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Michele Di Salvo
08 Mar

La Corea del Nord e la politica italiana

Pubblicato da micheledisalvo  - Tags:  Beppe Grillo, Bersani, comunicazione politica, Corea, giovani, m5s, pd, pdl, politica, Politica, Silvio Berlusconi, sistema politico, Società, test nucleari

GrilloCoreaÈ di oggi la notizia che “in risposta alle sanzioni”, seguite ai test nucleari, la Corea del Nord ha rotto il patto di non aggressione alla Corea del Sud. Mi sembra un’ottima parabola della politica italiana. La Corea del Nord è un paese distrutto ed alla fame; questo è un dato di fatto non mitigabile da nessuna propaganda. Le ragioni secondo gli economisti sarebbero nel sistema economico di quel paese, secondo altri dipenderebbe dalla mobilitazione bellica permanente e dalle eccessive spese militari, secondo il governo ciò dipenderebbe dall’ostilità occidentale e dal clima (sic!). In realtà in un mix complessivo di cause, in cui ciascuna incide comunque e interagisce con l’altra, vi sono un paio di fatti inoppugnabili.

Il primo, è che la Corea (unita, sia del Sud che del Nord) è stata usata dalle altre potenze, che l’hanno sempre voluta divisa, per non farla crescere come potenza nella regione, ciascuno con una propria area di influenza e di sfruttamento funzionale ad altro, e non certo al bene di quei popoli. Il secondo, è che la mobilitazione bellica permanente, la paura, le eccessive spese militari (che hanno arricchito l’industria cinese e russa) erano funzionali a giustificare un apparato militare ed organizzativo che – senza quello spauracchio – avrebbe privato di ogni ragion d’essere circa 4 milioni di militari e messo in discussione un potere monolitico chiuso attorno ad un capo e ad un partito unico, senza possibilità di discussione.

Ecco, a rivedere queste motivazioni, sembra di parlare del nostro paese e del nostro sistema politico. La paura, le minacce di mali improponibili, lo scacchiere politico ed economico internazionale, hanno determinato un congelamento della situazione politica italiana da anni. Il male assoluto dell’avversario politico, ha impedito per anni un vero e proprio rinnovamento dei partiti e soprattutto della loro struttura interna: parlare di rinnovamento nel centrodestra era fare un favore alla sinistra e viceversa. Un rinnovamento e un trasformazione che mal si conciliano con lo stato di mobilitazione permanente – quasi bellico – tra le forze politiche, tutte chiuse attorno al capo e soprattutto a salvaguardia di una certa struttura dei partiti, fatta di un sottobosco burocratico difficilmente smantellabile e per tutti inimmaginabile da smantellare. D’altro canto, questo è un paese volutamente tenuto diviso e frammentato nella miopia del coltivare il piccolo potere politico e amministrativo locale, senza quell’ampia visione unitaria e di insieme che è la sola che può far crescere l’intera paese.

Ora, da noi c’è sovrabbondanza di benpensanti di parte che si affretteranno a fare i distinguo e si cimenteranno in mirabolanti parabole verbali… Vizio di un paese che discute su tutto senza una sintassi comune, ed in cui si confonde la libertà di espressione con la liceità di dire qualsiasi cosa, da sempre senza alcuna conseguenza e responsabilità per ciò che le parole inducono a fare come azioni. Anche la logorroicità opinionistica e tuttologa è un pezzo di quell’apparato burocratico e strutturale che appesantisce e ingessa il nostro sistema, forse il pezzo peggiore perché ne offre sponda e spesso giustificazione ideologica e intellettuale.

Oggi sentiamo richiami alla “violenza per le strade”, come rischio, previsione, auspicio, e per chi ha un po’ di memoria storica tornano alla mente tanti momenti in cui gli intellettuali si sono difesi dicendo che non erano responsabili se qualcuno metteva in pratica ciò che loro “dicevano solo a parole” – e questa semplice autodifesa non fa che far perdere loro il ruolo di intellettuali, e chiarisce la loro assoluta inconsistenza, irresponsabilità e vigliaccheria sociale e umana. E se trasponiamo ciò che avviene tra nazioni (per esempio la Corea, nella rottura dei trattati di non aggressione, anche solo possibile, non necessariamente attuata) e ciò che avviene nella società (con i richiami più o meno velati e declinati alla violenza, anche solo possibile, non necessariamente attuata) allora il cerchio si chiude.

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