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Michele Di Salvo
20 Jul

Chi e' Stato e' Stato

Pubblicato da Michele Di Salvo  - Tags:  Genova, G8, giovani, giornali, Democrazia, libertà, diritti

Chi e' Stato e' Stato

Vi dico subito che io c’ero. E forse esserci stato rende un po’ più manichei nei giudizi e nelle valutazioni. Io ero editore di Cuore, all’epoca, e accompagnai la redazione a Genova per il G8.
Insieme a Manifesto, Internazionale e davvero poche altre testate “ufficiali” eravamo alla Diaz.
Gli altri, tutti gli altri giornali, erano nel media center, e c’è da dirlo da quelli uscivano poco.
Le foto, quelle che abbiamo e avete visto degli scontri di Genova, erano dei “freelance”, delle persone comuni, di Indymedia, anche quando a rilanciarle erano le grandi testate. Ed all’epoca “dato che sono sul web sono gratis” senza nemmeno spesso pagarle ai rispettivi fotografi o agenzie.
Ma questa è un’altra storia.

Alla Diaz l’irruzione avvenne dopo le 19.30 di quel 20 luglio. Si perché tutte le testate “ufficiali” a quell’ora se ne erano già andate dopo aver smontato tutto. Restava Indymedia a caricare video e sistemare foto. Si perché all’epoca i video pesavano tanto e le connessioni non erano quelle di adesso. Ma anche questa è un’altra storia.

C’erano stati scontri. Molti assolutamente folli, indecenti, immotivati. Se solo qualcuno si prendesse la briga di prendere in mano una semplice cartina e vedere quale fosse il perimetro della “zona rossa” e della “fascia gialla”, sarebbe sin troppo facile chiedersi perché, chi ha dato l’ordine e con quale criterio e necessità la polizia si spinse sino a piazza Alimonda e sino a Brignole. Perché lungo il lungomare spinse pensionati, disabili, ragazzi, praticamente sin fuori Genova, comprimendo una massa umana enorme in strette strade e vicoli e carrugi da cui era impossibile uscire, creando di fatto il panico, che inevitabilmente comportò non solo scontri, ma anche feriti, il tutto mentre dai tetti, dall’alto verso il basso, se spesso prendendo la mira sulla testa delle persone, la polizia e la finanza sparava lacrimogeni. Poteva essere una strage solo per il panico, e non lo fu per caso e miracolo, in un caldo 20 luglio sul mare di Genova. Ma anche questa è un’altra storia.

Certo, accanto alle migliaia di persone che manifestavano in maniera pacifica, allegra, gioiosa, tutte assieme, ed erano la stragrande maggioranza, c’era qualche minoranza meno pacifica. Ma questa minoranza era anche tenuta decisamente ai margini e a bada dalla “gente comune”. E anche questo on va dimenticato, anzi, andrebbe ricordato. Come andrebbe ricordato quello che hanno fatto i black-block che tutti sapevano dove stavano, da dove venivano, che strade percorrevano, e che nessuno delle forze dell’ordine si è mai preso la briga di fermare, arrestare, o entrarci in conflitto.
Esistono prove, dossier, fotografie e video, che mostrano con chiarezza ed evidenza come in quei gruppi, che niente avevano a che vedere con i manifestanti, ci fossero infiltrati, provocatori, e che agivano e si comportavano da paramilitari. Ed è assurdo e incomprensibile come le nostre forze dell’ordine avessero finanche e addirittura paura di averci a che fare e scontrarsi con loro. E se vogliamo, anche questa è un’altra storia.

Quella che però non è un’altra storia, ma è la storia, perché ce la portiamo dentro e dietro da dodici anni, sono i processi e le condanne e le assoluzioni e le prescrizioni, per quella ferita inconcepibile a Genova ed a tutta la società italiana. Da allora e sino ad ora. Perché chi “è Stato” deve anche “essere Stato”, sempre comunque e senza eccezioni.
Qualcuno dirà che le sentenze si accettano e non si commentano. In generale sono d’accordo.
Però oltre al criterio di giustizia, che spesso è fallace, soggettivo, non sempre ponderato, e di certo la Giustizia, in sé non è concetto “umano”, esiste un altro aspetto rilevante, che è l’equità, e che questa si è qualcosa cui l’uomo, nella sua fallacità, può tendere.

A Genova ci sono stati stupri, sono stati aperti veri e propri campi di detenzione illegale, collettiva, e di tortura, sono state perpetrate violazioni di ogni minimo principio elementare di diritto e garanzia della persona. Ci sono stati atti di violenza privata e collettiva, con abusi di potere e di violenza. I massimi dirigenti delle forze dell’ordine hanno scientemente e consapevolmente ignorato e bypassato i principi costituzionali, legali, e ogni procedura prevista e regolamentata. Tra le varie omissioni, nessun dirigente di pubblica sicurezza, di nessun ordine e grado, perfettamente a conoscenza di questi abusi e di ogni genere di illegalità, ha agito per porvi argine, ha operato per impedirle, ha inteso sporgere denuncia, dire quello che sapeva, intervenire per far rinviare a giudizio i responsabili. A Genova è morto un ragazzo, in una piazza stretta con centinaia di persone compresse da Carabinieri che lì non dovevano nemmeno essere. A Genova sono stati picchiati ragazzi feriti in ospedale, e trascinati via a forza privandoli di cure mediche. A Genova si sono sospesi i diritti civili di persone che non hanno fatto assolutamente nulla, e si è abusato violentemente e in maniera assolutamente sproporzionata in centinaia di occasioni, con pretesti nemmeno lontanamente accettabili. E questo lo hanno fatto persone che indossavano i panni e usavano la forza e l’autorità dello Stato.

Dopo dieci anni nessuno di quei poliziotti, carabinieri, finanziari, funzionari di pubblica sicurezza, sono stati per quei fatti e per quei reati, condannati. I loro reati sono stati tutti cancellati per prescrizione. Laddove ovviamente non era palesemente possibile un’assoluzione.
E tuttavia – senza che abbiano ucciso, violentato, picchiato, massacrato, ingiustamente incarcerato nessuno – quattro persone sono state condannate a pene che vanno da sei a ben quattordici anni di reclusione, per “devastazione”.
Ovvero in un paese che non condanna riconoscendo ogni genere di attenuante, indulto, attenuante, per reati davvero gravissimi, e che minano alle fondamenta il senso stesso del diritto e dello Stato, quattro persone hanno ricevuto delle condanne per un reato previsto dal codice Rocco, senza alcuna attenuante, con pene scritte in un periodo estremamente buio e delicato del nostro paese, in cui non c’era nemmeno né la democrazia né la Repubblica, né i relativi diritti civili.

Chi è Stato ha il dovere di essere Stato. E se la Giustizia non è propriamente una condizione umana, lo deve essere l’equità. E questa passa per una commisurazione delle pene ai fatti ed ai reati. Perché se la giustizia e la condanna e la pena vale solo per qualcuno, allora anche quando è stabilita per sentenza si trasforma nella peggiore ingiustizia, perché comminata con la forza e l’autorità e il peso dello Stato.
Chi è Stato deve avere la forza, l’autorevolezza e il coraggio di essere Stato, di condannare anche se stesso e i propri uomini che sbagliano prima di condannare cittadini che sbagliano, perché altrimenti è lo Stato che perde la sua credibilità ed autorevolezza, traducendo la sua forza in una vuota e sterile autorità. Perché non c’è peggiore ingiustizia di una giustizia che vale solo per qualcuno. E uno Stato che non riesce a condannare se stesso perde il diritto morale di condannare chiunque altro. indipendentemente dal reato e dalle circostanze.

E questa non è un’altra storia, ma un pezzo della nostra storia, che diventa la contemporaneità di Genova che continua sino ad oggi.

Chi e' Stato e' Stato

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