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Michele Di Salvo
09 Sep

Renzi e la favola della new-economy

Pubblicato da Michele Di Salvo  - Tags:  Renzi, pd, partito democratico, Partecipazione, primarie, internet, giovani

Renzi e la favola della new-economy

Ascoltare Renzi è un piacere, c’è da dirlo. Ha introdotto nella comunicazione politica italiana elementi molto più dinamici e attuali dello stretto “ingessato” tipico delle nostre parti, ricalcando in qualche modo lo stile americano tipico delle campagne presidenziali. Certo non quelle vere, ma quelle che conosciamo grazie alle serie tv. Ma è già qualcosa. Almeno se l’intenzione è un rapporto diretto con i territori e con le persone e nel coinvolgimento degli attivisti. L’analogia si ferma qui però, perché quelle campagne cui il sindaco di Firenze si riferisce e fa da eco sono anche spietate, e il semplicismo di alcune affermazioni non verrebbe perdonato. Perché un conto è l’efficacia di una metafora, ben altra è una parabola messianica.
Nel recente “discorso di Piombino” il favorito segretario si è lanciato in una efficace quanto improbabile e decisamente imprecisa metafora tra Microsoft e Apple e Motorola e Nokia, parlando a una platea mediamente giovane, avvezza a marchi e loghi, pratica di smartphone… e tuttavia nessuno dei presenti ha notato le stridenti note che dilatavano il racconto dalla realtà. Poco male, direbbe qualcuno, un candidato segretario-leader-premier non deve essere necessariamente anche uno storico dell’economia 2.0. Già, se non fosse che la metafora se l’è scelta lui, e quella “storiella” – bella e carica di appeal – voleva anche essere una metafora dell’Italia, della società, e in qualche modo la proposta di un modello di sviluppo, e quindi viene da chiedersi, che modello è, che proposta è, e che scenario si apre se quella metafora è sbagliata, e se quella storiella parte da presupposti sbagliati?
Nella favola di Renzi banalmente Motorola e Nokia non hanno compreso il futuro dei contenuti, sono rimasti al palo della “old economy” e quindi “il nuovo” rappresentato dalle società di contenuti li hanno acquisiti. E già questa premessa è in sé sbagliata. La Apple ad esempio non avrebbe mai potuto realizzare i suoi migliori prodotti software senza l’hardware dei processori Motorola. Senza i progressi la ricerca, lo sviluppo, il lavoro e la produzione “manuale” nelle fabbriche di hardware e telefonia, non ci sarebbe alcun supporto materiale capace di leggere utilizzare e diffondere alcun software. Lo sa la Apple a lo sa la Microsoft, che da sempre hanno favorito e lavorato in stretta collaborazione con le grandi aziende della componentistica.
Quello che probabilmente Renzi ignora è che semmai il profitti di software e servizi sono maggiori (per unità venduta) rispetto ai “beni materiali” (come appunto un pc o un cellulare). Con la globalizzazione i centri di produzione si sono spostati dove il costo del lavoro e le direttive ambientali sono meno onerose, e questo ha fatto si che alcuni colossi degli anni ottanta e novanta, proprio per la maggiore concorrenza a basso costo, avessero enormi difficoltà finanziarie. Ed ecco che chi invece dalla “rete globale” ha avuto i maggiori benefici (società di rete, software, applicazioni) abbia anche accumulato enormi riserve per investire. E non è un caso che – senza trascurare il proprio core-business – i colossi del web investano in hardware e ingegneria informatica di alta qualità, en non a basso costo, acquistando (e quindi finanziando e investendo) nelle eccellenze informatiche della old-economy (appunto Nokia e Motorola, ma anche SanDisk e Sony).

Nel nostro piccolo paese in mezzo al mediterraneo sono già troppi quelli che credono alle favolette mal dette, mal spiegate e distorte di “uno stage di tre mesi pagato 20mila dollari da Google” o che Facebook davvero sia nata tra due studenti in una stanza all’Università, o alle scie chimiche e ai cellulari microonde e alla biowashball proposti sul blog di qualche newguru.
Forse la lezione della new-economy è più complessa, e parla di una infrastruttura materiale concepita come strategica che ha richiesto forti investimenti pubblici non in servizi, ma in buchi, tubi, fili, pali, cavi e centraline prodotti in fabbriche vere con operai sudati, e non sdraiati a bordo piscina in California.
Forse la lezione andrebbe letta comprendendo che non c’è una dicotomia tra software e hardware, e che nessun cellulare o computer funziona senza un investimento nella sua tecnologia, e nessun software e nessuna applicazione gira senza un computer o un cellulare. E questa lezione la hanno compresa proprio le grandi società di software, che hanno proprio in questo investito la maggior parte dei propri profitti, per assicurarsi il meglio della old economy e per dare impulso al suo sviluppo.

Forse la vera lezione è quella che parla di integrazione, di sistemi integrati di sviluppo, in cui una parte non cresce senza l’altra, e non di dicotomie tra vecchio e nuovo.
Certo, se l’hardware impedisse di sviluppare questo software o quella applicazione sarebbe un problema, come lo sarebbe però un software privo di un processore o una memoria in grado di farlo funzionare. E come all’inizio – pensiamo a pionieri come Commodore, Atari – furono i produttori di hardware a finanziare lo sviluppo di software, oggi i ruoli si invertono, nella direzione e con l’obiettivo di uno sviluppo ed una crescita comune, fisiologicamente simbiotica.
Una metafora che Renzi usa nel suo libro è quella del ciclismo, in cui una squadra “serve” per portarti avanti, ma poi serve “un campione” che dia lo scatto e tagli per primo il traguardo.
peccato che anche il ciclismo ci sia lezioni diverse, e per tornare all’industria della tecnologia, è come due ciclisti che si danno il cambio per arrivare insieme alla vetta. Perché da soli hanno capito che non si può arrivare da nessuna parte.

Ora, nulla di male a non sapere queste cose, ma cosa succede se le ignori e sbagli metafora? Cosa succede se racconti alle persone una storia che non sta in piedi? Semplicemente che il modelli che proponi come sintesi del tuo ragionamento, forse, anche quello viene meno. Certo, la semplificazione è una dote, ma la banalizzazione no, e illudere le nuove generazioni di un futuro semplice e comodo forse è qualcosa di più e di peggio di una semplice metafora sbagliata.
A ben vedere dietro la metafora della new economy e del ciclismo c’è un’idea leaderistica dell’uomo solo al comando, e della squadra come strumento al servizio della sua ascesa. Ma nella vita reale i software non li realizza mai un solo uomo ma decine e centinaia di programmatori, che studiamo molto e lavorano quattordici ore al giorno per risolvere anche un unico problema alla volta, per un risultato comune.
Dare davvero spazio alle giovani generazioni significa intanto trattarle da adulte, smettere di raccontare favole, di semplificare la storia, e raccontargli le cose per come sono davvero. anche quando le verità sono scomode e meno aderenti ad un’immagine illusoria e pubblicitaria.
Essere leader è cosa diversa da essere un convincitore di piazza, e passa dal far comprendere e accettare una visione cruda ma vera piuttosto che far credere ad una favola che non esiste.

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