccogliere in questo libro una selezione dei tanti messaggi di sostegno e di incoraggiamento che mi sono giunti. È la testimonianza pubblica di quell’Italia che sa amare e che non vuole che lo scontro politico degeneri nella violenza verbale o peggio ancora fisica. Leggerli mi ha fatto bene e spero sia per tutti motivo di speranza e fonte di positività. Nei giorni della mia convalescenza, mi sono ancora più persuaso che davvero l’amore vince su tutto, non solo sull’odio che rende violente contro l’avversario politico le menti più fragili.
Quando, dall’ospedale, ho lanciato questo messaggio, in molti hanno ironizzato: io resto convinto che questa sia la via giusta per uscire dai problemi del nostro Paese. Non a caso il discorso della mia discesa in campo cominciava proprio con queste parole: “L’Italia è il Paese che amo”.
Se non sai amare non puoi costruire niente di buono, per te e per gli altri. Se sai amare riesci a guardare alla vita, in tutti i suoi aspetti, con uno sguardo sempre positivo, realista ma ottimista, capace di vedere avanti.” Silvio Berlusconi
Tutti questi richiami alla pacificazione in realtà sono sempre stati solo una richiesta implicita di “archiviazione” – politica e giudiziaria – che facesse tabula rasa non già di vicende strettamente politiche, ma di questioni legate a fatti, atti, azioni strettamente personali del sig. Berlusconi.
E questo linguaggio pacificatorio serviva da contraltare per dare qualcosa in pasto ai moderati veri, in termini di bilanciamento di un linguaggio di divisione, di sfida, anche violenta, ben più consistente.
In via indiretta, attraverso i titoli dei suoi giornali e molti dei tagli delle trasmissioni di approfondimento delle sue reti televisive. Anche più nei toni dei suoi parlamentari. Nessuno di questi: giornali, giornalisti, parlamentari, mai richiamati per questi eccessi. Anzi.
Bondi oggi parla di rischio di «guerra civile». La Santanchè di una «mutilazione della democrazia». Il Pdl minaccia dimissioni di massa. Soggetti non titolati a farlo invocano la grazia. Atto di competenza e di esclusiva prerogativa del Capo dello Stato, che tuttavia non può concederlo se il condannato non ha manifestato il proprio pentimento e riconoscimento della condanna, e sino a quando non abbia regolato tutti gli ulteriori carichi pendenti. E nessuno di questi è il caso. L’«esercito di Silvio» presidia il Quirinale. E la «responsabilità» - come la pazienza, dice Minzolini – viene meno a causa di una sentenza emessa nei confronti di un leader politico.
Nei suoi ultimi interventi Berlusconi invitava alla pacificazione nazionale. Lo stesso leader che in maniera assolutamente coerente per anni, coerentemente ha dichiarato frasi tutt’altro che pacificatorie. Nel “paese senza memoria” – come spesso mi capita di chiamare l’Italia – ci si ricorda solo degli ultimi anni, e si pensa di poter giustificare il tutto con la tensione dettata dal clima processuale, dalle sentenze incalzanti, e dalla campagna elettorale.
E allora mi sono preso la briga di riportare qui una sintesi dal 1995 al 2009 del “best of” delle dichiarazioni del leader del centrodestra.
la verità è che un paese normale e civile non accetterebbe mai – da parte di nessun leader – un richiamo alla violenza. Men che meno accetterebbe che un leader, qualsiasi leader, anche del minore dei partiti, non fermasse sul nascere qualsiasi deriva “dei suoi”.
La verità è che questa strumentalizzazione crescente dei toni violenti, sia da parte di Grillo che da parte di Berlusconi, questo richiamo all’autunno caldo, questo richiamo alla piazza, e a forze dirompenti che modifichino la società, è il massimo del conservatorismo.
servono solo a fomentare per innalzare loro come leader capaci di tenere e a freno le folle.
E quindi, essendo gli unici capaci di farlo, rafforzarne la leadership e la indispensabilità politica.
Anche questo è un modo per usare e manipolare i malesseri e la pancia della gente, che finisce ancora una volta per essere semplicemente una pedina.
In questo gioco però, che gioco non è, ci si dovrebbe anche assumere – nel paese dell’irresponsabilità – la responsabilità politica, morale, civile e penale, di qualsiasi eccesso, errore, e “cane sciolto” ne possa venir fuori.
Perché giocare con le parole senza la responsabilità di ciò che queste parole possono creare, è troppo facile per essere ammissibile. Ancor più in un paese che anni di piombo e stagioni calde le ha vissute davvero.
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