Tutti i numeri di Renzi nelle primarie Pd
Sono giorni che i media – in un accanimento voyeuristico quasi morboso – stanno martellando di numeri sondaggi e previsioni le Primarie del Partito Democratico.
Numeri trionfalistici che danno Renzi vincitore di oltre dieci punti percentuali
La cosa anomala – più per un serio giornalismo che per le campagne politiche – è che tutti i giornali ripetono pedissequamente dati parziali e previsioni e proiezioni partigiane, spacciandoli per indipendenti, attendibili, e peggio ancora veri.
Eppure basterebbe leggere.
Scopriamo ad esempio che Vibo Valentia in Calabria non esiste e che in tutta la notoriamente rossa Emilia Romagna i circoli sarebbero solo undici.
Scopriamo città ripetute due o tre volte, o circoli gemelli che presentano esattamente gli stessi numeri.
Poi, nelle more, scopriamo che nella provincia di Roma hanno votato più tesserati dell’intero Piemonte.
Ma a queste semplici rilevazioni qualcuno già commenta trattarsi di “macchina del fango” per “sporcare la vittoria del futuro segretario” – anche quando, sin da bambini, ci hanno spiegato che “la matematica – almeno quella –non è un’opinione”.
Ma si sa che ormai siamo nell’era del grillismo, e certe frasi – come macchina del fango – sono buone per tutte le stagioni.
Ciascuno per parte sua porta esempi di malcostume politico locale, che pure c’è nella logica “a tessere” ma che comunque sino a ieri era restato un fenomeno fisiologico, localizzato, minimale.
Io non difendo alcun risultato, né mi interessa entrare nel merito di un singolo episodio, di un singolo circolo, ma resto ancorato a delle considerazioni su una matematica – che vale per tutti – e che traccia degli scenari ben precisi.
A volersi togliere i paraocchi della passione partigiana di questa o quella mozione e su questo o quel candidato, credo che i dati di Salerno e Messina e della provincia di Roma – comune per comune e presi dal sito del “vincitore” dichiarato dai mass-media – siano anomali e censurabili anche dai bambini che imparano alle elementari addizioni e sottrazioni, e che chiunque altro denuncerebbe come assurdi, sospetti, anomali…
Qui allegate le tabelle.
Ed ora ragioniamo in cifre.
Come ho scritto (e quindi non detto al vento, ma dichiarato in data certa – 15 novembre)
“La verità è che lo scostamento – che ogni giorno varia – tra i due candidati è di circa tre punti percentuali. La verità è che questo voto nel e del partito conta – e molto.
Abbiamo solo due precedenti ma è bene citarli e tenerne conto.
Nel caso di Veltroni vs. Letta dopo il voto nel partito, lo scostamento elettorale aperto fu del 3%.
Nel caso di Bersani vs. Franceschini dopo il voto nel partito, lo scostamento elettorale aperto fu del 3%. Quindi, se volessimo davvero simulare, chiunque vincesse, avrebbe poi uno scarto comunque minimo. E non potrà (reciprocamente) non tenere conto del risultato interno. Che a dire la verità, visto che si parla della segreteria del partito e non della premiership, dovrebbe anche essere l’unico risultato che conta. Almeno in partiti e democrazie normali.”
Il nuovo che avanza e che si propone come segretario dichiara dieci punti di vantaggio.
Se togliamo questi dati clamorosamente falsi cosa resta?
È attendibile che in Provincia di Salerno votino più iscritti del Veneto? È credibile che in Provincia di Roma (esclusa Roma!) votino più dell’intero Piemonte? Se fossero usciti risultati differenti si sarebbe gridato all’apparato dei vecchi dirigenti… ma trattandosi del nuovo nuovismo ci si tappa il naso.
Se poi volessimo riflettere oltre il congresso, mi pare che il quadro rappresenti un giovane rampante disposto a tutto e ad allearsi con chiunque e con qualsiasi prezzo pur di vincere.
Se volessimo ragionare sul “bene di un partito comune” dovremmo prendere atto che queste cose non fanno bene al Partito Democratico, che nella migliore delle ipotesi è in mano al 20% ai signori delle tessere che – ineluttabilmente – appoggiano il vincitore designato per assicurarsi rendite di posizione.
Perché se ragionassimo a mente sgombra, mentre è facile attaccare “i nomi noti” e storici del Partito Democratico, e su cui proprio per questo è facile sparare a zero populisticamente – siano i Franceschini che i D’Alema – i veri nodi da sciogliere per chi chiede un rinnovamento di questo Partito dovrebbero essere i De Luca, i Loiero, i Papalia, i Genovese, e visto che ci siamo sui nomi ingombranti potremmo parlare di “aiuti esterni dell’opportunismo dell’ultimo minuto” come i vari Foti, Zambuto, Arnone e Di Vita.
Ma questi sono i nomi che non fanno lo stesso scalpore sui titoli in corpo 60 di alcune testate, e quindi di queste cose nessuno preferisce parlare.
Tutto questo, mi chiedo, fa bene al Partito?
Tutto questo è davvero Democratico – come scritto nel nome di questo Partito?
Tutto questo va bene ed è tollerabile “purché si vinca”?
Io non credo.
Forse questo appartiene a vecchie logiche democristiane – anche quando portate avanti da rampanti quarantenni – pronti a vincere a qualsiasi costo e con qualsiasi compromesso.
Non credo appartenga alla tradizione di una sinistra che della questione morale ha fatto bandiera da prima che certe componenti ne diventassero parte – per scelta o opportunismo.
E allora mi aspetterei, come segnale vero di un cambiamento reale, che quello che si proclama neo-segretario, da Firenze, oggi, prendesse le distanze da questi fenomeni, e chiedesse lui di annullare quei congressi – così imbarazzanti per tutto il partito e per le persone serie e per i giovani dei gazebo. Sarebbe un bel gesto che per una volta oltre ad un nome darebbe anche un volto al cambiamento.
Ma chi è disposto a queste logiche e questi compromessi non se lo può permettere.
Né di fare né di pensare.
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