Cosa hanno detto gli elettori mentre la politica era assente
Mentre i soliti nomi dei soliti tuttologi nei soliti studi televisivi con i soliti conduttori ripetono le solite cose, e si occupano dei soliti problemi (chi si allea con chi, e non certo di capire né di dirci anche per fare che cosa), mi regalo l’umiltà di un po’ jazz, mi fumo un sigaro, e cerco di capire cosa è successo tra ieri ed oggi. Ecco cosa penso a mente calda e di pancia, e spero scrivendo di metterci anche testa e cuore, e alla fine non mi resterà che augurarmi che ciò che resta di buono da questa riflessione resti anche per i giorni a venire.
Intanto credo che vinca una maggioranza chiarissima: un 55% più o meno di miei concittadini che non hanno votato o che hanno espresso comunque un voto di protesta. E questa maggioranza – proprio perché ha vinto – deve dettare la linea politica del paese: ricambio generazionale, rinnovo dei programmi e delle priorità della politica. Ma un rinnovo vero; non basta che la destra non candidi una decina di impresentabili, non si chiude la discussione a sinistra tra chi era pro Bersani e chi affermerà che invece con Renzi…
Il nodo tecnico vero da sciogliere non è – e non sarà – quale maggioranza incollata in settimana reggerà quale governo “di necessità”, ma la necessità che questo paese diventi non di forza, ma di ragione, un paese governabile, e possibilmente in cui la protesta non debba necessariamente diventare violenta o lasciata ai piazzisti. E qui si passa per la cd. legge elettorale – che dai tempi di Crispi è lo strumento con cui si formano prima del voto le maggioranze, possibili o auspicabili. Non si cada nel facile escamotage di “tenere fuori Grillo” con lo strumento dei collegi, né che si pensi che con la fine dei 5 stelle si torni a dieci anni fa. Il vero è unico antidoto è far votare davvero, con le liste e le preferenze, senza che siano le segreterie a decidere o imporre e senza che lo sia un padre padrone a scriverle.
Un parlamento è tale se accoglie le istanze, se non tutte almeno il più possibile, di una società. E se questa società è articolata non può essere semplificata per legge o per dictat, ma sarà il duro compito di chi sceglie di svolgere un servizio politico rendere il processo legislativo quantomeno gestibile. Si facciano primarie – per tutti i partiti – e si facciano leggi che impongano il confronto e che impediscano di sottrarsi alle domande. Perché se vogliamo che davvero gli elettori siano protagonisti non solo a parole o mettendo una crocetta su un simbolo – trattati come tanti analfabeti – lo devono essere non solo quando “serve” ai partiti, ma soprattutto prima, e quando si corre il rischio che questa partecipazione discuta i partiti stessi. Una classe politica che ha paura dei cittadini che si candida a rappresentare non è degna di rappresentarli, e men che meno, prima, di definirsi classe politica.
E chiunque, a qualsiasi partito o movimento appartenga, si candida con queste regole, non è una persona seria, ma solo uno che “ha fatto accordi” (prima di tutto con la propria coscienza) per raggiungere una posizione: e di queste persone questo paese non ha bisogno. Allo stesso modo questo paese non ha bisogno di chi si fonda un partitino per i fatti propri, per poi porre i suoi numeri sulle varie bilance, e di altrettanti candidati che hanno questa come sola occasione per emergere per poi riciclarsi… Anche di queste persone questo paese non ha bisogno.
Io mi sa che di questo voto ho capito queste poche cose. Non so se siano giuste, non so se siano le più rilevanti, ma a prima vista mi sembrano anche troppe per questa classe dirigente, e francamente mi pare di aver scritto in una lingua che non comprenderanno. Io faccio i migliori auguri a tutti, davvero tutti, gli eletti, che comunque, per legge, ratio e costituzione, rappresentano anche me, e non posso che augurarmi che siano meno peggio di quanto tutti noi pensiamo, e sappiano essere migliori di quanto loro stessi pensano di sé.
Quello che è invece certo è che qui fuori, da oggi, nasce un nuovo obbligo per ciascuno di noi: per i tesserati di qualche partito, per chi fa opinione, per chi si è impegnato e per chi lo è meno; lavorare alacremente nell’essere coscienza civile di questo paese, essere un pezzo della coscienza sociale di questo popolo, e di essere costruttivo, ciascuno nel proprio partito e movimento, nell’interesse degli altri. Perché non c’è maggiore colpa – da cui non ci possiamo autoassolvere – che pensare che l’unico momento di partecipazione e determinazione politica sia quello elettorale.
L’ho detto alcuni giorni fa, e lo ripeto oggi, perché non era strumentale e lo pensavo davvero. L’Italia, il mio paese, la mia gente, ha bisogno di serenità, e non di arruffoni. L’Italia, il mio paese, la mia gente, ha bisogno di persone serie e di programmi fattibili, e non di promesse illusorie che nessuno può realizzare. L’Italia, il mio paese, la mia gente, ha bisogno anche di cambiare complessivamente, qualitativamente e generazionalmente, la sua classe dirigente, ma questo lo potrà fare solo cambiando se stessa, e scegliendo davvero, e non certo affidandosi al primo che ti lusinga facendo leva sugli istinti peggiori. L’Italia, il mio paese, la mia gente, non ha bisogno di tsunami (abbiamo già le nostre catastrofi naturali su cui sarebbe bene non scherzare) né di vaffanculo, né di odio di parte, ma di una nuova base di riconciliazione e unità. L’Italia, il mio paese, la mia gente, ha bisogno di un’idea alta – che oggi non c’è – in cui mettere le proprie energie migliori, come fu nel dopoguerra… e come accade sempre nei paesi che riconoscono una propria identità senza divisioni… penso all’America del new deal, penso alla Germania post bellica e a quella della riunificazione, alla Francia del dopo Vichy, alla Spagna post franchista… Ma questo non lo fa nessun paese che si fa incitare da un urlatore, che non costruisce unendo, che cerca un capo nelle cui mani essere massa…